SPECIALE PINK FLOYD – prima parte

di Max Salari

Quante volte in una recensione di un CD abbiamo letto” questo brano somiglia ai Pink Floyd più sperimentali” oppure “…a quelli di The Wall” ? Moltissime direi , quasi a raggiungere la tortura psichica! Ma chi sono questi signori che hanno fatto da musa a così tanti musicisti? Perché si ispirano a loro, ma soprattutto, cosa hanno fatto di così innovativo? Molto si è scritto , quasi tutto quello che si poteva dire di un gruppo che ha stravolto gli equilibri del Rock e che ha osato molto di più, spingendosi oltre lo sperimentalismo  arrivando fino alla Psichedelica, tutt’oggi considerata loro figlia. Ripercorriamo anche noi  la meravigliosa strada aperta da questi ragazzi che certamente non hanno nel loro bagaglio musicale la parola “compromesso”.

                                                  La Storia

Tutto ha inizio nel 1965 con un complesso di nome Sigma 6, esso è composto da Bob Close, Syd Barrett, Rick Wright, Roger Waters e Nick Mason. Il debutto è nel Countdown Club in quel di Kensington, ma il gruppo ha vita breve , già l’anno successivo si ha la prima defezione, Bob Close lascia la band per dare inizio a quello che sono i valzer dei nuovi nomi da relegare al progetto. Si alternano The Screaming Abdabs a T-Set, per poi cambiare in The Meggadeaths e The Architectural Abdabs, ma è Syd Barrett a proporre il nome The Pink Floyd Sound che poi verrà mutato in Pink Floyd ispirandosi a due artisti Blues, Pink Anderson e Floyd Council.

Nel febbraio del 1967 è la volta del primo 45 giri  “Arnold Layne” , ma trovare una casa discografica non è cosa semplice, sono Polydor ed EMI che comunque fiutano il potenziale di questi giovani “capelloni” e si lottano a suon di dollari l’accaparramento del combo. Come abbiamo constatato in futuro l’ ha spuntata il colosso EMI. La canzone in questione ha un buon successo di vendite (ventesimo posto nelle classifiche Record Mirror) ma incontra pure i primi problemi sociali, il testo in se racchiude “A Arnold Layne piace molto vestirsi con abiti di donna” e Radio London censura il brano. Stranamente non la BBC e gli altri media. Waters liquida il fatto marchiando i proprietari di Radio London come dei “conservatori” non aperti alla libertà intellettuale. I testi sino ad ora sono sempre stati attaccati a temi prettamente amorosi.  Partono le tourneè e Syd già comincia a far parlare di se con comportamenti istrionici  grazie alla sua spiccata personalità ma soprattutto all’ LSD che purtroppo assimila.  Il sei Agosto esce il nuovo 45 giri dal titolo “ See Emily Play” ed è un altro successo visto il sesto posto piazzato alle spalle di capolavori quali “Are You Experienced” di Jimi Hendrix e “ Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” dei Beatles.

I tempi sono maturi per un vero e proprio album, nasce “The Piper At The Gates Of Dawn” ed è un vero e proprio lavoro “fuori di testa” come lo definisce il Record Mirror del due settembre 1967. La canzone “Astronomy Domine” diventa immediatamente un classico del repertorio Floyd e grazie alle sue atmosfere sognanti ed ariose fanno coniare alla critica il termine di “Space Rock” rimastogli loro a lungo impresso, forse anche ingiustamente . E’ un disco che sgorga energia ad ogni solco come ad esempio in un altro bellissimo brano dal titolo “Lucifer Sam”.  Il successo bussa alla loro porta e loro lo accolgono felicemente, ma Syd oramai devastato dalle droghe non riesce più a stare con la chitarra dietro la band durante le performance dal vivo. Si ricordano persino concerti in cui il povero Barrett si inginocchia nel palco reclinando il capo per fare scena muta per tutto il tempo. Ma questo non fa altro che accrescere il mito e la fama dei Pink Floyd che inseriscono nelle loro file un loro vecchio amico, David Gilmour al posto del forzato dimissionario Barrett.

