“FOTO DI FAMIGLIA CON SGOMENTO”: IL NUOVO LIBRO DEL PROFESSOR ALESSANDRO CARTONI
“Foto di famiglia con sgomento” è la nuova raccolta di racconti del professor Alessandro Cartoni, docente di lettere a Fabriano per la scuola secondaria e membro del laboratorio collettivo Carboneria Letteraria. Nel 2010 ha pubblicato la trilogia “Io sono la nemesi” (Giulio Perrone Editore), nel 2017 la raccolta “Dove ballano le ragazze” (0111 Edizioni) e nel 2018 il romanzo “Reclusione” (Licosia). La raccolta “Foto di famiglia con sgomento” di Robin Edizioni, verrà presentata a Fabriano presso il Circolo ARCI “Il Corto Maltese” sabato 9 aprile alle ore 18.30. Abbiamo raggiunto il professor Cartoni per qualche anticipazione su questo suo nuovo lavoro letterario dedicato “a quelli che camminano coi pugni stretti ed il cuore in tumulto”.
Alessandro, dieci racconti scritti in un arco temporale molto lungo, perché hai sentito il desiderio di pubblicarli ora?
Un po´ è venuto per caso, c’erano parecchie cose nel cassetto e ed era venuto il momento di tirarle fuori. Solo dopo mi sono accorto che avevano un filo conduttore: la dissoluzione familiare, la consunzione dei rapporti di quel nucleo che tutti ci fonda e ci inquieta, appunto la famiglia. Da ultimo il fatto che coprivano un arco di tempo molto lungo, praticamente un terzo della vita. Il primo credo sia del 1998 o 1999, l’ultimo del 2020. Dunque io ero invecchiato e i racconti portavano impresse queste trasformazioni. Mi è sembrato interessante guardarmi attraverso di loro.
La complessità della dimensione familiare viene ripetutamente riproposta in ogni racconto, come un tarlo che tormenta la mente e le azioni del protagonista, il suo destino, le sue fobie. Perché hai riservato un ruolo così centrale alla famiglia?
Per due motivi, uno personale e uno contestuale. Innanzitutto perché per me, per la mia vicenda individuale, la famiglia è stato un dramma, un’avventura dolorosa e piena di responsabilità non sempre comprese, accettate o vissute serenamente. E poi perché in questo paese, l´Italia, dove c´è ancora una forte “polarizzazione familista”, forse di origine religiosa, donne e uomini non sono portati naturalmente a prendere coscienza di questa dimensione. Spesso le famiglie e i figli si fanno perché così si è sempre fatto o perché ce lo dice la mamma. E dopo tutto crolla. Forse valeva la pena indagare questi percorsi.
La precarietà del rapporto con la donna amata, la devastante deriva del matrimonio, il senso di inadeguatezza alla paternità emergono dallo stato d’animo del protagonista. Quanto ha inciso sulle sue scelte di vita la sua “debole capacità di adattamento al mondo” ed alle sue regole imposte?
Qui hai colto uno dei temi centrali dei racconti, che in fondo vorrebbero funzionare come un “quasi romanzo familiare”, vale a dire tematizzando l´incapacità del protagonista di adattarsi alla normalità, al quotidiano, come a qualcosa che si è scelto e che si vuole vivere. La sua vita gli appare come una grande fatica, un peso insopportabile, caratterizzata da un´angoscia costante che rischia di farlo sprofondare. Allora spesso appare una via di fuga nella figura di un’altra donna. Ma la fuga poi si trasforma in un fallimento e si ricomincia da capo.
Pagine molto toccanti sono quelle riservate al rapporto con la madre, “regina di una fortezza vuota” capace di “spandere sulle cose un alone minaccioso”, riconosciuto poi dal protagonista causa del generare frustrazioni e depressioni nel corso della sua vita. Lo stesso sente di essere voluto come figlio più dal padre che dalla madre, quindi utilizzato da quest’ultima più come “mezzo” di riscatto sociale per appagare ambizioni più alte?
Sì, inutile dire che qui c´è qualcosa di molto autobiografico, la lotta con la madre è parte di una lotta più grande per conquistare il proprio posto nel mondo e il proprio diritto a dire “io”. Il padre, inevitabilmente, gioca la parte positiva perché muore presto e rimane come un fantasma che parla dall´aldilà e proprio per questo si salva dalla vita. Naturalmente le idee del protagonista sono una sua focalizzazione interna della realtà.
Il tema della morte, sia naturale che indotta con il suicidio, ricorre in alcuni racconti come un’occasione per poter regolare i conti ed affrontare i fantasmi del passato e del presente. E’ quasi una resa ed un’attestazione di incapacità dell’uomo di risolvere i conflitti, familiari e non, affrontando in vita i propri “carnefici”?
La morte attraversa tutti i racconti mi sono accorto, ma non ha sempre lo steso valore, a volte è una scelta a volte un evento subito. Comunque la morte è l´unico grande tema di cui vale la pena parlare. Il resto sono chiacchiere. Spesso, certo, si sceglie di morire perché è più semplice che vivere.
Nei racconti emergono dettagli, minuziosi particolari e descrizioni degli spazi anche della nostra Città. Spazi però spesso reclusi da una recinzione ed una siepe di un giardino privato o più ampiamente dalla nostra Conca geografica. Il senso di reclusione del protagonista quanto viene esasperato da questi spazi angusti, vissuti sin dall’infanzia, nel proprio luogo natio?
Certo lo spazio circoscritto, chiuso o angusto, ha una sua ambivalenza, spazio che protegge o che condanna a una sorveglianza intollerabile e questo vale anche per la nostra città che appunto è chiusa dalle montagne, non ne esce, e per questo subisce isolamento o marginalizzazione. Croce e delizia. Così anche nella mente dei vari protagonisti che poi, a ben vedere, sembrano forse la stessa persona. Dal ragazzino del primo racconto al figlio ormai canuto che ha appena seppellito la madre ma si trova ancora nel raggio della sua presenza, in una sorta di sottomissione emotiva.
Dallo sgretolamento di questi differenti rapporti umani descritto nei racconti, esiste secondo te una possibilità di riscatto per chi, leggendo, sente di vivere sulla sua pelle esperienze simili a quelle del protagonista? Alla fine del gioco della vita, vince chi si salva da solo?
Sì, secondo me sì, siamo sempre soli, nasciamo e moriamo da soli, anche se la risposta è un poco paradossale: ci si salva solo accettando di vivere fino in fondo queste esperienze senza moralismi o false esitazioni. Io mi sono perdonato, la letteratura serve anche a questo, a prendere coscienza dei propri mostri e metterseli davanti agli occhi per conoscerli. Non c´è niente da fare, quello che fatto è fatto, la condizione umana non ci lascia innocenti.
Gigliola Marinelli