BRIATORE: LO SAI CHE I PO-POVERI SON TANTI TANTI TANTI, E TU SEI BANALINO (CHE COSA CI VUOI FAR)

Intervistare Flavio Briatore su faccende di lavoro, business e tasse è diventato un po’ come interpellare Marione Adinolfi su robe di bioetica: sai che difficilmente ti dirà cose false e che con ogni probabilità te ne dirà di opinabili. Ma puoi star sicuro, come del tracollo finanziario di una società con Montezemolo alla guida, che te ne dirà di ovvie. E lo farà con quella tracotanza che rimanda a quel Marchese del Grillo di sordiano commediare, dell’arcinoto “Io sono io, e voi non siete un cazzo!”: se anche per un battibaleno vi prenderà la voglia di dargli ragione (che andrebbe subito curata con farmaci inibitori selettivi), quella mezza tonnellata di spocchia volta a quadruplicare l’insopportabilità della banale pistolettata verbale vi farà tornare subito in voi con pantagruelico sollievo.

La flat tax è una stuzzicante Epifania fiscale (l’ennesima) per i più abbienti, che a primo impatto però si configura più come un corridoietto per far rientrare qualche traffichino che si nutre di pane e volpe piuttosto che un ponte tibetano per attrarre investitori intrepidi e avventurosi. Su di essa in Italia ci sono tanti “ricconi” dal pedigree maggiormente limpido e dall’eloquio più acuto e competente dello sguaiato proprietario del Billionaire con cui conversare. Però è noto, ai giornalisti nostrani (con somma afflizione del sottoscritto che di quella categoria con alterne fortune fa parte) servono le caciare per guadagnarsi la pagnotta. Così ci si accontenta dell’illuminato clinic d’alta scienza economica col quale l’ex “team principal” (quello sì che gli veniva bene) di Benetton e Renault in Formula Uno ha dispensato l’ennesima sputacchiata alla (da lui) odiata working class. “I poveri non hanno mai creato lavoro”: roba da far lacerare d’invidia persino Nobel all’economia come Robert Solow e Milton Friedman e da far prendere appunti a esperti di welfare di mezzo globo terracqueo. Ecchecavolo, nessuno ci aveva pensato prima: ci voleva un piemontese col giusto mix di Don Perignon e boria per dare finalmente luce a cotanto dogma. Il mondo si è ridotto a un’orda bifolca di pauperisti, e alla fine sti maledetti poveri stanno letteralmente togliendo ogni spazio vitale a tutti quei fighi e avvincenti self-made man amici dell’insuperabile Flavione.

Padoan, tutto chiaro? Dà retta al prode savoiardo: per avere più posti di lavoro basta creare nuovi ricchi. Facendoli copulare tra di loro, clonandoli, plasmandone di nuovi in provetta: fa come ti pare, ma dacci nuovi ricchi o qui non se ne viene più fuori.

In linea di massima, il pensiero di Flavione nostro non fa una grinza: è vero che i poveri lavoro non lo creano. Parecchi, specie quelli in età più verde, sono impegnati tutto il dì a cercarne uno ad esempio. Però oh, se uno dà sfogo a un tantinello de scaltrezza, sti stramaledetti poveri in verità qualche lavoro lo possono cacciare fuori: guardate quel buontempone fio de bona donna di Salvatore Buzzi a Roma (che ho avuto modo di vedere all’opera di vicino). Basta spacciarsi come benefattore sia nei confronti di chi sta con le pezze nel didietro sia con chi sta col culo al caldo a palazzo. Meglio ancora se su uno scranno parlamentare o di qualche consiglio comunale, e il gioco è fatto. Certo, poi se ti imbatti in un giudice cazzuto c’è rischio di finire al fresco. Però suvvia, a Rebibbia col cuoco nuovo non è poi così male e il gioco vale la candela.

Ma sia chiaro, di base da questi poveri non ci cavi un ragno dal buco: vagli a dare torto a Flavione. E poi aumentano, si riproducono peggio dei cinghiali. Tanto che il Parlamento si è persino dovuto inventare un obolo da versargli, che si chiama “Reddito di inclusione”. Roba da matti.  E poi ci sta quel fulminato di Renzi che addirittura vuole inserire un “lavoro di dignità”. E quegli zotici grillini che addirittura pensano a un “reddito di cittadinanza” da 780 euro al mese per ogni povero. Il peggio di tutti è poi quel Grizzly del tavoliere, quel Michele Emiliano che a 20 mila pugliesi già foraggia un assegnetto che chiama “reddito di dignità”, ma dimmi tu.

Eh Flavio mio, ti ricordi quando te la spassavi con Naomi Campbell? Quella volta qualcosa d’oro ce l’avevano tutti. Chi la catenina del battesimo, chi il braccialetto della cresima, chi un dente. Mo’ si va avanti a pane, cipolla e sussidi. Dimme te: come diceva il “Profeta” dell’accattone di Pasolini, “tra settantasette giorni nun c’avremo manco l’occhi pe’ piagne”. E i ricchi? Sempre meno. Cioè Flà, ti rendi conto? In Italia ci stanno 37 milioni di anime in età lavorativa, ma quelli che la mattina si alzano per combina’ qualcosa sono meno di 23 milioni. A quei 14 milioni dove li mettiamo? Che poi a Tremonti, Monti, Grilli, Saccomanni e Padoan glielo abbiamo detto in tutte le lingue, dal francese al creolo: abbassate ste tasse. Ai semplici bipedi, ma soprattutto alle imprese. Altrimenti qui sti poveri ci camminano sopra la testa coi sopralzi di legno. Oh, niente. Anzi, questi su imposte e frattaglie fiscali ogni tanto spostano avanti una virgola, sti ingrati. Tanto che poi dai e dai va a finire che a qualche ricco, che Dio l’abbia in gloria, gli tocca evadere qualcosetta, sennò come fai. Altro che Carlo Cracco e Gualtiero Marchesi: presto qui daranno mezza stella Michelin pure alla mensa della Caritas: poveri, poveri e poveri ovunque Flavio mio. A Fabriano, pensa tu, ci sta pure chi si sgraffigna nei supermercati con tutta la gente che poi ci chiacchiera su come uno stormo di comari, pensa tu. E su internet ci sta persino che si mette in vendita un rene per fare un po’ di grana. Dove andremo a finire Flaviè? Come diresti tu, una volta qui era tutta campagna, oggi invece non esistono più le belle stagioni e tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino.

A flà, un’ultima cosa. Quando ce la spari n’altra banalità delle tue? Daje, almeno se divertimo.

Valerio Mingarelli