Psicologia relazionale e mondo giovanile: l’intervista al professor Fabio Migliorini
Disagi relazionali e comunicativi, dipendenze, ludopatia. Problematiche difficili che riguardano un numero sempre maggiore di giovani del comprensorio. Ne parliamo con il professor Fabio Migliorini, psicologo e psicoterapeuta relazionale, docente di Psicologia della Comunicazione e delle Relazioni Umane presso l’I.S.S.R. di Ancona (Pontificia Università Lateranense). E’ stato docente di Psicologia dello Sviluppo e Psicologia della Religione presso l’I.S.S.R. di Caserta (Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale), Formatore Esperto in Management delle Risorse Umane. Autore di numerose pubblicazioni circa il tema della complessità e della sistemica relazionale.
Professore, lei si occupa di psicologia relazionale. In base ai dati da lei raccolti con la sua professione, possiamo capire quali sono i disagi dal punto relazionale e comunicativo rilevati soprattutto nei ragazzi più giovani?
Sono numerosi i volti del disagio che caratterizzano gli adolescenti del nostro tempo, tra i più ricorrenti è bene mettere in risalto le dipendenze da droghe e da alcol, i disturbi del comportamento alimentare e i disturbi d’ansia. Ritengo, però, doveroso precisare che quelli che chiamiamo disagi dei giovani non sono distanti da quelli dei cosiddetti adulti di riferimento e quindi dalla famiglia. In effetti fatichiamo ancora a comprendere in che misura noi siamo relazione e pertanto fatichiamo ad accettare come il disagio dei giovani sia comunque connesso a quello degli adulti; fatichiamo ad accettare come il disagio dei figli sia, in un certo modo, connesso a quello dei loro genitori. Pertanto credo sia fondamentale sviluppare una cultura della condivisione, una sensibilità relazionale che promuova corresponsabilità anziché sentenze di condanna.
Pertanto, quanto incide nel malessere dei ragazzi un ambiente famigliare poco comunicativo dal punto di vista relazionale?
La famiglia, in quanto agenzia educativa, è coinvolta in un processo di significativa partecipazione. Il disagio del figlio non è solo un disagio del figlio, come prima ho messo in evidenza, ma dell’intera famiglia. Spesso crediamo che solo quando si è visibilmente sintomatici alcune cose vadano riviste; al contrario, bisognerebbe costantemente portare attenzione alle persone a noi vicine, bisognerebbe portare attenzione ai nostri contesti di riferimento. L’unica vera crisi è quella relazionale e pertanto dovremmo allenare le nostre orecchie e soprattutto il nostro cuore ad un ascolto sincero, capace di accogliere e di incontrare. I giovani, non solo di questo tempo, hanno bisogno di ascolto e non solo di consigli, le ragazze ei ragazzi dei nostri giorni hanno bisogno di spazi più che di progetti, hanno bisogno di condivisioni più che di brutali correzioni. Inoltre nessuno di noi può dare agli altri quanto non ha saputo dare a se stesso; da qui l’impegno a fare prima qualcosa per se stessi e poi, direttamente o indirettamente, per chi vorremmo aiutare.
La cronaca sempre più spesso ci segnala situazioni di microcriminalità riguardanti anche ragazzi di giovanissima età, unitamente al sempre più frequente uso e detenzione di sostanze stupefacenti oltre che all’abuso e dipendenza da alcol. Riusciamo a fornire una lettura psicologica di questi comportamenti?
Premetto che i disturbi di dipendenza possono essere il risultato di una combinazione complessa di fattori psicologici, biologici e ambientali. Ecco perché il trattamento spesso coinvolge terapie che affrontano tutti questi aspetti. Anche per la microcriminalità abbiamo approcci che si prestano a varie letture e di conseguenza a vari interventi. Personalmente ritengo che un fenomeno complesso come la dipendenza e la microcriminalità vada affrontato con altrettanta complessità, intendo con una lente che ponga in evidenza i collegamenti che intercorrono tra aspetti familiari, sociali, economici e individuali. In effetti solo approfondendo in che misura la famiglia, il gruppo dei pari, l’eventuale presenza di adulti di riferimento e il carattere stesso del giovane possono costruire una data condizione, diventa possibile riconoscere un disagio ed intervenire efficacemente.
Altro dato inquietante riguarda i giovani, e non solo, vittime della ludopatia. Spesso i famigliari sono gli ultimi a prendere coscienza del problema dei loro figli, che situazione abbiamo nel territorio?
La ludopatia, ossia il gioco d’azzardo patologico, è una forma di dipendenza in crescita su tutto il territorio nazionale e quindi non solo a Fabriano. Questi dati ci fanno riflettere sulla ricerca sbagliata di una “ricompensa” che molte persone, in particolare i giovani, non riescono ad esperire in particolari ambiti e quindi in particolari modi. Ritengo che alla base ci sia una importante misconoscimento di se stessi dovuto ad uno scarso interesse nel realizzare comunicazioni chiare, autentiche e possibiliste con la famiglie, con gli insegnanti e con il gruppo dei pari; in effetti parliamo di tutto, ma ci conosciamo pochissimo. Sempre presi dalle nostre attività non sappiamo più chi siamo; pensiamo solo a “combattere” e intanto rischiamo di perderci occasioni preziose come anche quelle tramite le quali conoscere i “nostri” figli o i “nostri” studenti. Il suggerimento? Incuriosiamoci dei giovani, impariamo a condividere di più, non lasciamoci divorare dalle paure e dai “dover essere”; forse, in questo modo, facciamo un bene a loro, ma anche a noi stessi.
Che strumenti sono a disposizione delle famiglie di questi ragazzi per affrontare un percorso di cura da questo tipo di dipendenze?
È significativo, attraverso il coinvolgimento delle istituzioni, rendere consce le famiglie di quella rete d’aiuto grazie alla quale potersi sentire affiancati nell’arduo compito educativo. I genitori, in effetti, possono sentirsi sostenuti e accompagnati nel momento in cui possono contare sulla presenza di servizi territoriali e di esperti del settore capaci di accompagnarli e di renderli quindi corresponsabili di un particolare disagio.
Sarà presente oggi come relatore all’evento “Nei tuoi occhi è il mio cielo” organizzato dalla Parrocchia della Misericordia di Fabriano in collaborazione con il Gruppo Bondoni. Si parlerà di “Relazioni di luce: la dimensione del mutamento”, di cosa si tratta nello specifico?
L’incontro di oggi si inserisce in una serie di altri incontri che avranno per oggetto il rapporto che intercorre tra scienza e fede; in particolare parleremo del vivere e del morire, della vita oltre la morte, e di quei passaggi che già su questa vita parlano di un oltre; per oltre intendo ogni passo verso la crescita personale, verso il superamento dei pregiudizi e quindi l’apertura nei confronti dell’ignoto. L’oltre a cui faccio riferimento è quella dimensione di vita che spesso il disagio, anche quello descritto prima, impedisce di concepire; da qui l’invito ad una più feconda attenzione per una più concreta ripartenza!
Gigliola Marinelli
Nella foto: Prof. Fabio Migliorini