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DA FABRIANO A KIEV: IL RACCONTO DELLA GIORNALISTA FABRIANESE GIULIA CERQUETI

L’evento dedicato a don Tonino Lasconi del 19 marzo scorso mi ha donato l’opportunità di conoscere ed apprezzare le capacità e la bravura indiscusse della collega giornalista Giulia Cerqueti, fabrianese doc.  Dopo il Liceo classico a Fabriano, Giulia ha studiato Lettere moderne all’Università Cattolica di Milano, dove poi ha frequentato la scuola di giornalismo diventando professionista. Ha vissuto per circa due anni negli Stati Uniti, dove è arrivata con una borsa di studio di perfezionamento post-universitario all’estero. Dal 2002 lavora a Famiglia Cristiana, dal 2021 con il ruolo di caposervizio. Si occupa principalmente di esteri, mondo del non profit e della cooperazione, diritti umani. Ha collaborato con varie testate, fa parte di Osservatorio sui Diritti Umani (dal 2021 nel ruolo di vicepresidente), associazione di giornalisti impegnati nell’informazione indipendente sui diritti umani che pubblica la testata online Osservatorio Diritti. E se è vero che il giornalismo è un mondo popolato da molti uomini, questa intervista è un’occasione non solo per far conoscere il lavoro di Giulia ma anche per dimostrare con i fatti che nel nostro settore, spesso agguerrito, è possibile instaurare bellissimi rapporti umani tra colleghe in un sereno clima di condivisione di esperienze e confronto dialettico.

Giulia, abbiamo avuto il piacere di ascoltarti come moderatore della Tavola Rotonda dedicata a don Tonino Lasconi lo scorso 19 marzo. Quanto ha significato don Tonino nell’ambito del tuo percorso di formazione umana e professionale?

Ha significato tantissimo. Sono cresciuta nell’Azione cattolica e i miei primi ricordi di don Tonino risalgono ai campiscuola dell’Acr a Camporege, dove lui arrivava con la sua inseparabile macchina fotografica. Ancora oggi ho impresse nella mente alcune immagini delle sue catechesi con le diapositive: segno chiaro per me di quanto don Tonino sia stato sempre lungimirante in fatto di comunicazione. Il mio primo articolo pubblicato lo devo a lui, su L’Azione, quando era direttore. In anni più recenti mi sono confrontata spesso con lui per motivi giornalistici, per servizi e interviste: l’ultima intervista è stata nel 2020, durante il primo lockdown, su Chiesa e social media al tempo della pandemia. Di don Tonino ho sempre apprezzato tanto lo stile chiaro, diretto, asciutto: le grandi persone non hanno bisogno di toni altisonanti.

Parlando con te si percepiscono la tua riservatezza ed il desiderio di non voler a tutti i costi apparire. Qualità molto apprezzabili in un mondo che corre così velocemente. Se ti chiedessi di raccontare ai nostri lettori chi è Giulia e come è diventata giornalista, da dove partiresti?

Parto da una bambina di 4-5 anni molto curiosa che, chissà per quale motivo, aveva deciso che sarebbe diventata una giornalista e una scrittrice (i miei genitori ricordano bene le mie interviste in giro per casa…). Nel corso degli anni non ho mai cambiato direzione. Ho avuto sempre le idee molto chiare. La scuola di giornalismo mi ha permesso di diventare professionista e di entrare in contatto con le redazioni. Fondamentale è stato uno stage estivo a Famiglia Cristiana: dopo lo stage ho continuato a collaborare con la rivista e circa due anni e mezzo dopo mi hanno proposto l’assunzione. Un percorso molto lineare, il mio.

Parliamo della tua recente esperienza come inviata di Famiglia Cristiana a Kiev. Come una giornalista riesce a trovare le parole adatte per raccontare il dramma, assurdo e straziante, di questa guerra?

Ho vissuto e raccontato l’Ucraina pochi giorni prima dello scoppio della guerra. Tutto è nato da un invito che i salesiani ucraini hanno rivolto ad alcuni giornalisti italiani ad andare là per incontrare la gente comune e per conoscere alcune opere salesiane, la “diplomazia dal basso” di chi, mentre soffiavano venti di guerra, ogni giorno cercava di vivere la pace e stare al fianco dei giovani. Sono partita con Antonio Labanca e Ester Negro di Missioni Don Bosco di Torino. Insieme a me, Laurence Figà-Talamanca dell’agenzia Ansa, Vincenzo Giardina dell’agenzia Dire, Luca Pesante delle testate giornalistiche Mediaset con l’operatore Günther Pariboni. Ci tengo a nominarli perché là siamo diventati una squadra e continuiamo a collaborare, confrontarci e riflettere insieme sulla guerra. Condividiamo la lucida consapevolezza di aver vissuto insieme la fine di un’epoca, gli ultimi giorni di “normalità” – tra virgolette perché il Paese era in stato di guerra dal 2014, con il conflitto del Donbass – prima che tutto precipitasse, mutando radicalmente la Storia. In quei giorni a Kyiv, Zhytomyr, Leopoli, dove siamo stati, si respirava un’atmosfera di attesa controllata. C’erano frequenti allarmi bomba in scuole, centri commerciali, edifici pubblici. Le città preparavano rifugi e piani di resistenza in caso di emergenza, come ci ha raccontato il sindaco di Leopoli. Ci si aspettava qualche azione, più probabile nell’Est, per esasperare la tensione, ma l’invasione militare e il conflitto aperto assolutamente no, nessuno li riteneva possibili.

