DON ALDO BUONAIUTO, IL “VIAGGIO” VERSO LA SALVEZZA

Oratorio della Carità di Fabriano sold out il 14 novembre per la presentazione del libro di don Aldo Buonaiuto “Donne Crocifisse – La vergogna della tratta raccontata dalla strada”. Alla presenza di un’imponente rappresentanza di autorità religiose, civili e militari, ma anche di tanti nostri concittadini, don Aldo Buonaiuto ha catalizzato l’attenzione dei presenti con testimonianze e racconti che hanno veramente toccato la sensibilità e gli animi dell’attenta platea. Di seguito la mia intervista a don Aldo che racconta ai nostri lettori, con immenso cuore e disponibilità, il “viaggio” verso la salvezza di tante giovani donne crocifisse.

Don Aldo, dopo 25 anni trascorsi accanto a donne vittime della tratta, anche molto giovani, sfruttate ed umiliate per la prostituzione coatta, quante donne crocifisse sei riuscito a salvare?

“Come servizio anti-tratta della Comunità Papa Giovanni XXIII, abbiamo salvato oltre 7 mila vittime della tratta finalizzata alla prostituzione coatta. Invece di speculare su un tema così drammatico bisognerebbe conoscerlo approfonditamente, affrontare la cruda realtà delle schiave del sesso per liberarle e riscattarle, piuttosto che mantenerle come tali o addirittura investirvi per trarne profitti. A Fabriano, al termine della presentazione del mio libro “Donne crocifisse”, il Sottosegretario all’Interno, Carlo Sibilia ha fatto con coraggio e convinzione “mea culpa”, a nome dell’intera classe dirigente del Paese, per l’abominio della tratta a scopo di prostituzione coatta. Questo è un primo grande passo in avanti”.

Quanto è stata determinante la tua lunga esperienza umana nella scelta di scrivere questo libro?

 “E’stata determinante. E’per questo che ho sentito l’obbligo di scrivere il libro. Il lungo tratto di vita trascorso di notte sulle strade italiane, prima con don Oreste Benzi e con i fratelli della Giovanni XXIII, hanno cambiato irreversibilmente il mio modo di sperimentare e condividere la fede. Nelle periferie geografiche ed esistenziali si incontra Cristo nelle piaghe delle nostre vittime. Nostre, perché tutte le volte che si parla di legalizzazione della prostituzione si cede alla tentazione diabolica di normalizzare l’inaccettabile. Neppure dovrebbe essere un’ipotesi quella di poter acquistare un corpo come se fosse un nostro diritto”.

Il tuo libro ha avuto l’onore della straordinaria prefazione scritta da Papa Francesco. Quali parole ha riservato il Santo Padre nei confronti di questa tua opera di altissimo spessore umano e caritatevole e quanta attenzione riserva la Chiesa al dramma delle donne crocifisse?

“Il Santo Padre ha detto chiaramente e con forza che una persona non può mai essere messa in vendita. Ha scritto nella prefazione a “Donne crocefisse” di essere felice di poter far conoscere l’opera preziosa e coraggiosa di soccorso e di riabilitazione che svolgo da tanti anni, seguendo il carisma di Oreste Benzi. Ciò comporta-ha sottolineato il Papa– anche la disponibilità ad esporsi ai pericoli e alle ritorsioni della criminalità che di queste ragazze ha fatto un’inesauribile fonte di guadagni illeciti e vergognosi. Il Pontefice ha espresso l’auspicio che il mio libro possa trovare ascolto nel più ampio ambito possibile affinché, conoscendo le storie che sono dietro i numeri sconvolgenti della tratta, si possa capire che senza fermare una così alta domanda dei clienti non si potrà efficacemente contrastare lo sfruttamento e l’umiliazione di vite innocenti. Parole in continuità con l’impegno testimoniato nel Magistero. Dal Concilio Vaticano II, in oltre mezzo secolo, tutti i successori di Pietro hanno avuto la forza profetica e l’umiltà di chiedere perdono per le colpe dei loro predecessori, degli organismi a loro affidati, del gregge di cui sono Pastori. Da prete di periferia, ma anche da cittadino del mondo, imploro i potenti della Terra di rendere giustizia a queste donne che sono state inchiodate alla croce dell’indifferenza, della complicità, della crudeltà, del “male minore”. Reggere rettamente le sorti dei popoli significa appellarsi alle loro pulsioni più elevate e nobili, non assecondarne gli istinti peggiori. Mi chiedo da confessore, quanti governanti si rendano autenticamente conto che quelle ragazze seminude in strada hanno la stessa età e gli stessi diritti di quelle figlie e nipoti che loro accudiscono con totale, principesca dedizione. Per una volta, e sarebbe davvero un gesto rivoluzionario, siano loro, come hanno fatto i Papi, a inginocchiarsi ai piedi delle croci viventi che nelle vene hanno lo stesso sangue di sacra dignità ma che hanno avuto l’infausta sorte di nascere, crescere, vivere senza la libertà, la verità, la condivisione che realmente ci rendono umani”.

