“ICONE DELLA TRASCENDENZA”: LA MOSTRA DELL’ARTISTA FABRIANESE FAUSTO FRAISOPI

Classe 1977, Fausto Fraisopi è nato e cresciuto a Roma, ha vissuto a Fabriano tra l’89 e il ‘96 dove risiedono tutt’ora i suoi genitori. Dopo aver studiato al Liceo Classico “Francesco Stelluti”, è tornato a Roma ed ha studiato all’Università La Sapienza di Roma per poi passare a Napoli (Istituto Benedetto Croce). Vive e lavora all’estero dal 2002 (Parigi, Berlino, Freiburg in Brisgovia). È attualmente professore straordinario di filosofia teoretica e fondamenti delle science all’Università di Friburgo in Brisgovia (dove ha ricoperto, dal 2017 al 2021 la cattedra che fu di Edmund Husserl e Martin Heidegger). Si occupa in particolare di ontologia dei sistemi complessi e della complessità del mondo fenomenico, a partire dalla filosofia classica tedesca e dall’epistemologia. Lo abbiamo raggiunto per parlare della sua mostra d’arte “Icone della Trascendenza”, attualmente visitabile presso gli spazi della Biblioteca Multimediale “Romualdo Sassi” di Fabriano.

Fausto, a che età ti sei avvicinato al mondo dell’arte e da chi sei stato ispirato?

De facto, non ricordo neppure a che età mi sia avvicinato al mondo dell’arte tanto ci sono cresciuto, immerso, imbevuto direi. Papà è anch’egli pittore e la mia infanzia romana è piena, satura di ricordi d’arte. Per situazioni che non sto qui a spiegare l’arte era, è il quotidiano, libri bellissimi (all’inizio intoccabili) su Michelangelo, Raffaello, Leonardo, gli Impressionisti. E poi i sabati e le domeniche, nei musei, soprattutto ai Musei Vaticani, che è uno dei luoghi che adoro di più, ma anche le chiese, le mostre. Ma forse la vera “vicinanza” era una serie di libri, “I Disegni dei Maestri” e un’enciclopedia di scultura, che copiavo, copiavo e ancora copiavo.

Artisticamente hai sviluppato la nuova “estetica metafisica”: in cosa consiste tecnicamente?

È opinione diffusa – e surrettiziamente “spinta” solo per motivi commerciali – che l’arte figurativa sia, diciamo così, oggigiorno tramontata (l’arte più recente dice tutto il contrario!) e che l’arte “informale”, spesso fatta in modo estremo e volgare, sia di un rango intellettualmente superiore. Essa sarebbe capace (come l’action [Pollock] o il color field painting [Rothko]) di cogliere i sentimenti allo stato puro, tramite la sola matericità dei colori, o concetti metafisici, tramite forme non direttamente significanti. Panzane! Ora, tecnicamente l’estetica metafisica è un atto di ribellione verso questo trend di “raffinatissima ignoranza” estetica, dell’estetica per le classi borghesi intellettualissime (un po’ come la nouvelle cuisine, hai presente il film di Sordi “Dove vai in vacanza?”). Nell’estetica metafisica, tecnicamente, c’è la matericità, molta (in modo intenzionale) e ci sono forme non direttamente significanti, che esprimono addirittura contenuti non “intellettuali” ma spirituali.

Quanto ha influenzato le tue opere l’arte di De Chirico e la sua concezione dell’esistenza e quindi dell’arte stessa?

In modo molto profondo, da quando iniziai a studiare le opere di De Chirico – e poi di Guelfo, grazie a Marisa Bianchini, come superamento di quell’estetica – fino all’anno scorso, in cui visitai (più volte) la bellissima mostra su De Chirico al Musée de l’Orangerie. E, visto che l’arte è un incubatore spirituale (anche personale), queste riflessioni si sono tradotte nell’azione pittorica, attraverso una riflessione sull’attualità (anche culturale) e sulla forza dell’estetica metafisica di De Chirico (e della letteratura di Savinio ma soprattutto di Borges). Il problema è che un’estetica, concepita come forma coerente di espressione artistica, riflette necessariamente il proprio tempo, e quello che si annunciava al tempo (in modo straniante e angosciante) è oggi divenuto il quotidiano, nell’esistenza di ognuno, dal punto di vista culturale ma anche tecnologico, è diventato multiverso.

Sogno e realtà, reale ed immaginario hanno nella tua arte una distinzione netta?

