LA FAVOLA DEGLI INGLESI DI PERIFERIA – di Alessandro Moscè
Davide e Golia: nello sport le parti possono essere invertite e il gigante, a volte, esce sconfitto dalla sfida sorprendendo tutti. “Il calcio ha le sue ragioni misteriose che la ragione non conosce”, ammetteva Osvaldo Soriano, giornalista e scrittore argentino. Una storia, tante storie di piccoli e leggendari campioni esplosi all’improvviso dal nulla. La favola del Leicester, che ha appena vinto la Premier League, ha dell’incredibile. Si è aggiudicata il campionato inglese con un giocatore che cinque anni fa militava in una squadra di operai, con uno che viene dal campionato amatoriale francese, con un altro ancora che ha avuto problemi con la giustizia. Scartati e disadattati, vecchi, rivalutati dal mister italiano Claudio Ranieri, finora conosciuto in patria come “perdente di successo”. Un miracolo sportivo in una città che ama il rugby più del calcio. Il Leicester non ha mai vinto nulla in 131 anni di militanza. Le stelle là davanti, gli attaccanti, sono costati due milioni di euro, una miseria. Il club fattura un quarto dei colossi inglesi, fra tutti il Manchester United e il Chelsea. Le “volpi blu” di Ranieri, come vengono soprannominate, un paio di stagioni fa finirono nel mirino della dirigenza per il rischio di saltare economicamente. L’obiettivo di settembre era il raggiungimento di una salvezza tranquilla. Una compagine di scalmanati che solo Ranieri riesce a domare, non ha mollato la testa della classifica a partire dall’inizio del 2016. Si dice che i ragazzi del Leicester siano stati aiutati da una forza esoterica, la sepoltura di re Riccardo III nella vicinanze dello stadio. Da quel momento è cambiata l’aria. Qualcuno pensa all’influsso dei monaci buddisti che vengono spesso nell’arena dove il Leicester gioca le partite e che avrebbero adottato riti propiziatori per scacciare il maligno. Ha dichiarato Ranieri: “Penso che la nostra vittoria sia importante per il calcio. Dà speranza a tutti i giovani giocatori che non sono considerati abbastanza bravi. Cosa serve per arrivare? Un nome? No. Un contratto? No. Serve tenere aperti cuore e mente, serve una batteria piena e correre liberi. Ora faremo due cene a base di pizza”. Analogie con un calcio che non c’è più, dove l’allenatore era un secondo padre al quale confidare le proprie angosce. E’ successo, in Italia, con il Cagliari di Scopigno, con la Lazio di Maestrelli, con il Verona di Bagnoli e con la Sampdoria di Boskov. Neanche il business ormai in mano agli sceicchi d’oltreoceano, riesce a calibrare tutti i fattori, a volte imponderabili. Considerava Gianni Brera: “Può anche succedere che una partita venga dilatata a saga, a poema epico. Non ti formalizzare. Il calcio è straordinario proprio perché non è mai fatto di sole pedate. Chi ne delira va compreso, non compatito. E va magari invidiato, non deriso”.
Alessandro Moscè