CALCIO SERIE A: IL FABRIANESE SIMONE GIACCHETTA NUOVO DIRETTORE SPORTIVO DELLA CREMONESE

Bisogna far attenzione ai propri sogni perché a volte si avverano! Possiamo così sintetizzare la storia umana e professionale del calciatore fabrianese Simone Giacchetta, oggi direttore sportivo della Cremonese, neo promossa in serie A. Lo abbiamo raggiunto per ripercorrere la sua fortunata carriera calcistica che lo ha visto condividere il campo addirittura con un mito assoluto quale Diego Armando Maradona. Un’occasione per conoscere di più la vera essenza umana di Simone ed i grandi impegni e sacrifici che ha affrontato nel suo percorso di formazione calcistica che lo rendono di fatto un grande orgoglio per la nostra Città, spesso poco generosa nel riconoscere e valorizzare le proprie eccellenze.

Simone, direttore sportivo della Cremonese in serie A. Come stai vivendo questa nuova avventura?

Il 6 maggio è stata una data importante molto importante per me, per Cremona e per la proprietà della Cremonese. Abbiamo tutti noi coronato il sogno di raggiungere la Serie A, grazie ad un impressionante ruolino di marcia in campionato con la squadra più giovane del torneo composta da tanti giovani di altissima prospettiva e alcuni giocatori, un po’più maturi, nel campionato di Serie B più difficile degli ultimi anni. Ci siamo subiti accorti a settembre che questa stagione poteva diventare magica, ma poi le difficoltà del campionato ci hanno regalato tante gioie e alcuni dolori che ci hanno sempre migliorato e resi protagonisti inaspettati con grande merito, con un finale rocambolesco, ma dall’esito positivo per noi. Abbiamo appena terminato la stagione ma ci stiamo già accorgendo di quanto sia ancor più entusiasmante e travolgente preparare la Serie A.

Torniamo al tuo debutto da professionista nel 1986 come attaccante della Civitanovese. Che ricordi hai di quegli anni?

La mia storia di calciatore è molto particolare. Ho iniziato a giocare a calcio a otto anni nella Fortitudo Fabriano dell’allora Presidente Ramadoro e del segretario generale Gaetano Marinelli, con sede presso il Collegio Gentile. Frequentavo la scuola, la parrocchia della Misericordia e la Fortitudo, questi sono stati i luoghi della mia primissima formazione calcistica.  Dopo la terza media, ho scelto di frequentare la Scuola Alberghiera di Stato a Senigallia e così mi sono dovuto trasferire in Ancona dai miei nonni, ai quali sarò sempre grato. La mia giornata tipo era la seguente: sveglia alle ore 5.30, colazione, poi a piedi con la borsa della scuola mi dirigevo alla stazione di Ancona per salire sul treno fino a Senigallia. Dopo sei ore di scuola, al suono della campanella, di corsa veloce in stazione per riprendere il treno da Senigallia con destinazione Fabriano per svolgere gli allenamenti e, finalmente, alla sera verso le ore 20.00 riprendevo il treno per rientrare in Ancona a casa dai miei nonni. Sono stati anni difficilissimi per un adolescente ma il mio grande amore per lo sport e soprattutto il calcio ha trasformato sacrifici e sofferenza in grande passione e motivazione, per cui alla fine questa vita da adolescente, così sacrificata, non mi ha mai demoralizzato e scoraggiato. Contestualmente, in questo periodo della mia adolescenza, venni notato da diverse società professionistiche come l’Inter e poi la Fiorentina ma, quando sembrava che fosse possibile il tesseramento con queste due importantissime società, alcune loro dinamiche interne impedirono il mio trasferimento, prima a Milano e poi a Firenze. Venni così segnalato alla Civitanovese, club di Civitanova Marche che disputava l’allora campionato professionistico di C2 e rimasi a Civitanova per tre anni fino all’ esordio in prima squadra nel 1986 in Perugia vs Civitanovese. L’anno successivo giocai titolare in prima squadra e giocando da attaccante realizzai a soli 17/18 anni dieci goals. A fine campionato meritai l’attenzione di tanti club di serie A tra cui il Napoli di Ferlaino, Moggi e soprattutto di Diego Armando Maradona. Così l’8 ottobre 1988 esordii in serie A in Napoli Atalanta vincendo al 90° con un mio goal all’esordio in Serie A, alla prima giornata di campionato!

Hai appunto avuto il privilegio di giocare nella mitica squadra del Napoli con Diego Armando Maradona, nel 1988. Che compagno di squadra era Maradona, hai qualche aneddoto da ricordare per i nostri lettori?

