San Biagio, tra storia, culto e arte

La festività di San Biagio, molto sentita anche nella città di Fabriano presso la chiesa Ss. Biagio e Romualdo, va condivisa con quella della Candelora, oggi 2 febbraio. Fino a non molto tempo fa in diversi paesi il 3 febbraio si portavano in chiesa chicchi di cereali che, dopo essere stati benedetti, venivano mescolati a quelli della semina per propiziare un abbondante raccolto. Riguardo al santo, è sicuramente più noto il patronato di San Biagio sulla gola, acquisito grazie a un episodio che sarebbe avvenuto mentre il santo veniva portato a Sebaste per subirvi il martirio. Secondo una leggenda, una donna gli porse il figlio che stava per soffocare per una lisca in gola e il santo lo benedì, salvandolo miracolosamente dalla morte.

Sebaste, ora Sivas, in Turchia, era allora un’importante città dell’Armenia minore. Sebbene si ignori molto sulla vita di San Biagio, perché le cronache che lo riguardano sono tardive e leggendarie, sappiamo che egli era probabilmente medico e filosofo, prima di diventare vescovo di Sebaste. Il suo martirio sarebbe avvenuto intorno all’anno 316, al tempo dell’imperatore Licinio; dopo essere stato straziato con verghe e pettini uncinati di ferro, sarebbe stato decapitato, infatti Michelangelo Buonarroti ce lo affresca tra i santi del Pardiso, con gli strumenti del martirio, nel Giudizio Universale della Cappella Sistina accanto a Santa Caterina d’Alessandria. Prima di morire, pregò il Signore di concedere la salute a chiunque lo invocasse per un’infermità, da qui la sua fama di taumaturgo. La sua dimestichezza con gli animali lo avvicina a Sant’Antonio Abate, tanto che nell’abbazia di Sant’Antonio di Ranverso nel torinese, gli è stata dedicata una cappella dove, in un affresco tardo gotico di Giacomo Jaquerio, è raffigurato San Biagio indenne tra gli animali feroci.

La sua iconografia più diffusa è quella di vescovo, con la mitria in testa, spesso con due candele incrociate che simboleggiano la protezione sulla gola, a volte mentre benedice il bambino che aveva la lisca in gola, altre volte con simboli del suo supplizio. In Italia il suo culto è particolarmente diffuso a Maratea in Basilicata, perché lì nel 732 sarebbe naufragata una nave, che trasportava alcune sue reliquie, il torace, un femore e altre parti provenienti da Sebaste, che divennero subito oggetto di devozione, ma in molti altri paesi il santo è festeggiato con solenni processioni e riti folcloristici. Nel Lazio, invece è patrono di ben 13 comuni. Una potente raffigurazione del Martirio di San Biagio, opera di Giacinto Brandi, la troviamo nella chiesa romana di San Carlo ai Catinari il cui nome completo è Santi Biagio e Carlo ai Catinari, Il dipinto di Brandi, collocato nella seconda cappella a destra, raffigura il santo seminudo (con la barba bianca ma ancora vigoroso), che viene torturato, mentre in alto gli appare San Sebastiano, con in mano le sue simboliche frecce.

La Chiesa di San Biagio a Fabriano, fu eretta dai monaci benedettini di San Vittore delle Chiuse, probabilmente prima del 1210, data in cui viene citata per la prima volta in un documento. Nel 1232 Filippo, vescovo di Camerino, attribuì ufficialmente alla chiesa il titolo di “parrocchia”. La parrocchia venne guidata inizialmente da monaci benedettini, poi da preti secolari. Distrutta nel 1282 da un terribile terremoto, la chiesa fu subito ricostruita, tanto da poter essere riconsacrata nel 1287. Nel 1481, a conclusione delle vicende legate al trafugamento delle sacre spoglie di San Romualdo da Valdicastro, la chiesa di San Biagio accolse il corpo del Patriarca ravennate, di cui ha ancora la custodia. Da allora, essa assunse il nome di Chiesa dei Santi Biagio e Romualdo. Nel XVII secolo la chiesa venne affidata ai monaci camaldolesi.
Francesco Fantini