SINDROME DELL’X FRAGILE: LA STORIA DI NICOLO’

Non è mai semplice scrivere e parlare di disabilità. Al netto dei luoghi comuni, è necessario mettersi nei panni delle famiglie, nel caso specifico dei genitori, che convivono quotidianamente con una figlia o un figlio che voglio chiamare “speciale”. Nel rispetto di questi esseri umani “speciali” cerchiamo oggi di infilarci tutti in questi panni, predisponendoci con attenzione alla lettura del racconto di questa mamma coraggiosa, Patrizia Cristallini, che mi ha inviato alcune riflessioni con il papà di suo figlio Nicolò, Paolo Lori. Il bellissimo Nicolò è affetto dalla “Sindrome dell’X Fragile”, una condizione genetica ereditaria che è causa di disabilità cognitiva, problemi di apprendimento e relazionali. Si presenta sia nei maschi (che hanno sintomi più evidenti), che nelle femmine. L’incidenza è stimata in 1 caso su 1250 maschi e 1 su 2500 femmine.  I sintomi e le caratteristiche delle persone con Sindrome X Fragile sono molto variabili e si possono suddividere in tre ambiti principali: cognitivo, comportamentale, fisico. Non tutte le persone presentano tutti i sintomi, ma solo alcuni di essi e di intensità variabile. Nicolò, amatissimo dai suoi genitori, purtroppo ogni giorno deve relazionarsi con una società che ancora emargina, esclude o meglio dire “non include”. E nella storia di questo adolescente “speciale” si sostanzia l’esigenza di tenere alta e viva l’attenzione su chi, per la sua fragilità, è costretto a combattere contro la carenza dei sostegni da parte degli enti preposti e contro i mulini a vento della pochezza di un contesto sociale, ormai progressivamente disumanizzato ed inaridito.

Patrizia, nella nostra città è presente un adeguato sostegno sociale in termini di servizi di supporto sanitario e psicologico al disabile ed alla sua famiglia?

La “Convenzione delle Nazioni Unite per i diritti delle persone con disabilità” si prefigge di promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità. Ma, secondo la mia esperienza personale, i servizi a sostegno delle famiglie con disabili nella nostra città sono praticamente nulli. Fin dalla prima infanzia di mio figlio siamo stati costretti per lo più a rivolgerci altrove, in totale solitudine. Le indispensabili terapie logopediche e di supporto psicologico sono state tutte intraprese privatamente per accelerare i tempi e, a tutt’oggi, ci appoggiamo a strutture nella città di Padova per ricevere, in cicli di due settimane al mese, terapie neuro-riabilitative e visite specifiche mentre, per il restante periodo, ci rivolgiamo ad una struttura privata qui in città.

La cronaca dei mesi estivi ha sollevato il problema dei tagli all’educativa domiciliare. A che punto siamo ad oggi e perché questo servizio è indispensabile per le famiglie con figli che necessitano di questo supporto?

Per il momento tutto è stato rimandato a gennaio, con delibera temporaneamente sospesa, dopo le proteste e le oggettive problematiche emerse. La richiesta alle famiglie di partecipare alla spesa dell’educativa domiciliare non tiene affatto conto delle difficoltà e degli oneri che le famiglie dei disabili sono già costrette ad accollarsi ogni giorno a causa dell’inadeguatezza dei servizi offerti dagli enti pubblici, servizi che sarebbero dovuti – ricordiamolo – e invece scarseggiano. L’educativa domiciliare è stata finora uno dei pochi, sparuti strumenti di supporto disponibili, è irrinunciabile poiché fornisce un minimo “sollievo” da un impegno, pesantissimo sotto ogni punto di vista, che grava h24 sulle famiglie dei disabili.

Spesso ci si riempie la bocca con la parola “inclusione” ma, nella vostra realtà quotidiana, esiste poi veramente questa” inclusione sociale” o ancora oggi si tende ad emarginare il ragazzo disabile?

In generale sono stati fatti dei progressi, esistono progetti specifici, che però sono distribuiti sul territorio in modo disomogeneo e ancora una volta, per la mia esperienza, sono i genitori dei ragazzi disabili a doversi districare da soli nella ricerca dei programmi disponibili cui aderire e con problemi logistici spesso non da poco. Bisognerebbe agire sul territorio in modo più capillare, creando occasioni d’incontro, scambio, conoscenza, condivisione e dialogo; creando cioè condizioni che facilitino la costruzione di relazioni positive, occasioni di inclusione sociale vera, e anche di sensibilizzazione generale. Penso ad esempio a momenti d’intrattenimento e socializzanti, alla realizzazione di progetti comuni dove ogni partecipante può sperimentarsi in un ruolo attivo e confrontarsi con l’altro.

Quali comportamenti ed atteggiamenti senti che fanno soffrire di più tuo figlio? Ne parlate tra voi?

L’età preadolescenziale in cui si trova mio figlio è complessa già in sé; per di più, a causa della sindrome da cui è affetto, la comunicazione non è agevole e i suoi stati d’animo sono di ancor più difficile interpretazione. In questo momento particolarmente complicato, soffre delle difficoltà di relazione con i coetanei, che spesso lo deridono. Ma la sua voglia di socializzare e la sua tenacia sono tali che, nonostante tutto, non si sente ancora scoraggiato. Personalmente cerco di sostenerlo come posso, chiedendo al personale specializzato che lo segue costante supporto e indicazioni specifiche per far fronte al meglio anche a questo tipo di criticità.

Sei una mamma coraggiosa e combattiva. Trovi solidarietà negli altri genitori che vivono le tue stesse problematiche?

Nella città di Fabriano non conosco altri casi come quello di Nicolò ma so che sono presenti altre situazioni di disabilità, benché solo con pochi di questi genitori io sia in contatto. Tuttavia, proprio grazie ad esperienze in progetti di aggregazione specifici fatte altrove, come i camp estivi a Senigallia proposti dalla UISP di Jesi, o Hol4All, settimana organizzata da Fondazione Allianz, ho avuto occasione di incontrare altre famiglie di ragazzi disabili e sono state esperienze umanamente preziose anche per me: sono nate delle vere amicizie e una grande complicità, una sorta di rete di autoaiuto fatta di condivisione, comprensione reciproca, scambio di informazioni pratiche, confronto costruttivo e solidale.

In una società che dicasi civile si dovrebbero porre in primo piano le necessità e le esigenze delle fasce di popolazione più debole e bisognosa di aiuto. Vivendo la vostra quotidianità a Fabriano, fuori dai denti, credi che sia veramente così o abbiamo ancora molta strada da percorrere in questo senso?

Occorrerebbe cambiare approccio ribaltando la prospettiva, provando a considerare l’idea che prendersi cura di qualcuno – la persona con disabilità, nel nostro caso – significa anche comprendere il ruolo giocato dall’ambiente sociale, dalla percezione individuale e collettiva del problema, dalla qualità dei processi comunicativi, etc. Tutti questi fattori credo siano determinanti nel costruire esclusione e disagio o, piuttosto, inclusione e benessere. Per curare le persone occorrerebbe anche curare il territorio, andando oltre l’erogazione estemporanea del singolo e cronicamente insufficiente servizio alla persona. Perciò c’è molto da fare, ancora, per rendere migliore la vita della popolazione più debole.

Gigliola Marinelli