E’ il 1968 e questo terremoto interno porta ad un vero e proprio mutamento stilistico, le canzoni cambiano radicalmente e la ricerca di nuovi suoni prende piede, è la nascita di “A Saucerful Of Secrets”. Piatti colpiti delicatamente con martelli di legno, chitarre suonate con l’asta d’acciaio del microfono, insomma canzoni date più o meno al caso ed improvvisate sono gli ingredienti di questo piatto sonoro. A tratti è la noia a dominare ma non va assolutamente trascurato il coraggio dimostrato nel percorrere questa nuova strada ne tanto meno quello della EMI a scommettere in cotanta follia. Si parla molto di Syd ma ora sembrano più fuori che mai… Le canzoni più rilevanti che i nostri suoneranno in concerto anche molti anni dopo tratte da questo album sono “Set The Controls For The Heart Of The Sun” e “A Saucerful Of Secrets”.

Questo nuovo modo di suonare attira l’attenzione anche di registi cinematografici i quali rimangono colpiti dalla semplicità con cui i Pink Floyd tramutino le sensazioni in musica (questa del connubio sensazioni-immagini-musica è una caratteristica dei nostri, basta guardare i clamorosi concerti offertici). E’ Barbet Schroeder ad accaparrarsi il contributo sonoro per il proprio film “More” e per i Floyd questa è la prima esperienza di colonna sonora (alla fine del 1969 vengono pure alla corte di Michelangelo Antonioni per il film “Zabriskie Point”). Due canzoni tratte da questo disco sono portate in sede live con discreta cadenza in quel periodo, “Cymbalyne” e “Green Is The Colour”.

Nello stesso anno,il 1969, concepiscono uno dei loro dischi più elaborati, “Ummagumma”. Questo è un doppio LP che allora uscì a prezzo limitato (9000£) ed è suddiviso in due distinte sessioni, la prima è presa dalla breve tournèe inglese del 20 giugno al Mothers Club di Birmingham e del 22 al College Of Commerce di Manchester, mentre il secondo disco è il risultato di improvvisazioni tenutesi ad Abbey Road fra agosto e settembre di questo anno. Nel primo disco i brani sono: “Astronomy Domine”, “Careful With That Axe,Eugine”, “Set The Controls For The Heart Of The Sun” e “A Saucerful Of Secrets”.  I Pink Floyd sembrano aver definitivamente abbandonato il lato più commerciale delle composizioni e la critica al tempo stesso sembra aver accettato di buon grado la loro scelta, così come il pubblico che è pronto a regalare loro un onorevole quinto posto in classifica in madrepatria.  Le ambizioni crescono, non bastano le sperimentazioni, la ricerca di nuovi suoni e soluzioni strambe, il gruppo di Waters vuole osare di più, una lunga suite (brano che racchiude tutto il primo lato del disco) con tanto di orchestra e cori. Il risultato è “Atom Heart Mother” (1970). Questa è una vera e propria opera Rock che a tratti può far venire in mente atmosfere bucoliche e Country, la copertina non poteva rendere meglio l’idea con la sua mucca al pascolo in primo piano, sicuramente la più famosa al mondo…

La paternità del lungo brano comunque sembra essere attribuita a Ron Geesin, vecchia conoscenza di Waters. Ma non si sa se questo sia effettivamente accaduto, resta comunque il fatto che i Floyd in merito sono sempre rimasti molto generici e come si dice, “se tuona da qualche parte piove…”. Il lato B del disco invece è stato registrato in tutta fretta con un risultato poco più che soddisfacente. L’acustica “If”, comunque, rimane una perla nella sterminata discografia Floydiana. La band suonerà “Atom Heart Mother” dal vivo solo fino al 1972 proprio a causa del suo ingente costo nel trasportare con se tanto di orchestra e coristi (circa 6.500 sterline di allora). Esistono comunque dei buoni bootlegs (dischi non ufficiali registrati senza il consenso del gruppo in sede live grazie ad un compiacente operatore al mix) che immortalano questo brano come “Take Linda Surfing” (Amburgo febbraio 1971) oppure “Cymbaline”. Addirittura uno speciale radiofonico della BBC dal titolo “Libest Spacement Monitor”.

