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IL FANTASMA ESCE DI SCENA

Insomma ci ha lasciato con una leggero senso di sbigottimento, andandosene in sordina, facendo un po’ il contrario di Zuckerman, protagonista dei suoi libri migliori. E’ vero dal 2012, praticamente dopo “Nemesi”, aveva smesso di scrivere, sostenendo che uno scrittore raggiunge il suo apice e poi dovrebbe evitare la decadenza. Da una delle ultime interviste apprendiamo che gli piacevano ormai i libri di storia e che leggere senza il conforto della condivisione con gli studenti e del confronto era un leggere di seconda mano. Philip Roth è morto di colpo e ha lasciato la letteratura mondiale con un vuoto immenso. Della vecchiaia non sapeva molto e la aspettava da anni con atteggiamento adolescenziale che in fondo è l’unico plausibile per chi si avventura sul viale del tramonto. Ebreo newyorkese ha ritratto nei suoi libri non solo l’America, la sua città e il suo quartiere, ma la società occidentale al passaggio del millennio. Allievo di un grande come lui, John Updike, i suoi personaggi possiamo intenderli come delle ramificazioni geniali e borghesi del più polare Harry Coniglio Angstrom, il protagonista della quadrilogia del suo maestro. Dunque il rovescio dell’America ottimista positiva e pragmatica, con quel bagaglio di rancore per la storia e per il presente che si realizzava in profonda ironia e sarcasmo. Certo il Nobel che tutti si aspettavano da anni, non glielo hanno dato perché, si sa, i parrucconi svedesi badano spesso ad altro che non alla qualità del fatto letterario. In ogni caso nulla ci impedisce di pensare che il suo irrefrenabile erotismo, la sua indomabile voglia di esplorare i recessi e in fantasmi del più antico istinto umano, siano all’origine di questa ostilità. Due volte premio Pulitzer, il Nobel avrebbe assomigliato a una consacrazione edificante che in fondo non doveva meritare e per chi lo ama questo vale come un autentico blasone. Nel “lamento di Portnoy” suo primo successo aveva messo in campo la riflessione autobiografica di un suo alter ego che nella scoperta della sessualità e della repressione religiosa apre la via della propria libertà. In “Pastorale americana” c’è invece l’affresco di una grande famiglia statunitense che dietro il successo del capofamiglia cela i fantasmi del fallimento e dello struggimento per una genitorialità sbagliata.  Quello che ci lascia Roth è una immensa lezione di vita, la perfetta fenomenologia del desiderio di vita che cela l’anima contemporanea. Senza infingimenti i suoi protagonisti guardano il mistero del tempo che passa, cercando di resistere, senza farsi da parte ma sempre evitando il patetico, esponendo al contrario una nostalgia che riesce a commuovere.  Se non fosse un sacrilegio, dato il sarcasmo ubiquitario, potremmo dire che ci troviamo di fronte all’ultimo dei romantici. Da questo scontro tra sarcasmo e commozione nasce spesso l’emozione più autentica della sua scrittura. L’ultimo romanzo che ho letto di lui è stato “Umiliazione” qualche mese fa, una storia drammatica con un finale funesto che narra la scoperta del fallimento della propria arte. Forse apprestandosi a terminare la sua parabola letteraria voleva dirci che nemmeno la vocazione artistica può essere un rimedio all’insensatezza del mondo. Questo amico ci mancherà molto, in ogni caso.

Alessandro Cartoni