Rubriche

SILVIO STAR “VEGAN” SALVA AGNELLI, RADUNA PECORELLE SMARRITE E PERSUADE CAPRONI. OCCHIO…

Berlusconi salva agnelli. Se fossimo nel 1993, potrebbe sembrare un titolo a sei colonne di Milano Finanza, quando il Cavaliere non aveva ancora pronunciato il famigerato (ahinoi) “l’Italia è il paese che amo”, la cifosi cronica di Enrico Cuccia dominava i salotti finanziari del Belpaese e categorie quali crudisti, vegan e fruttariani erano ancora distanti dal fare capolino sulle nostre tavole, nelle nostre vite e, nel caso dei fondamentalisti, sui nostri zebedei. Berlusconi e Agnelli: i due dominus dell’imprenditoria italiana a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. Rivali in tante cose, a iniziare dal dio pallone (l’uno neo-rampante rastrellatore di coppe e coppette col diavolo rossonero, l’altro deus ex machina della vecchia signora bianconera), diversissimi in (quasi) tutto. Come è andata poi lo sappiamo.

Berlusconi salva agnelli, già. Questa frase nel week-end è tornata in auge. Il video virale, a metà tra una scena della soap opera Incantesimo dei primi anni duemila e un reportage su una comunità di recupero per rock star alcolizzate, lo avete visto tutti. Su un prato più verde di quello dell’Old Trafford di Manchester, un Berlusconi in tutina blu da preparatore atletico di qualche squadretta di Interregionale, si siede amorevole sul manto erboso e inizia a dare il biberon a un ovino in età verde. In sottofondo Michela Vittoria Brambilla, con tono soave da speaker di “Sfide”, invita a fare come il presidente, cioè a mettere in salvo degli agnellini dalle gozzoviglie pasquali (etichettate come “brutta fine”). In sovraimpressione l’invito scorre anche in forma scritta come il ticker di una pubblicità progresso di Action Aid. L’idillio virgiliano si conclude con il (da sempre) beato tra le donne Silvio fra appunto la Brambilla e Francesca Pascale, intenta anche lei a ingozzare il batuffolo di lana di freschissimo calcio pastorizzato a ritmo di struggente sound da sceneggiato pomeridiano per casalinghe.

Ora: al di là di come la si pensi sugli animali e sui pantagruelici menù di Pasqua, l’audiovisivo consegna alla storia un minuto scarso di puro surrealismo. Dire che tutto è macchiettistico è dire poco, nonostante il protagonista ci abbia negli anni deliziati con ore e ore di fotogrammi risibili a carattere carnevalesco. Però va anche detto che il breve spottino è una paraculata pressoché geniale, tanto che sui social fa carpiati e salti mortali e dopo tre giorni ancora imperversa. Il Silvio “signore degli agnelli” spopola: lui, che al piacere della carne (un’altra carne, per la verità) non ha mai fatto mistero di non saper rinunciare, ora si eleva a totem veg. Non conoscessimo il soggetto penseremmo a una candid camera, invece due più due fa quattro: sia nella accezione comica, sia in quella più astuta.

Sì, perché il vegliardo che oggi sottrae alla mattanza gli agnellini, resta sempre un maestro nel saper radunare pecorelle smarrite e nel persuadere i caproni (Salvini lo sa e ha paura). Lo è sempre stato: vent’anni di Seconda Repubblica ce lo ricordano ogni dì. E se anche in vecchiaia con sti benedetti animali si è leggermente rincoglionito (per ragguagli chiedere al malcapitato Dudù), il paracesto della Brianza sa benissimo che forza ha oggi un messaggio del genere. Come quando promise dentiere e cataratte “aggratis” per tutti: oggigiorno tra vegani, vegetariani, erbivori e bipedi vari con strane paturnie alimentari l’attenzione sul tema è alta. Anche da parte di chi a soppressati e cotolette non rinuncia ma possiede animali in casa e di fronte alla usuale strage di abbacchietti della settimana santa cade in pieno magone.

E sti gran cavoli se chi macellando ovini ci campa ha subito gridato alla rovina, con Assocarni pronta a marciare con forconi e mungitrici su Arcore e con i pecorari valligiani ultras di Salvini che stanno brandendo appuntite corna di capra per prendersi lo scalpo dell’usurpatore miliardario. Uscendo un attimino dal fumettone animalista a poche ore dai simposi pasquali, Berlusconi è tutt’altro che sdraiato per prati nel rettangolo di gioco politico. Vediamo un attimo. Da una parte c’è un M5S in fuga per quanto riguarda le percentuali dei sondaggi, che però non riesce a guarire dal tafazzismo cronico che da sempre lo contraddistingue. Portandolo, con regolarità imperterrita, a pestare merde una in fila all’altra, come col pasticciaccio brutto di Genova o con la storia incredibile dei due finti giornalisti spediti in capannello ad attaccarsi alle gonadi del direttore del Tg1 Orfeo. Dall’altra c’è un Partito Democratico immerso in un congresso che scalda i cuori degli italiani quanto lo farebbe un torneo di hockey su ghiaccio in Marocco e il cui esito è più scontato di una cassa d’acqua in un supermercato della Vadobbiadene. In casa Dem c’è il timore che al di fuori del manipolo di tifosi incalliti del capobanda gigliato (che nel frattempo scassa i maroni a Padoan sul Def e insiste col Mattarellum come cortina fumogena per la legge elettorale) buona parte del popolo di centrosinistra veda nel PD un carrozzone imbolsito e ormai alla completa mercé del leader maximo toscano. E che quindi gli voti contro in massa, come accaduto con tanto di pagnolada il 4 dicembre.

Ecco, tra i due cavalli litiganti, il terzo (il centrodestra) è ancora un ronzino affaticato e tirato per la coda da mille mani. Però in crescita. E nessuno lo sa meglio del senile Silvio da Arcore. Che infatti col passo felpato degli agnelli ai quali ha evitato il barbecue, risale. Trama. Incontra (ultimo summit con la Meloni: gli avrà chiesto consigli di allattamento). Ricuce. Ricompone. E già alle amministrative di giugno fiuta la caccia grossa, perché in molte importanti città dove si va al voto (non nella piccola Fabriano, dove il centrodestra ha fatto harakiri tra contumelie e livori) la coalizione di centrodestra è data vincente. In città come Verona e Padova va sul velluto, è competitiva in altre città del Nord come Gorizia, Monza e Alessandria e a Genova, forse il centro più importante con Palermo (dove Orlando è strafavorito) alle urne, grazie al suicidio grillino il candidato totiano Bucci è ora il favorito dei bookmakers. Al Sud vittoria certa nell’altro capoluogo di regione (Catanzaro), mentre da Lecce riparte la ricucitura del rapporto col delfino fuggiasco Raffaele Fitto. Alla cui Direzione Italia manca persino il quarto per il tresette a Roma, ma che al Sud e soprattutto in Puglia può dare una mano a serrare le fila dell’ex Cav.

Ok, Grillo ha la verve espressiva del giullare e un movimento il cui elettorato sembra di travertino. Renzi ha dalla sua grande potenza di fuoco e il partito più strutturato. Però Silvio sa come si fa, e se c’è da persuadere un gregge di pecore, o ancora meglio di pecoroni, nessuno può batterlo. Adesso le ha pure nel giardino di casa, quindi per il 2018 massima allerta. O questo allatta.

Valerio Mingarelli