Nel 1971 esce una raccolta dal titolo “Relics” contenente pure il mitico primo 45 giri “Arnold Layne”, ma questa non è altro che una scusa per prendere più tempo nel preparare il nuovo lavoro in studio. Di nuovo una lunga suite prenderà tutto il lato del disco (questa volta il secondo), ma la realizzazione non sarà così costosa come la precedente e nuovi pezzi ritornano ad essere più canzone e meno improvvisazione. Ma veniamo all’attenta analisi di questo contenitore sonoro che prende il titolo di “Meddle”: Di questo LP ricordiamo con molto affetto “One Of These Days”, esso per intenderci è il tormentone della sigla del programma sportivo “Dribbling” con il suo alienante giro di basso. La chitarra di Gilmour con i suoi lamenti quasi umani è sempre più padrona del caratteristico sound Pink Floyd e questa canzone ne è l’icona. Simpatico il Blues acustico di “Seamus” dove il levriero russo di Wright si cimenta dietro il microfono, veramente divertente, mentre “Fearless” è più canzone e sembra questa essere il nuovo percorso da intraprendere per i nostri geniali musicisti. “Echoes” è la lunga suite che dicevo, bellissima con i suoi crescendo e la sua malinconica dolcezza, sicuramente uno dei loro pezzi storici più riusciti ed imitati. Ma la critica di allora non vede di buon occhio questa semi sterzata verso una commercializzazione troppo ruffiana, è vero che il disco contiene psichedelica, suite e quant’altro ma alcune canzoni, secondo certa stampa, segnano un tentativo di cambiamento verso il soldo facile. Ma al pubblico non può interessare di meno e li premia offrendo loro un meritato secondo posto nelle Charts.

Nel 1972 ancora esperienza cinematografica ed è ancora Barbet Schroeder che dopo “More” gira “ La Vallèe”. Il disco si chiama “Obscured By Clouds” ed è stato registrato negli Strawberry Studios dello Chateau D’Herouville. Il film che narra delle avventure di un Hippie non coglie assolutamente consensi mentre il disco, soprattutto con il brano “Free Four” raggiunge addirittura le primissime posizioni della top 20 in America! Comunque sia è da dire che questo LP non è nulla di trascendentale ne tantomeno che venga ricordato nel tempo come disco fondamentale. Ma la storia li aspetta dietro l’angolo con quello che rimarrà per sempre il disco Rock per eccellenza, la perfezione: “The Dark Side Of The Moon” (1973). D’ora in avanti tutti i lavori dei Pink Floyd verranno paragonati a questo.

Nato quasi per caso da un insieme di frammenti sonori di session e prove a casa di Mason viene unito come un perfetto puzzle formando così tanti brani in uno solo.  I testi vengono scritti interpellando pure la gente comune sui propri problemi e quelli della vita in generale. Il disco comincia con il battito del cuore in “On The Run” che sta a significare le emozioni che un uomo prova durante l’arco della sua vita (secondo Gilmour). Ogni singolo pezzo del concept è un gioiello a se stante e quindi non è legittimo menzionare questo o quello, ma come non si fa a citare “Money”, “Us & Them” e “The Great Gig In The Sky” interpretata dalla magnifica voce di Clare Torry? Pensate che “The Dark”  è rimasto in classifica di Billboard per ben 725 settimane e l’ultima apparizione è stata nel 30 aprile 1988! Successone a dir poco…