Negli anni’80 la comunicazione non era come oggi, non c’era internet o la partita per vie che ti danno la possibilità di sapere tutto quello che ti interessa e che rende quasi dei familiari certi personaggi che siamo abituati a vedere in TV o seguire sui social. Personalmente, non avevo idea di come potesse essere un giocatore di Serie A. Per me all’epoca sembravano tutti marziani, figuratevi quando per la prima volta in ritiro ho visto Maradona! Mi sembrava di aver visto Dio in terra, non ci potevo credere e potermi allenare con lui e vedere le sue abilità con la palla tutti i giorni e addirittura giocare con lui è stato un grandissimo privilegio. Di aneddoti con Diego ce ne sono stati tanti ma mi piace sempre sottolineare quanto fosse sempre disponibile con noi più giovani e che, all’interno del gruppo, era sempre pronto a risolvere i problemi dei singoli o della squadra. Personalmente lo ritengo il miglior giocatore di sempre.

Tanti anni nella Reggina fino alla storica promozione in serie A come capitano. Che emozione si prova a raggiungere un traguardo così importante?

La mia carriera non è sempre stata rose e fiori, anzi esattamente l’opposto. Gli anni con la Reggina sono stati anni difficilissimi, specie nei primi anni ’90 quando la squadra militava in serie C 1 ed era ultima in classifica. Poi la società si assestò sempre meglio e divenni il capitano per tanti anni, fino ad essere uno dei protagonisti della grande Reggina con cui ho giocato dalla Serie C alla Serie A, diventando un idolo locale. Per un ragazzo come me, forse cresciuto troppo in fretta, raggiungere la Serie A prima con il Napoli di Maradona e poi da capitano della Reggina sono stati le mie più grandi soddisfazioni sportive, oltre a quella della promozione in serie A della Cremonese in veste di Direttore Sportivo.

La tua carriera è di tutto rispetto, ti sei sempre sentito apprezzato dai fabrianesi o in qualche maniera ti aspettavi di più?

Ho dovuto praticamente lasciare la mia famiglia e quindi Fabriano prestissimo, dopo la terza media, ma pur rimanendo sempre legatissimo alla città e frequentandola spesso compatibilmente agli impegni professionali. Fabriano città non ha mai condiviso con me queste esperienze che tutto sommato potevano rendere tutti orgogliosi.

Possiamo tranquillamente dire che sei stato l’ultimo calciatore fabrianese ad arrivare agli apici nelle grandi squadre di serie A. Come mai è così difficile sfornare nuovi talenti nel nostro territorio?

Prima dell’arrivo del Fabriano Basket in serie A, alla fine degli anni ’70, la città era sicuramente calciofila. Tutti parlavano e si interessavano di calcio e la Fortitudo rappresentava un riferimento importante nel calcio fabrianese e marchigiano. La domenica pomeriggio lo stadio era molto frequentato dagli appassionati per vedere le gare interne del Fabriano Calcio. Poi, con il Fabriano Basket in serie A, il calcio fabrianese è rimasto a guardare quello che stava accadendo in città e non si è mai dato un vero obiettivo e un’organizzazione, in linea con i cambiamenti generazionali, che sono naturali. Il calcio a Fabriano è rimasto fermo agli anni ’70 e da allora, purtroppo, nessun ragazzino fabrianese è riuscito a coronare il sogno di diventare un calciatore professionista di alto livello. Oggi poi i ragazzini che giocano a calcio sono sempre meno rispetto al passato, non frequentano più la parrocchia ed i giardini per giocare a pallone ma preferiscono rimanere in casa con il cellulare in mano, per cui credo che se non riusciamo a coinvolgerli e a motivarli attraverso lo sport, con programmazioni e organizzazioni qualificate, sarà sempre più difficile trovare ragazzi talentuosi. Il territorio fabrianese poi è anche limitato geograficamente.

Ripensando ai tuoi esordi, alla tua carriera e oggi a questo importante impegno ancora in serie A, come è cambiato, se è cambiato, Simone Giacchetta?

Non credo di essere cambiato nei valori che mi hanno sempre trasmesso i miei genitori ed i miei nonni sin da piccolo, piuttosto ho avuto una formazione diversa da quella di un ragazzo che nasce e cresce in un paese dell’entroterra. Il calcio mi ha dato la possibilità di crescere, di confrontarmi con molte persone e fare tantissime esperienze, non solo sportive. Lo sport ti regala tante gioie ma ti mette a dura prova, ti motiva, ti delude, ti illude ma ti offre ancora la possibilità di farcela. Sono tanti i sentimenti che si provano quotidianamente nello sport a livello professionistico, difficilmente si possono condividere in una vita “normale”, più tranquilla e serena.

Dovessi dare un consiglio ai giovani che desiderano realizzare il loro sogno nel mondo del calcio, in base alla tua esperienza, cosa gli diresti?

Inseguite i vostri sogni attraverso le capacità, le motivazioni ed il sorriso, che non dovrà mai mancare, altrimenti vinceranno sempre la difficoltà e l’incertezza. La mia esperienza di vita mi ha insegnato questo.

Gigliola Marinelli