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‘2016 ODISSEA NELLO STRAZIO’: LE FRASI FATTE DA NON PORTARSI NELL’ANNO CHE VERRA’

Quando un anno sta per concludersi e si riavvolge il nastro, nel rivivere il film in 3D sono sempre gli eventi, le parole e gli stati d’animo negativi a prendersi il primo piano (e il proscenio in generale), lasciando sbiadito sullo sfondo invece il “bello” (che nel soppeso delle emozioni ci sta sempre). Il 2016 è stato un anno “dimenticabile” per tante cose, e come si usa dire il dentifricio una volta uscito dal tubetto non si rimette mai dentro. Però affrontare il “dimenticabile” spesso aiuta a progredire. In questa rubrica spesso abbiamo snocciolato in chiave “light” paradossi, vizi e vezzi della politica, del suo linguaggio e del suo “humus” comunicativo. Di ciò che abbiamo letto, udito, scritto e farneticato ci sono tante frasi (per lo più fatte), espressioni ed enunciazioni che vorremmo rimanessero relegate nei faldoni del 2016. Qui ne stiliamo un breve elenco, consapevoli che l’1 gennaio (ahimè) le ritroveremo tutte salde al loro posto.

“SERVE UN GRANDE LAVORO DI INTELLIGENCE”. Abbiamo tagliato il nastro del 2016 a gennaio con gli agghiaccianti “frame” del Bataclàn ancora vivi coi loro sanguinolenti megapixel nelle nostre pupille e lo abbiamo chiuso con i nostri big della politica a darsi pacche sulle spalle per i due poliziotti in pattuglia notturna a Sesto San Giovanni, portati in trionfo per aver silenziato l’autore della mattanza di Berlino Anis Amri. Il quale, prima di salutare il globo terracqueo, si è percorso indisturbato mezzo Vecchio Continente con una Winston in bocca e mangiandosi pacioso rustichelle in stazioni stra-affollate e iper-monitorate. A dimostrazione che una bella “botto di culo”, talvolta, è più provvidenziale della tanto strombazzata (e strapagata) quanto inefficace intelligence. Nella corsa al melenso tweet d’amor patrio per le gesta dei nostri due uomini in blu, il Belpaese è riuscito ad accapigliarsi anche sulla querelle relativa alla diffusione delle loro identità, dopo che dal Viminale (in preda a furore patriottico di stampo balilla) il neo-inquilino Minniti ci ha svelato vita, opere, omissioni e persino la composizione delle squadre del fantacalcio dei due agenti. Insomma, l’intelligence non ha soltanto fallito in Europa: il guaio è che se ne vede sempre meno (di intelligence) nelle calotte craniche di chi ci governa.

“LO STATO TAROCCA LA MAGNITUDO PER NON RIPAGARE I DANNI”. Un terremoto è sempre un evento “dimenticabile”, specie se colpisce la terra che si ama. E quest’anno in termini di lacrime e paura abbiamo dato (e tanto). Di dimenticabile il sisma ha però riportato in auge la mamma di tutte le corbellerie (“bufala”  è troppo poco), già fruita in occasione degli altri eventi sismici dell’era social (L’Aquila 2009 ed Emilia 2012). Si parla tanto di post-verità, disintermediazione e menate varie da guru della comunicazione con spocchietta sporgente. Una cretinata però resta una cretinata, che sia detta a voce o sventagliata su Facebook, e il problema diventa catastrofico quando ne viene sparata una e non sforziamo più nemmeno un millimetro di corteccia cerebrale per tentare di riconoscerla.

#LaVoltaBuona #MatteoRisponde #VotiamoliVia #IoVotoNo #BastaUnSì. Il regalo più bello che il 2017 potrebbe e dovrebbe farci è una cura da cavallo contro l’hashtagghite acuta, che ormai ha contagiato le testiere dei politici e dei loro “socialmediacapisciotti”. Da quelli rosei imbevuti di ottimismo del renzismo a quelli pugnaci e arrembanti del grillismo, passando per i morfemi da rutto libero di Salvini ai deficit grammaticali dei Gasparri e simil-cricca, l’ecatombe semantica è stata devastante e si sono celebrate le esequie di quasi tutte le figure retoriche: dalla metonimia al calembour, dall’ossimoro alla sineddoche. Ovviamente ciò non avverrà, e le violenze carnali nei confronti della morfologia continueranno a passo di carica con veemenza bruta.

“I GIOVANI SONO BRUTTI, SPORCHI, CATTIVI E PISCIASOTTO”. Questa frase (per ora) non la ha mai utilizzata nessuno, ma presto potrebbe tranquillamente comparire. Magari in una conferenza stampa a Palazzo Chigi, in un convegno alla Bocconi o in un galà a Palazzo Farnese, chissà. Tra i titolari di un ministero però il tiro al piccione nei confronti dei precarissimi, sfiduciatissimi e penalizzatissimi (ma non per questo santi) giovinastri italici diverrà presto sport olimpico come l’arrampicata e lo skateboard a Tokyo 2020. Naturalmente in quell’occasione la fiaccola verrà accesa da un’alitata al gusto “Vecchia Romagna” di Poletti.