Sempre nello stesso anno la casa discografica EMI pubblica “A Nice Pair” doppio LP contenente i primi due dischi “The Piper At The Gates Of Down” e “A Saucerful Of Secrets”. Nel 1975 la sbornia del successo di “Dark” non è ancora assorbita, ma i Floyd Proseguono per la propria strada incuranti del passato concependo uno dei dischi più belli della loro meravigliosa discografia e nello stesso tempo anche il più triste: “Wish You Were Here”. Narra la leggenda che questo fosse dedicato a Syd Barrett e che un giorno durante le registrazioni di “Shine On You Crazy Diamond” un uomo grasso e pelato si presentò agli studi durante i lavori. Nessuno lo riconobbe ma era proprio lui…. Le lunghe date dal vivo hanno tolto molta energia ai nostri , ma il lavoro riprende sulla scia dell’entusiasmo e la mitica suite “Shine …” viene scritta come “Echoes” ossia con piccole idee suggerite da diverse persone. Il completamento del brano è molto travagliato e servono addirittura sei settimane per arrivare ad un buon risultato. “Have A cigar”, prima canzone del lato B, è cantata da Roy Harper, vecchio amico di David Gilmour a causa della sua estesa tonalità non molto consona alle possibilità canore dei Floyd . Ma è la successiva acustica “Wish You Were Here” a far valere da sola il prezzo dell’intero disco. Questa è un brano storico che portano in tournèe dal 1977 e diventa per loro un vero e proprio marchio di riconoscimento. La copertina del disco rappresenta due uomini che si salutano stringendosi la mano ed uno dei due sta bruciando fra le fiamme (o è un uomo che si è bruciato? Riferimento a Syd?). All’interno troviamo curiosamente una cartolina con un uomo che fa la verticale dentro il mare. E’ ovvio che la critica aspettasse allora un altro “The Dark..” e che quindi accolse “Wish” con delusione, ma questo è veramente l’ennesimo capolavoro di un gruppo che disco per disco si sta evolvendo irrefrenabilmente. Il connubio musica ed immagine è sempre più marcato nelle prestazioni live, e spettacolari effetti e luci faraoniche rapiscono lo spettatore tanto da farli entrare di diritto nella leggenda musicale quale gruppo più psichedelico al mondo.

 Nel 1976 nei Row Studios di Londra incidono “Animals”. Il riferimento all’uomo che inquina è palese , soprattutto nella copertina dove sopra una squallida fabbrica sorvola un maiale, lo stesso che fanno volare sopra la testa della gente nei concerti. Questo lavoro che non raccoglie molti successi di vendite, ma che viene considerato un disco di transizione,è comunque il preferito del batterista Mason. I titoli delle canzoni riguardano solamente animali, “Dogs”, “Sheep” e “Pigs”. Anche in questo caso ci troviamo al cospetto di una lunga suite che prende quasi tutto il lato A del vinile, “Dogs”. Questa è secondo chi scrive, una delle più belle mai edite in tutta la storia del Rock.

Disco di transizione dicevo, prima del mastodontico concept che ha fatto da musa ad infiniti lavori di altri musicisti, quel “The Wall” che ancora oggi ascoltiamo con silenzio per non disturbarne la magia. E’ il 1979, Roger Waters ideatore del progetto lo concepisce in tre distinte parti. Queste risultano così correlate fra di loro tanto da convincerlo a farne un doppio LP. Durante l’ “In The Flesh Tour” Roger ha un infortunio in scena e da qui nasce l’idea di alzare un muro fra lui ed il pubblico, di questo ne parla con il futuro produttore Bob Ezrin assieme al quale decidono di farne di “The Wall” uno spettacolo ed un film. Il distacco di Roger dalla società, o meglio la saturazione psicologica che questa ha portato in lui ed il ricordo della morte del padre (mai conosciuto) in guerra in quel di Anzio lo portano a realizzare quello che ancora oggi consideriamo il capolavoro Rock per eccellenza.

Alienazione, frustrazione, distacco, droga, sesso questi sono solamente alcuni degli ingredienti che compongono sia il film di Alan Parker che il concept.  Pink è il protagonista (nel film interpretato dal cantante Bob Geldof) di questo viaggio che si conclude con il positivo abbattimento del muro. Naturalmente “The Wall” è un lavoro di Waters. La chitarra di David è protagonista assoluta ed i suoi lamenti fatti di note sostenute rendono perfetta l’atmosfera che i Floyd vogliono far respirare all’ascoltatore. Ma nulla è in confronto a quello che si può vedere dal vivo, aerei (ovviamente finti)che si schiantano con tanto di muro che si erge durante il concerto fino a separarli dal pubblico ed esplosione del suddetto nel finale.

