STRADEMONTANE

Oggi, avrei potuto o dovuto parlarvi della resurrezione oppure del sacrificio, anche laicizzando la tematica, capitando questi sguardi nel lunedì dell’angelo, oppure avrei potuto affrontare un altro soggetto, magari impegnato, perché c’è sempre da non dimenticare le tragedie del mondo e la connivenza col silenzio di ognuno di noi, si sarebbe detto negli anni ’70. I bacchettoni del resto non muoiono mai. Ma allora avrei fatto meglio a saltarli questi sguardi, perché non si scrive a comando tanto meno su ordinazione o suggerimento o a scopo edificante. Ma c’era una cosa di cui avrei voluto parlare in un racconto e che poi per motivi diversi non sono riuscito ad affrontare cioè l’arte di correre. Intendo con ciò qualcosa che va al di là della tecnica podistica comunemente intesa, qualcosa che ha a che fare col corpo e le nostre esigenze emotive più segrete.

Ognuno corre per motivi diversi. Chi per fuggire da qualcosa, chi per trovare o raggiungere qualcos’altro, qualcuno per mantenere una forma, un peso. Qualcuno corre per sudare, chi per disciplina, per rinnovare un’abitudine, chi per sentire il vento sulla pelle oppure il lavorio dei muscoli, il sapore stesso dell’essere in vita. C’è anche chi corre per smettere di pensare, perché nella corsa c’è qualcosa che fa tacere immediatamente l’astrazione e attiva un sapere diverso, che ha a che fare col nostro essere animale. Ora che l’inverno pare finalmente dietro le spalle, un inverno così lungo di cui non si ricorda l’eguale, la comparsa del sole spinge a buttarsi sulle strade per aspirare l’aria che si rinnova. Anche il torpore e la fatica dell’oscurità che hanno pesato sulla mente e sul cuore ora possono essere dimenticati

Ma è meglio correre su strade che non portano in nessun posto, strade abbandonate segnate da obsolescenza, oppure interrotte, incompiute, perse di vista, uscite fuori dell’utilità. In qualche modo fuori dal mondo. Come la nostra Pedemontana per dire. Colma di buche certo, quasi abbandonata, con il cordolo consumato, a volte leggermente abbassata sulla carreggiata eppure a suo modo unica. Una linea che attraversa la campagna, transita attraverso la città verso una zona periferica fatta di colline e campi di erba medica, con zone di pascolo e fossi sprofondati dentro i campi arati, punteggiati di querce che sembrano arrampicarsi verso i paesi dell’Appennino, ormai rifugio di cornacchie ed uccelli selvatici.

Su strade come queste puoi far vagare l’immaginazione pensare al tempo della storia degli uomini e alle illusioni tue personali oppure collettive. Puoi pensare soprattutto alle cose che passano, a come dal fondo tutto si veda diverso. Se arrivi alla fine di questa strada, all’imbocco di una galleria cieca ti accorgi che la strada si interrompe, la galleria ha dentro un muro di roccia che nessuno ha mai scavato fino in fondo. Magari sudando ti rendi conto che puoi solo tornare indietro, verso la città, hai intorno il cielo terso e l’odore dei primi alberi fioriti, eppure non c’è uno sbocco, un passaggio verso qualcosa, o rimani lì o torni indietro, oppure capisci che proprio in quell’incompiutezza c’è il senso della vita

E’ bello allora rifare certe strade che assomigliano alla vita, attraversate da animali selvatici, lepri dai garetti alti o fagiani dal piumaggio maestoso e decidere di godersele senza doverle considerarle mezzi che portano verso qualcosa di reale. Queste sono le strade più importanti, le strade che portano ad un altrove che si rivela solo se sappiamo vederlo e ascoltarlo. Bisogna farle fino in fondo con i sensi aperti e il lavorio dei muscoli pronto, guardandosi attorno ma concentrandosi anche su di sé. Ascoltare il silenzio della campagna e i rumori sparuti che vengono dalle colline, ogni tanto aprire gli occhi ai riflessi del sole che cadono sulle pozzanghere mezze asciugate.

Ma soprattutto queste strade non vanno compiute, non vanno raddrizzate, né terminate e tanto meno cancellate, né messe in sviluppo come si direbbe oggi. In queste terre di nessuno c’è ancora qualcosa che ci riguarda e che è bello ritrovare. Sono le zone selvagge del cuore e della vita

Alessandro Cartoni