“VOGLIO RIPORTARE A VOTARE CHI NON VOTA PIU’”. Ci passate un francesismo? Che due abnormi palle. Dal segretario generale dalle Nazioni Unite al sindaco di Civitella in Val di Chiana tutti ripetono in loop sta mantra-boiata come fosse una ghirlanda da mettersi attorno alla carotide per farsi belli. La cosa più esilarante è che chi incastra questa bugia pinocchiesca incorniciata in soavi “spottoni” propagandistici sa benissimo una cosa: alcuni italiani piuttosto di andare al seggio passerebbero una domenica all’Ikea con la suocera proprio perché la nostra classe politica è quella che è. Cantilenante e onnipresente, oltretutto.

“QUESTO E’ IL GIORNALISMO ITALIANO, POI SI SPIEGA PERCHE’ SIAMO 349ESIMI AL MONDO PER LIBERTA’ DI STAMPA”. Detto che il giornalismo italiano è imputridito da penne ultras, sciatteria e sempre minore coscienza intellettuale della professione che si svolge, i colpi di alabarda che i giornalisti italiani si prendono a ogni piè sospinto fanno francamente sorridere (do you now Walking Dead?). Così come fa sganasciare dalle risa la lacunosa classifica internazionale sulla libertà di stampa che viene agitata a petto in fuori un giorno sì e l’altro pure: quel ranking tiene infatti conto dei giornalisti minacciati o sotto scorta, che l’Italia ha in numero crescente. E se in generale i cronisti danno l’idea di essere poco liberi, togliere fondi a giornali e attività editoriali è il chiodo sulla bara del pluralismo e dell’imparzialità: la cancrena del giornalista supporter non si risolve dando la possibilità di fare giornalismo solo ha chi possiede grana. Altro mito quanto meno “farfallino”.

“SONDAGGISTA? MESTIERE MORTO”. Frase fatta con la quale si beano tutti gli analisti politici di vaglia e non mezzo minuto dopo qualsiasi voto, da quello per la Casa Bianca a quello per amministratore di un condominio del Nuovo Salario. Ok, gli exit polls non ci hanno preso con la Brexit e neppure con Trump. Però nel caso degli Usa, un americano su due interpellato nei sondaggi ha dichiarato di aver mentito (là fanno sondaggi sui sondaggi). Tutti bravi a fare i “ganassa” dopo, ma la metodologia quella è: se davvero non li si ritiene credibili, si può fare come ha fatto Matteone Renzi per il referendum, cioè ripetere per tre mesi che quello dei sondaggi è un puerile giochino. Purtroppo per lui però, sul “No” non solo ci hanno azzeccato, ma si son portati via tutto il jackpot.

“EH MA CON UN AVVISO DI GARANZIA SI DEVE DIMETTERE”. No, no e no. E’ vero che invecchiando si diventa più garantisti, però da “Mani Pulite” (e da parecchie storture che quella stagione portò con sé) è passato un quarto di secolo, e sta filippica che il destinatario di un’informazione di garanzia va equiparato a un malato d’ebola o a un appestato ha decisamente stufato. Fermo restando che la lagna (di molti) sul protagonismo dei giudici non è da meno in quanto a insopportabilità, i gradi giudizio (almeno fin quando il nostro codice di procedura penale non verrà modificato) sono tre. Perciò finiamola: sta nenia è peggio di un greatest hits dei Jalisse.

“CIAO GRANDISSIMO. INSEGNA AGLI ANGELI…”. Secondo il sentire comune, questo 2016 è stato l’anno della carneficina di personaggi famosi. Che tanti grandi ci hanno lasciato è indubbio: cantanti e musicisti (David Bowie, Glenn Frey, Prince, Leonard Cohen e un giovenco George Michael), big “intellettuali” nostrani (Eco e Fo su tutti), personaggi tv (Anna Marchesini, Luciano Rispoli, Lino Toffolo), attori (da Silvana Pampanini a Franco Citti, da Bud Spencer a Carrie Fisher ieri) e via ancora col funereo listone. Tra un RIP e l’altro siamo costretti a dare una mesta notizia: ne moriranno purtroppo altri nel 2017 e continueremo giustamente con il nostro legittimo e pittoresco cordoglio social. Magari però evitiamo di prendercela col 2017 come abbiamo fatto col “cattivo” 2016: in ogni anno passano e passeranno a miglior vita personaggi noti e amati. In fondo l’unica cosa che abbiamo in comune con loro, se ci si riflette un attimo sopra, è proprio questa. Gaudente 2017 a tutti.

Valerio Mingarelli