Che emozioni hai vissuto in quei luoghi, parlando anche con la popolazione che oggi sta subendo queste atrocità?

Ho ricordi vividi, intensi, che oggi per me sono struggenti e insieme illuminanti. Tutte le persone che ho incontrato dicevano: “Siamo preoccupati, certo, ma non cadiamo nel panico, andiamo avanti con la nostra vita con calma e tranquillità”. Tutti, uomini e donne, giovani e adulti, ripetevano con fierezza: “Qualunque cosa succeda, noi siamo pronti a combattere e difendere il nostro Paese”. Non era retorica. Oggi sappiamo che è proprio così. Ho conosciuto gente accogliente, coraggiosa, resistente, piena di forza e di dignità. Come don Maksym Ryabukha, direttore della Casa salesiana di Kyiv. Quando ci siamo salutati, mi ha detto: “A giugno devi venire qui al Grest, il campo estivo, con i nostri ragazzi dell’oratorio. Io ci conto”. E me lo ha ripetuto anche alla vigilia dell’invasione. Lui si trova in un quartiere molto preso di mira perché è all’ingresso della città. Ci racconta che “le sirene degli allarmi sono diventati come il battito cardiaco”. Giorni fa ci ha mandato una foto dal rifugio della scuola vicina – dove sono state accolte tante famiglie – con la preside che abbiamo conosciuto, una donna energica che non perde mai il sorriso. E ci ha detto: “Noi vi aspettiamo”.

Da giornalista della carta stampata come stai vivendo il cambiamento del mondo giornalistico, anche in funzione dell’avvento dell’on line?

Con molta curiosità. A Famiglia Cristiana non abbiamo una redazione dedicata al Web, noi del giornale cartaceo scriviamo anche per il sito. La scrittura per Internet è tutt’altra cosa rispetto a quella della carta stampata, figuriamoci poi rispetto a quella di un settimanale. Ma a me piace cimentarmi con nuovi mezzi perché questo mi impone di essere flessibile mentalmente. Credo che Internet non soffocherà la carta stampata e che quest’ultima continuerà a sopravvivere. Ma la Rete offre possibilità di comunicazione incredibili. Certo, va gestita con intelligenza, competenza, professionalità e grande senso di responsabilità.

Donne e giornalismo: esiste solidarietà femminile in questo settore della comunicazione?

Decisamente sì. Io ci credo tanto. La vivo ogni giorno con le mie colleghe sia dentro la mia redazione che fuori. E poi, tu ed io non ne siamo forse esempio? Non appena ci siamo conosciute è nata subito fra noi una grande sintonia umana e professionale.

” Questa terra è anche mia” è il titolo del tuo libro pubblicato nel 2018. Cosa ti ha ispirato nella stesura dell’opera e qual è il messaggio che hai voluto lanciare?

Questo libro è nato per celebrare i 40 anni – compiuti nel 2018 – della cooperativa Agricoltura Capodarco di Grottaferrata, una delle prime e più importanti esperienze in Italia di agricoltura sociale, per il recupero e il riscatto sociale e lavorativo di persone con disabilità e in condizione di disagio e marginalità attraverso il lavoro della terra. Come dice il nome, questa cooperativa è legata alla Comunità di Capodarco (nata a Capodarco di Fermo). Nel libro ho raccolto storie esemplari di rinascita, riscatto e solidarietà di alcuni protagonisti della cooperativa.

Da Fabriano a Milano, dove vivi attualmente. Cosa ti porti nel cuore della nostra Città e quali legami a te cari sono ogni giorno presenti nella tua vita, lontana dalla terra di origine?

Di Fabriano mi porto nel cuore tutto, la famiglia, gli amici storici, i legami più importanti. Ad oggi ho trascorso molti più anni di vita a Milano che a Fabriano, ma io sono e resto sempre fabrianese. Se le tue radici sono salde puoi andare dovunque e trovarti bene in qualunque posto, perché saprai sempre dov’è la tua casa, il tuo porto sicuro. Da qualche tempo, quando torno, mi piace passeggiare a zonzo per i vicoli, riscoprire e fotografare certi angoli e scorci. E mi ritrovo a pensare: “Ma quant’è bella questa città?”.

Gigliola Marinelli

Nella foto da sx: don Tonino Lasconi, Giulia Cerqueti e il giornalista Vincenzo Varagona