Lo storico dell’arte, professor Giampiero Donnini, a tu per tu con il direttore Gigliola Marinelli

Critico e storico dell’arte, Giampiero Donnini è nato a Fabriano dove è tornato dopo trent’anni di vita lavorativa a Milano. Ha scritto diversi saggi sull’arte umbra e marchigiana, interessandosi particolarmente delle chiese di Sant’Agostino e San Domenico di Fabriano, dei tesori nascosti nelle architetture marchigiane, del Gentile e dei pittori fabrianesi. Ha fatto parte del Comitato Scientifico della Mostra “Da Giotto a Gentile, pittura e scultura a Fabriano fra Due e Trecento” della Fondazione Carifac, curata da Vittorio Sgarbi. Ha curato il catalogo della stessa mostra edito da Mandragora, insieme a Vittorio Sgarbi e Stefano Papetti. Abbiamo raggiunto il professor Donnini per confrontarci sullo stato dei beni artistici cittadini e per ragionare su qualche progettualità utile alla loro valorizzazione.

Professore, tanti anni dedicati alla divulgazione ed alla conoscenza del patrimonio artistico della Città di Fabriano. Qual è oggi lo stato dell’Arte?

Lo stato dell’Arte è oggi allo stesso punto in cui lo avevo trovato nel corso delle mie prime ricerche, negli anni Sessanta del Novecento. Nè più e né meno. Ma diversi erano i tempi: pionieristici, di grandi speranze, di attività intellettuale foriera di progetti e di iniziative. Oggi Fabriano sembra la “Città morta” di Gogol, dove tutto si muove in funzione politica, lentamente e a piccolo raggio. Tutto è burocratizzato. Qualora riuscisse a liberarsi da queste fatali pastoie, la città dovrà comunque affrontare temi pesanti come l’irreversibile spopolamento, la mancanza di risorse, la carenza di idee, l’eclisse delle menti.

Chiese di Sant’Agostino e San Domenico di Fabriano: quale tesoro artistico rappresentano per la nostra comunità e attualmente in che stato sono?

Se non esiste un progetto di base che coordini e valorizzi i siti dell’arte nostrana, anche emergenze come Sant’Agostino e San Domenico trascorreranno nel silenzio gli anni a venire. Puntare sui giovani e sulla intraprendenza delle cooperative, sarebbero soldi spesi bene. Occorrono sponsor. L’ultimo grande benefattore della città è stato, a nostra memoria, il Prof. Abramo Galassi. Del resto, chi oggi è interessato al patrimonio artistico cittadino sono per gran parte i vecchi. I giovani non ne sanno niente, sono vocati al pratico, a tutto ciò che possa aprire loro il mondo del lavoro. C’è sempre meno il sostegno della cultura classica e hanno anche cancellato la storia dell’arte dalle scuole. Tanto le autorità, sia religiose che civili pensano di rado alla salvaguardia della ricchezza artistica di chiese come la Cattedrale e San Benedetto. Basti guardare come hanno fatto ridurre gli affreschi dell’abside di San Benedetto, opera del maggior manierista marchigiano Simone De Magistris. Per i soggetti eseguiti sulla parete sinistra non occorre più il restauro poiché l’umidità li ha del tutto cancellati. I cinici e gli ignoranti diranno: una spesa in meno!

Ha collaborato alla realizzazione di grandi mostre a Fabriano, non dimentichiamo la mostra dei record “Da Giotto a Gentile” che ha portato in città un numero incredibile di visitatori. Che ricordi ha di quel periodo?

Ricordo soprattutto la fatica nel fare accettare l’impegno economico della Fondazione Carifac per la realizzazione del progetto e la sua importanza. I vecchi camaleonti della politica imperversavano a oltranza. Accomodanti nelle riunioni interne, in piazza assecondavano l’elettorato che rumoreggiava. Non è un caso che la commedia dell’arte sia nata in Italia.

Il prestigioso riconoscimento di Fabriano Città Creativa Unesco, secondo lei, potrebbe essere utilizzato quale volano di sviluppo di quell’agognato turismo culturale che stenta a partire nella nostra Città?

Con Unesco o senza Unesco, Fabriano manca, a mio avviso, di un gruppo affiatato di giovani menti creative, che riescano ad uscire dall’anemico circuito provinciale e inseriscano il territorio in un ventaglio di iniziative ad ampio raggio. Consorziandosi magari con le città dell’Umbria e della Toscana. Il nostro futuro è oltre l’Appennino, lontano dal mare e dalle città cannibali della costa. Valorizzare il vasto territorio fabrianese dovrebbe costituire una operazione primaria, per la ricchezza artistica che esso racchiude: chiese romaniche tra le più belle del Centro Italia, la suggestione delle valli montane, le gole scavate dai fiumi, la gastronomia antica e sapida. Per quanto mi riguarda, a novembre compirò ottantacinque anni. Come ripeteva il mio amico Giuseppe Annese, pugliese di San Severo e copywriter free-lance a Milano: “Ormai non abbiamo più idee ma solo pensieri”.

Un nuovo termine utilizzato in questi ultimi anni è “attrattività”. In base alla sua esperienza, Fabriano ha i numeri per essere attrattiva o, in caso contrario, cosa manca alla Città ed alle iniziative culturali per esserlo nei fatti?

Il termine “attrattività” non si attaglia a Fabriano. Essa non è Gubbio, non è Assisi, città che vivono di luce propria. Ma, unendo i suoi sforzi e le proprie risorse con quelli di altre realtà territoriali, potremmo commissionare temi di interesse nazionale a gruppi di ricerca esterni, specializzati.

 E’ sempre stato piuttosto critico nei confronti di Fabriano, ragionando in modo propositivo, secondo lei quali progetti culturali potrebbero essere messi in campo per valorizzare il patrimonio artistico locale?

Il patrimonio artistico locale è stato con ampiezza divulgato dalle mostre tenutesi negli anni scorsi, sia da quella relativa al Trecento locale che dall’altra intitolata “Da Giotto a Gentile”. Quest’ultima ha il grande merito (sconosciuto ai più) di aver fatto rientrare da Urbino nella nostra Pinacoteca gli affreschi già in San Biagio in Caprile, opera del sommo Maestro di Campodonico. Sul quale, tanto per dire, il più grande storico dell’arte del secolo scorso, Roberto Longhi, si era espresso definendoli la manifestazione più alta della pittura italiana dopo Giotto. Ricordo che alla fine degli anni Settanta del secolo scorso mi imbattei a Berna in una mostra straordinaria di disegni e acquerelli eseguiti dai più grandi maestri del tempo, da Morandi a De Chirico, da Max Ernst a Magritte. Su molti di quei fogli era visibile in filigrana la scritta “Fabriano”. Pensai subito al colpo pubblicitario che ne sarebbe potuto scaturire: la nostra carta da disegno insignita dalle firme di quegli artisti illustri. Riferito il progetto ai nostri sopracciò, mi guardarono con occhio bovino dicendomi che adesso ci avrebbero pensato loro. Ci stanno ancora pensando….

Gigliola Marinelli