MEMORIA OBBLIGATORIA?

Il 1 novembre 2005 la risoluzione 60/7 delle Nazioni Unite istituiva la giornata della memoria individuata nel 27 gennaio giorno della liberazione del campo di Auschwitz dal dominio nazista da parte dell’Armata rossa. Una decisione storica che cadeva nel 60 anniversario della liberazione dei campi. Da allora sono passati appena dieci anni un tempo però che assomiglia a un secolo.

Nel 2008 mi capitò di portare due classi del biennio in visita ad Auschwitz e fu una visita memorabile, intensa, dolorosissima, importantissima. Vidi degli adolescenti cambiare dall’oggi al domani, senza retorica, senza paternalismi di fronte al racconto che ci fece Olga la nostra guida nel vento freddo di Birkenau.

Olga, anche lei ebrea, ci raccontava di fronte a una delle baracche femminili come venivano trattate le ragazze ebree dalle altre donne (tedesche SS) che toglievano loro i figli appena nati e per annegarli come gatti nei secchi, di come i topi aggredissero le più deboli incapaci di alzarsi. Di come “wasser trinken verboten” (e la scritta a caratteri celtici campeggia ancora sul muro) fosse proibito persino bere in quelle baracche. Solo uno dei forni a Birkenau  è rimasto in piedi a futura memoria, per visualizzare concretamente il meccanismo della morte di massa che aveva elaborato il nazismo. Alle domande dei ragazzi Olga con frasi secche e lapidarie rispondeva a tutti rendendo l’Olocausto per quello che era un’operazione di genocidio e liquidazione storica. I ragazzi alla fine compresero che basta poco per realizzare “il prodotto” di una certa “concezione del mondo portata alla sue estreme conseguenze” come scrive Primo Levi.

Ma oggi che cosa ne è di questa importante lezione? Bisogna registrare quello che definirei un arretramento morale per troppa accumulazione. Quello che passa ormai è una kermesse della memoria che vede mobilitare le energie di superficie per lasciar languire le energie profonde, quelle che ogni individuo possiede e a cui dà fondo nei momenti di pericolo. Pare che il ministro dell’istruzione abbia addirittura sdoganato delle “linee di didattica per l’insegnamento dell’Olocausto” come se una materia così sensibile, così altamente nevralgica, così bruciante possa essere inculcata attraverso una memoria obbligatoria. E’ paradossale come questo paese riesca sempre a non farci dimenticare il fascismo (che pur biecamente approvò il manifesto degli intellettuali per la difesa della razza) anche nelle sue manifestazioni antifasciste.

“Auschwitz” non è una data, nemmeno un raccontino, né un manifesto, nemmeno un concorso letterario e nemmeno una gita, per quanto un viaggio là è forse la cosa più intelligente che si possa fare perché respirare quel vento, quel silenzio, vedere l’orizzonte del cielo che si piega sulla torretta del campo è portare a casa almeno un’idea di quello che fu.

Auschwitz rimane una esperienza dura faticosa in cui l’immaginazione deve collaborare con la ragione e farsi mostro e vittima per riuscire a cogliere e comprendere almeno un frammento umano di quello che lì si è rivelato, tutto il resto è umanesimo virtuoso.

Alessandro Cartoni

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