Alla fine del gennaio 1979 il disco ha venduto 1.200.000 copie ed a metà degli’80 i 12 milioni. Ma questo segna pure la fine dei buoni rapporti fra i singoli componenti della band. La forte personalità di Waters rompe i precari equilibri all’interno della band la quale comincia a stancarsi dei suoi problemi e del suo passato privato. Con “The Final Cut” Roger rasenta la paranoia. Il titolo la dice lunga, “il taglio finale”, Water compone questo nuovo disco nel 1983 che sembra formato dai scarti di “The Wall”! I Pink Floyd non vogliono ripetersi, la loro storia ce lo insegna, ma Roger non sembra discostarsi da questo collaudato filone.  E’ la frattura , Waters se ne va. Per la giusta cronaca, il disco vende bene ma è privo di momenti veramente degni della storia. Pesanti dispute legali proseguiranno gli anni successivi sulla paternità del logo, ed alla fine la spuntano Gilmour e Mason i quali nel 1987, sempre per la EMI, pubblicano “A Momentary Lapse Of Reason”, onestissimo disco di canzoni con tanto di bei momenti chitarristici, super cori e quanto di meglio un lavoro Rock possa contenere, ma nulla di trascendentale. La sperimentazione sembra definitivamente conclusa, questo conferma il perfetto connubio che i quattro avevano in passato.

Le prestazione live sono sempre più clamorose, concerti con la presenza di 200.000 persone estasiate da effetti luce immensi e costosi crescono. Ma la stanchezza e l’età dei componenti stessi non consente più una fertile costanza concertistica.

Testimonianza discografica di ciò è “Delicate Sound Of Thunder”.

Bisogna attendere il 1994 per sentire di nuovo i Pink Floyd con nuovi brani. Ritorna Wright nei ranghi ed il risultato della reunion (se così la vogliamo chiamare) è il bel “The Division Bell”. Il gruppo ora capitanato da Gilmour migliora la qualità compositiva ma non si discosta poi molto dal suo predecessore in studio. Tutte le canzoni sono dei piccoli gioielli ma mancano le suite che caratterizzavano i dischi degli ormai stanchi Pink Floyd. Di nuovo concerti e questa volta vengono immortalati in “Pulse”. Di questo doppio CD esiste pure la videocassetta che nessun fans deve mancare. Quello che vedete al suo interno è qualcosa che nessuna immaginazione, nemmeno la più fervida , può auspicare. E’ il tripudio dell’immagine e della musica e forse pure il canto del cigno di un gruppo che ha dato non tanto, ma troppo al genere Rock! Nel 2000 è la volta di un nuovo live. Ma nuovo si fa per dire , visto che trattasi del capolavoro “The Wall” dal titolo “Is There Anybody Out There? The Wall Live”. Poi ancora lungo silenzio sino ad arrivare ad  una raccolta di successi degna di questo nome, “Echoes: The Best”. Effettivamente in esso si racchiudono molti cavalli di battaglia e chi non conoscesse bene il gruppo forse farebbe meglio a farci un pensierino.

Ancora un lungo silenzio, ma negli anni intanto le preghiere dei fans in qualche modo sembrano essere ascoltate, il clamoroso ritorno si ha nel 2014 con un disco tributo per la prematura dipartita del tastierista Richard Wright (morto il 15 settembre 2008). Ovviamente senza Waters, ma intanto il nome Pink Floyd ritorna all’attenzione dei fans. Il disco si intitola “The Endless River” e di esso ne usciranno tantissime versioni, dal picture disc al cd con dvd, doppio lp etc. etc. Mossa commerciale? Probabilmente anche questa potrebbe sembrare, i brani contenuti non sono altro che momenti in studio durante le registrazioni di “The Division Bell”, pezzi alcuni eliminati ed altri non approfonditi, comunque di buon livello. Ma non è un album epocale, con qualche sbadiglio di troppo. Mancano frangenti incisivi.

Non possiamo aspettarci di meglio, lo so, gli anni ne sono passati, ma mi piace credere, o meglio sperare, che il “Fluido Rosa” non sia terminato qui. Come un bambino credo nelle favole, chissà…..hai visto mai….

 

RECENSIONE

FERONIA – Anima Era

Andromeda Relix

Distribuzione: GT Music

Genere: Metal Progressive – Supporto: cd – 2017

Per un mio preciso modo di vivere la musica, essa deve essere una confluenza di fattori, ad iniziare dalla storia, ossia avere in se qualcosa del passato, avere personalità che modifichi  in un proprio stile questo passato, un mix di generi (se possibile), buone melodie da ricordare e quindi non soltanto ricerca, ed infine mi deve toccare le corde dell’anima. Troppe cose vero? In effetti non sempre i prodotti musicali riescono ad avere contemporaneamente tutti questi fattori al proprio interno, anche perché ogni ascoltatore ha un gusto personale a se, quindi inevitabilmente difficile accontentare tutti. Eppure anche nel 2017 certe emozioni non mancano e spesso derivano da generi musicali non prettamente popolari, come ad esempio il Progressive Metal.

