SUORA DI CLAUSURA PARTORISCE A SAN SEVERINO MARCHE

Una suora di origine sudamericana, da giugno ospite di un convento di clausura della provincia di Macerata, ha partorito un bambino nell’ospedale ‘Bartolomeo Eustachio’ di San Severino Marche. La notizia è stata pubblicata dal Corriere Adriatico. La suora, di cui non si conosce l’età, domenica scorsa sarebbe stata accompagnata al pronto soccorso da alcune consorelle: lamentava un forte mal di pancia, ma dopo un’ecografia è stata subito trasferita in ostetricia dove ha dato alla luce un bimbo, poi trasferito nell’ospedale di Macerata. A San Severino i conventi di clausura sono due, Santa Rita e Santa Caterina, ma nella zona ci sono numerose altre strutture religiose.

La vicenda della suora di clausura che ha dato alla luce un bambino nell’Ospedale di San Severino Marche fa seguito ad un altro caso analogo, accaduto nelle Marche nel 2011, con strascichi giudiziari e proteste di piazza fino a tutto il 2014. All’epoca, una suora congolese di 41 anni, oggi tornata allo stato laicale, diede alla luce una bambina nell’ospedale di Pesaro. La donna era stata stuprata all’estero da un sacerdote straniero, ed era poi stata accolta in un convento marchigiano. Dopo il parto non aveva riconosciuto la figlia nei tempi stabiliti dalla legge, e la neonata era stata data in affido ad una coppia della provincia di Macerata. Poi però l’ex suora, non riammessa alla vita consacrata dal suo ordine religioso, cambiò idea e fece ricorso per riavere la figlia. Nel febbraio 2014 la Cassazione le diede ragione, opponendosi al via libera alle procedure per l’adozione attivate dalla Corte di Appello di Ancona, che aveva ritenuto fuori tempo massimo (tre mesi e mezzo dal parto), il ripensamento della madre naturale. La bimba venne riconsegnata alla madre, ed entrambe sono andate a vivere in una casa famiglia. I genitori adottivi hanno continuato a protestare per riavere la piccola, sostenuti dal un Comitato di Tolentino, ‘Nati dal Cuore’, che ha dato vita a manifestazioni e fiaccolate sostenendo che la bambina aveva diritto di crescere ”nella famiglia che l’aveva voluta e amata”. (ANSA)