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MENO DISOCCUPATI NEL FABRIANESE, MA IL LAVORO NON C’E’

Meno disoccupati a Fabriano, ma non è un bel segnale. Scendono di oltre mille unità a Fabriano le iscrizioni alla lista di disoccupazione del Centro per l’Impiego, di quasi duemila se consideriamo l’ambito territoriale anche con Arcevia, Cerreto D’Esi, Genga, Sassoferrato e Serra San Quirico. Sale il dato negativo fra avviamenti e cessazioni. Il comprensorio, da tempo, è alle prese con una crisi senza precedenti, l’ultima scaturita a seguito di fallimento della Tecnowind con 247 dipendenti licenziati. Ecco i numeri. Si passa, a Fabriano, dai 5.025 dei disoccupati autocertificati al 31 dicembre 2016, ai 3.906 al 31 dicembre del 2017: 2.140 donne e 1.766 uomini. Diversi i fattori che possono spiegare questo calo. Da un lato il calo di residenti in città che determina anche una diminuzione delle iscrizioni. La diminuzione è imputabile anche a coloro che, per la mancata presentazione agli appuntamenti obbligatori del Centro per l’Impiego, hanno perso automaticamente l’iscrizione alle liste apposite. L’ultima ipotesi riguarda coloro che, sfiduciate, non si sono più iscritte in quello che, per anni, era chiamato l’Ufficio del Lavoro. Riferendoci al comprensorio sono 6.321 i disoccupati autocertificati – 3.472 donne e 2.849 uomini – rispetto ai 8.288 a fine 2016. Anche qui un calo non di poco conto di quasi duemila unità. Pure il dato su avviamento e cessazioni è allarmante. Nel 2017, un numero di avviamenti pari a 10.971, rispetto a 11.865 cessazioni. Dunque, un saldo negativo pari a 894, in salita rispetto al – 750 registrato al 31 dicembre 2016. L’ultimo dato da evidenziare è quello che riguarda i lavoratori in mobilità che sono 78 al 31 dicembre 2017, 26 donne e 52 uomini. A fine 2016, erano 891. Andiamo indietro nel tempo. 3.216 disoccupati domiciliati a Fabriano e iscritti al Ciof a dicembre 2010. Al 31 dicembre del 2011, un leggero incremento a 3.294 unità. Nel 2012 si sale a 3.615. La soglia dei 4mila disoccupati è stata sfondata a fine 2013 toccando quota 4.078. E la crisi non aveva ancora mostrato i segni peggiori. A dicembre 2014 sono saliti a quota 4.940; un calo di quasi 100 unità nel 2015, poi il baratro. Al termine del 2016 il bilancio finale ha toccato quota 5.025 disoccupati.

Sognando il lavoro stabile

L’analisi dei dati diffusi dall’Osservatorio sul precariato dell’Inps ed elaborati dall’Ires Cgil Marche, relativi all’anno 2017, mettono in risalto le distorsioni evidenti del mercato del lavoro regionale, in presenza di una ripresa consistente delle assunzioni. Le assunzioni a tempo indeterminato sono state, nel 2017, 20.888, 3.500 in meno (-14,4%) rispetto al 2016 e -21.724 (-51%) rispetto al 2015. I contratti stabili rappresentano solo il 10,2% dei contratti attivati mentre, nel 2015, erano il 26,4% del totale dei contratti. Aumentano significativamente le cessazioni dei contratti a termine (+30,5%) rispetto al 2016: segno evidente di un utilizzo indiscriminato di contratti a termine di brevissimo periodo. Il saldo tra assunzioni e cessazioni da rapporti di lavoro a tempo indeterminato è negativo per 16.247 contratti cioè i licenziamenti di tempi indeterminati sono maggiori delle assunzioni. Picco vertiginoso del lavoro precario con 153mila avviamenti a tempo determinato (+44,2% rispetto al 2016) e 21mila contratti stagionali: insieme, le due tipologie rappresentano ormai l’85% delle assunzioni complessive. Si evidenzia, inoltre, la crescita dei contratti di apprendistato con 10.325 assunzioni (+1.993 rispetto al 2016, pari a +23,9%). Nelle Marche, il crollo dei contratti a tempo indeterminato registra percentuali di quasi il doppio più alte rispetto al dato nazionale e molto al di sotto delle regioni del centro Italia. La nostra regione risulta essere la terza peggiore tra tutte le regioni d’Italia. “Il dato dei contratti di lavoro attivati evidenzia una positiva crescita ma, ormai sono evidenti i caratteri strutturali di un lavoro sempre più precario – dichiara Giuseppe Santarelli, segretario regionale Cgil Marche-. Questo è un chiaro segnale che descrive il tipo di sviluppo che, nella nostra regione, si sta affermando: un’impresa che compete sul costo del lavoro non ha speranza di sopravvivere a lungo. Il sistema delle imprese ha scelto la strada sbagliata. Chi si candida a governare il paese deve capire che vanno reintrodotte le causali nel contratto a termine e ridotte le forme di lavoro non stabili. In sostanza, occorre tornare ad investire nel lavoro di qualità”.