CARE MAGLIETTE GIALLE, SUL SISMA SONO 9 MESI CHE ‘FACCIAMO IL PUNTO’. CON AFFETTO: LASCIATE STARE
Care magliette gialle,
vi sono grato. Perché al di là della valenza socio-politica del gesto, tirare a lucido diversi anfratti e rioni della Capitale (che effettivamente è lurida, ma lo è in alterna misura da almeno quarant’anni) armati soltanto di ramazze, palette e bicipiti è senza dubbio opera meritoria. Strumentalizzata e rimasticata sin troppo, specie da certa stampa. Applausi quindi, a pieni palmi delle mani, per aver dato il vostro piccolo contributo alla profilassi di una città che, vivendoci, so di quale lerciume è portatrice insana.
Ora: sappiamo che domenica replicherete il servizievole promenade. Giusto il tempo di tirar fuori le t-shirt color crema chantilly dalla lavatrice e verrete spediti qua e là nei comuni appenninici “sbudellati” dal terremoto. Stavolta niente scope, scoponi o strumentistica di alcun genere: i vostri capibastone hanno deliberato che il compito domenicale è quello di sparpagliarsi tra i monti per “ascoltare istanze”, “prendere appunti”, “stare in mezzo alla gente”, “fare il punto”. In soldoni: dovrete andare nelle Marche, nell’Umbria, ad Amatrice, a Campotosto e via dicendo a tenere un po’ di compagnia a quei poveretti che non se la passano benone.
Dunque: patti chiari e amicizia lunga. Se chi anima l’indefesso spirito di abnegazione che vi contraddistingue non è in grado di dirvelo, tocca a noi darvi il “pizzicotto”. Da appenninico nato nella periferia del cratere, ve lo dico con tutto l’affetto di cui sono capace: prestare i vostri volitivi timpani alle nostre voci mugolanti è uno sfregio. Soprattutto è una cazzata, perché proprio chi vi manda ci ha derubricato a corale e fastidioso “piagnisteo” per nove mesi. Ripeto: nove mesi.
Visto che siete stati investiti del sopraffino e solidale incarico dell’ascolto, sentite qua. Tra agosto e ottobre dell’anno scorso è successo che ci siamo fottuti le case, un’economia, un abnorme patrimonio artistico, dei fiumi, degli scorci, dei borghi. Una storia insomma. A molti che popolavano il tratto di Appennino lungo quel rivolo che tutti conoscete chiamato “Via Salaria” è andata persino peggio: ad Arquata del Tronto e ad Amatrice c’è chi ci ha proprio lasciato la vita. Mano a mano che passavano le settimane ci siamo però resi conto di esserci giocati la cosa più importante: il futuro. Premetto: sugli Appennini viviamo sparigliati in cespuglietti più o meno fitti di case e gestire un pandemonio di tali proporzioni non era e non è facile. Va riconosciuto. Però dopo le due “schicchere” del 26 e 30 ottobre, un fiero canto si è levato: “Visto? Stavolta nessun morto. Segno che quando si lavora bene gliela facciamo vedere noi a sto cattivone di un terremoto” – è stato il ciangottio generale, nei palazzi romani in special modo. Ecco, quella baldanzosa e stupidamente orgogliosa smargiassata è stata la nostra condanna. Non avere morti da sottoporre al pubblico lacrimare ci ha attaccato addosso la pecetta color pastello di “sventurati di serie B”.
Carissimi amici in giallo, per elencarvi cosa è andato storto in questi nove mesi dovremmo riesumare la salma del nostro corregionale Giacomo Leopardi e fargli mettere su carta un altro Zibaldone. Perché non ha funzionato pressoché nulla: non è lambiccarsi, sono dati di fatto. La conferma più lampante la dovreste avere avuta nelle ultime ore: decine di consiglieri regionali e comunali che hanno la vostra stessa tessera di militanza politica, oltre a un lungo filotto di fasce tricolori sempre del campo recintato riconducibile a voi, vi hanno detto senza troppa prosa di starvene a casa domenica. Perché venire qui non è cosa.
Vedete, non è cattiveria, ma qui sono nove mesi che “facciamo il punto”. Sul nulla. Ora, di grazia, che punto volete fare voi il 21 maggio con chi ha passato tutto l’inverno in una roulotte? Che cosa vi deve dire l’allevatore che ha visto schiattare le sue pecore sopravvissane perché non ha avuto la stalla provvisoria per colpa di una gara d’appalto tragicomica? Di cosa vi deve parlare chi alberga sulla costa da mesi facendosi bocconate di chilometri ogni dì per andare a lavorare (e che ora verrà sbaraccato per far posto al festante popolo vacanziero) perché chi poteva non ha saputo dargli neppure quattro mura di latta? Quali illuminazioni vorreste avere da sindaci che hanno anticipato i pochi quattrini nelle loro casse per interventi d’emergenza e che ora non riescono a chiudere i bilanci perché, firma te che poi firmo io, la burocrazia tiene fermi tra la polvere dei ministeri milioni di fondi dei decreti-sisma bis, tris, quater, quinquies? Cosa possono raccontarvi medici e infermieri dell’ospedale di Amandola che lavorano dentro arrugginiti container fino a marzo gelidi e ora torridi? Con quale faccia deve guardarvi la famiglia che ha appuntamento per il sopralluogo “pro domo sua” a dicembre 2017? Oppure chi si è mosso per costruirsi una casetta in legno per cazzi suoi e ora rischia pure di finire nei casini per abuso edilizio? E ancora: di fronte ai mucchi di macerie che giacciono lì perché nessuno li porta via, cosa possiamo proporvi se non un selfie? Che deve dirvi la famiglia che gestisce il ristorante “Il Vecchio Molino” di Pieve Torina, dove soccorritori e uomini stipendiati da stato e parastato mangiano a quattro ganasce dall’autunno scorso senza che nessuno tiri fuori neppure gli spiccioli per un caffè corretto al Varnelli? E i meravigliosi ragazzi di “Terre in Moto Marche” o di “Io non crollo”, che da mesi si fanno il culo senza che qualcuno nelle stanze dei bottoni li fili e dia loro una mano, in che modo possono intrattenervi? Indovinelli? Cabaret? Avanspettacolo?
Se la vostra mansione è ascoltare, udite una voce amica: lasciate stare. Una scampagnata fissata così in quattro e quattr’otto da chi ha tenuto in mano le redini del carrozzone (e i cordoni della borsa) rischia di assumere i contorni della arlecchinata. I vostri intenti sono buoni, ma è a monte che l’idea è sbagliata. Sono nove mesi che sugli Appennini si “fa il punto”: farne un altro a favore di cineprese, ve lo dico col cuore, sa di accanimento barzellettistico.
Una cosa però ve la posso candidamente assicurare: a differenza di ciò che blaterano tanti maitre a penser o predatori da social network, nessuno vi aspetterà coi forconi o con i sassi della propria casa spallata in mano. Noi marchigiani solo ai denari siamo più sensibili che alla gozzoviglia, agli insaccati, ai fiaschi di vino e alla convivialità, tutti nostri marchi di fabbrica e di indole: se verrete vi faremo passare di sicuro una bella domenica. Ma vi avvertiamo: difficilmente ci toglierete la sensazione che sarete venuti soltanto per farvi belli agli occhi del vostro grande capo.
Con spropositato affetto.
Valerio Mingarelli