I Feronia provengono da Torino e miscelano elementi Progressive Rock all’Heavy Metal senza disdegnare ingredienti epici. Sono composti da Elena Lippe (voce), Fabio Rossin (chitarra), Daniele Giorgini (basso) e Fabrizio Signorino (batteria). Si formano nel 2015 e l’intento è quello di riunire nella musica messaggi importanti quali poesia, ecologia, arte, psicologia ricerca spirituale, consapevolezza, politica e molto altro ancora. L’uomo non è al centro di tutto, neppure la donna, piuttosto nel pianeta tutto è incluso. Questa visione a “spirale” o meglio ancora “circolare” delle cose, ispira il nome Feronia, ninfa di origine etrusca (c’è chi dice Dea) che fa parte del pantheon delle Dee Italiche.

Molta carne al fuoco dunque, a partire da “Priestess Of The Ancient New”, prima canzone dell’album. La chitarra alza subito una barriera sonora importante e la voce di Elena ben si staglia nel contesto senza strafare, puntando sull’interpretazione piuttosto che alla fisicità. I più attenti di voi noteranno richiami a band come Queensryche, Nightwish e Rush.

Il sound Feronia tuttavia ha qualcosa di “italico”, i riferimenti si, ma metabolizzati, così lo si può evincere anche all’ascolto di “Atropos”. Il ritmo rimane sostenuto nella successiva “Wounded Healer”, canzone muscolosa contenente un buon assolo di chitarra, seppur di breve durata. Discorso analogo per “Garden Of Sweet Delights”, quasi quattro minuti di lavico metallo con un buon ritornello. Non stonerebbe nel mastodontico “Operation: Mindcrime” dei Queensryche, come non ci stonerebbe “Free Flight”. Più ricercata anche nelle ritmiche “Humanist”, qui i giochi sono differenti, si accorpano differenti caratteristiche del Metal, soprattutto quelle delle band già citate.

C’è anche un frangente maggiormente pacato dal titolo “Innocence”, qui la prestazione vocale è più matura, Elena Lippe gioca in casa. Ancora scintille con “Depths Of Self Delusion”, un alone di oscurità aleggia fra le note, quel velo che dona al brano un fascino in più. “Exile” non aggiunge e non toglie nulla da quanto detto, mentre più giocosa risulta “Thumbs Up!”, altra vetrina per Elena. La ritmica è rodata e oliata a dovere. Il disco si chiude con un pugno allo stomaco per graniticità, “A New Life” sa dove colpire.

Tengo a sottolineare anche un buon artwork di accompagnamento al disco, in versione cartonata e contenente un dettagliato libretto con testi e foto. Un prodotto maturo, professionale e ben registrato. Se vi capita o se lo cercate, dategli un attento ascolto. MS

Brano Consigliato Della Settimana

Feronia – “Priestess Of The Ancient New”        

https://www.youtube.com/watch?v=-OtVQBZFAHw

 

ROCK & WORDS sono Fabio Bianchi e Massimo “Max” Salari. Insieme raccontano la storia della musica Rock e dintorni, l’evoluzione e come nascono i generi musicali, tutto questo in conferenze supportate da audio e video . Assieme sono nel direttivo dell’associazione Fabriano Pro Musica.

FABIO BIANCHI: Musicista, suona batteria e tromba. Ha militato in diverse band fra le quali i Skyline di Fabriano e l’orchestra Concordia.

MASSIMO “Max” SALARI: Storico e critico musicale, ha scritto e scrive in riviste musicali di settore e webzine come Rock Hard, Flash Magazine, Andromeda, Rock Impressions, Musica Follia, Flash Forwards ed è gestore del Blog NONSOLO PROGROCK. Per sei anni è stato vicepresidente di PROGAWARDS, premio mondiale per band di settore Rock Progressivo e sperimentale.

PER CONTATTI: rockandwordshistory@gmail.it

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