Questione difficilissima! La distinzione netta tra realtà e sogno, l’esclusione dell’immaginario dal reale è una distinzione cartesiana. Questa distinzione, estremamente razionalista, richiede certe condizioni, fortissime, che sono venute meno. Molte forme d’arte (prima e dopo Descartes) si sono poste questa domanda: da Calderon a Cervantes a Shakespeare, da Baudelaire al cyberpunk (vedi Matrix) o altri film come “Apri gli occhi!” (rifatto pop come Vanilla Sky). La psicanalisi dice tutto il contrario, non c’è distinzione netta, nella misura in cui la membrana tra l’esperienza del reale e l’immaginario (onirico e non) è estremamente porosa, c’è un’osmosi essenziale. Anche qui l’estetica che si pone alla frontiera tra il reale e l’immaginario, tra realtà e sogno rappresenta un atto di ribellione contro un’ideologia dominante che pensa di razionalizzare l’esistenza e disporne le parti, i frammenti, razionalmente, come negli scaffali di un supermercato.

In questi giorni è allestita una tua mostra presso la Biblioteca Multimediale “Romualdo Sassi” di Fabriano. Cosa rappresentano le “Icone della Trascendenza” e che significato racchiudono in questo spazio espositivo?

Lo spazio espositivo è fantastico, per sé ma anche per la sua collocazione, architettonica e tematica, cioè accanto al Museo Guelfo e all’Oratorio della Carità (con i suoi bellissimi affreschi). Per questo ringrazio infinitamente Francesca Mannucci e Ilaria Venanzoni. Cosa rappresentano le Icone della Trascendenza? Finestre, aperture su altre dimensioni e, nel loro insieme, un’apertura al “Sacro” che l’oggettualità saturante delle nostre esistenze, ridotte a mero consumo, ci ha fatto dimenticare, in una corsa alla “concretezza”, sempre più vuota, diafana, insensata e nemmeno più edonisticamente accettabile. Le Icone della Trascendenza, se si prende il lusso di prendersi tempo, se le si guarda come il flaneur di Baudelaire, se si leggono i manoscritti nelle teche, con calma, fanno irrompere spazi nel nostro spazio, sempre più claustrofobico, colori, figure…forme.

Secondo te oggi qual è la vera funzione dell’arte e come è mutata nel tempo?

Da domanda fondamentale a domanda fondamentale. Io escluderei “vera”, perché non mi arrogo il diritto di certificare verità che poi sono dei fakes o delle banalità. La funzione dell’arte è molteplice ed evolve con l’uomo (anche biologicamente parlando). Ci sono molte funzioni dell’arte, politica, religiosa, sociale…ma se si potessero organizzare tutte queste funzioni in un senso d’insieme, si potrebbe dire che l’arte è “costruttrice di mondo” (Weltbildend) o “mondanizzante” (worlding). Non nel senso materiale del termine, ma nel senso in cui essa riconduce frammenti disparati in un quadro di senso, un quadro che “fa” senso (makes sense), anche laddove questo quadro affermi, come oggi, il “Nonsense” del mondo. Limitandoci al passato prossimo, penso che si è pensato, soprattutto con il tournant del mercato internazionale dell’arte, di ridurre l’arte a consumo e scambio, mentre penso che l’arte oggi possa ancora, come sempre, catalizzare quell’istinto “selvaggio”, irrefrenabile, dell’uomo a non lasciarsi categorizzare interamente in questo senso, catalizzare l’andar al di là, la trascendenza.

Hai lavorato in diverse capitali europee, attualmente sei professore all’Università di Friburgo in Brisgovia. Quanto queste sue esperienze umane hanno influenzato il suo percorso artistico?

Non penso sia necessario tentare autobiografie o auto narrazioni. L’autore è secondario, l’opera è l’essenziale. Certo, vivere a Roma, Napoli, Parigi influisce e molto. Quello che faccio ha motivato ab imis fundamentis il nascere del percorso artistico. Ora, sebbene in Italia la filosofia (anche teoretica) sia considerata “scienza umanistica” e stia sempre più decadendo nell’opinabile da talk show, non lo è nei fatti. Quella che Aristotele chiamava “scienza prima” – in relazione soprattutto ai fondamenti delle scienze, in ogni epoca – è un esercizio assolutamente rigoroso, che richiede una sorta di esarcebazione del rigore, e non permette assolutamente contaminazioni di significati, associazioni gratuite, ma struttura (logico-matematica), disciplina, rigore e ancora rigore. Bisogna ridurre la propria vita (anche se si pratica la ricerca del sapere) all’unicità di questo ethos? La mia risposta è stata (allegramente) no. L’arte è venuta a esprimere quello di cui non si può razionalmente parlare e si deve “tacere”, l’essere stesso del mondo, cioè, quello che Wittgenstein identificava col Mistico.

Gigliola Marinelli