L’aver focalizzato l’attenzione sul racket di queste giovanissime donne, l’aver comunque messo alla luce lo sfruttamento e l’abuso sulle stesse, ha secondo te rallentato il fenomeno della prostituzione coatta?

“E’ una battaglia da combattere ogni giorno. Queste creature non interessano a nessuno, purtroppo neanche a certi cattolici che ammirano l’opera ispirata da don Benzi, salvo poi restare indifferenti, insieme ai tanti che se ne lavano le mani. Al massimo qualcuno spenderà parole di riprovazione, ma poi sono pochi coloro che si muovono per aiutare queste vittime. Ogni volta che sembra alzarsi l’attenzione sui trafficanti di donne e uomini provenienti dai Paesi africani, non si sentono però parole di condanna sul reale mercato della tratta e delle schiave costrette a prostituirsi, come dei juke-box, utilizzate per far guadagnare tanti soldi ai racket attivi sulle nostre strade, con milioni di clienti che pagano per soddisfare le proprie perversioni”.

Spesso si pensa alla prostituzione come ad un dramma lontano da noi. In realtà molte delle giovani donne che si rivolgono alla tua struttura sono vittime di sfruttamento anche nel nostro territorio. Pertanto, anche vicino a noi, ci sono uomini che ritengono “normale” comprare il corpo di una giovane donna ad uso sessuale?

“Sì, assolutamente. Il punto è che girano tra noi persone assolte dal forte relativismo etico che trovano naturale e normale comprare il corpo di una giovane quasi sempre coetanea della propria figlia o sorella. Per una ragazza uccisa dal racket l’effetto domino della mobilitazione delle coscienze parte dal basso, dalla base della società ma stenta a scalare la piramide della classe dirigente. Più facile portare in piazza migliaia di manifestanti che trovare vero ascolto nei palazzi del potere. Sulla prostituzione coatta le istituzioni non fanno quasi mai sentire la propria voce per contrastare i mercenari che, ogni giorno, popolano indisturbati le strade italiane, i night e i vari bordelli che mettono in vendita migliaia di queste ragazze, di cui circa il 40% minorenne”.

La cultura maschilista, che porta spesso alla derisione ed a banalizzare la gravità di questo sistema di sfruttamento, quanto incide nel combattere lo stesso?

“Per evitare le tentazioni diaboliche della banalizzazione di una piaga sociale così grave è necessaria una maturazione individuale e collettiva. Dobbiamo superare una sotto-cultura maschilista che minimizza la gravità di questo gravissimo crimine conto l’umanità. Il maschilismo imperante, purtroppo anche da parte di molte donne, fomenta il convincimento sociale dell’utilità del meretricio e quindi della legittimità di poter comprare il corpo e sfruttarlo sessualmente per dieci, quindici, venti volte al giorno. Questa logica disumana rende lecita la compravendita del corpo altrui, elevandola anzi a un vero e proprio diritto. Le ripercussioni sulla donna “acquistata” non interessano. C’è chi parla con voce dirompente, fuori dagli schemi: una presenza tanto efficace quanto scomoda che ama dire la verità senza mezzi termini e che ha definito una tortura lo stato di prostituta. Coloro che invece si permettono di scherzarci o addirittura di paragonarsi a queste vittime lo fanno perché non le hanno mai guardate come persone – aldilà degli organi genitali – per cogliere nei loro occhi l’abisso di chi ha perso tutto, a partire dalla dignità umana. Si, perché quando vieni venduto e poi comprato ogni notte e usato e abusato aldilà della tua volontà, spesso senza avere alternativa, si tratta di un annullamento della persona, è sterminio dell’altro: è tortura”.

Dopo tante sofferenze e torture, quale futuro si può offrire alle donne crocifisse? Riescono a reintegrarsi con serenità nel tessuto sociale, a seguito del percorso offerto dalle vostre strutture di accoglienza?

“E’ un cammino lungo e complesso. Alcune ragazze sono segnate profondamente, fisicamente e psicologicamente, dal calvario da cui le abbiamo liberate e per loro è molto difficile potersi inserire in contesti lavorativi esterni alla comunità. Per altre, invece, le difficoltà sono minori. Una di loro per esempio ha espresso davanti ad autorità civili e religiose in visita alla nostra casa famiglia la sua aspirazione di poter lavorare come cameriera in un ristorante”.

Gigliola Marinelli