MACERIE POLITICHE SOPRA A QUELLE POST-SISMA. LO STATO E’… STATO (E NON TORNERA’)

Dunque c’eravamo lasciati con la sinistra “spezzatino”. Da una parte il cetaceo più grande, il PD, nel quale si è udito il suono di chiarina che ha dato lo “start” a un congresso dall’esito più scontato di quello della “Corsa dei ceri” di Gubbio: il golden boy gigliato Renzi nella parte della fuoriserie (e quindi, nel paragone eugubino, del cero di Sant’Ubaldo) sfidato dall’Orlando tutt’altro che furioso e dall’orso Baloo Emiliano, quello del “mi si nota più se me ne vado, o se resto e faccio un casino?”. E ancora: Sinistra Italiana, reduce dal congresso riminese a piada e Sangiovese, deflagrata appena 48 ore dopo col fazzoletto bianco agli Scotto e ai D’Attorre. Quindi Pisapia, che compare e scompare manco fosse la Madonna di Fatima. Poi Civati, che col suo “Possibile” un caffè da Giolitti (il bar di fianco a Montecitorio, ndr) lo piglia con tutti, uscieri e guardaportone inclusi, ma non si allea con anima viva. E infine loro, gli ultimi venuti alla luce, ai primi teneri vagiti parlamentari: il movimento dei “Democratici&Progressisti”. Sì, la miscela sedativa e narcotica dei fuggitivi del Pd e dei transfughi di SI. Ogni commento sulla veemente spremuta di meningi nella scelta del nome della nuova compagine è superfluo: se per punire il PD chiami un partito DP, c’è da dire che in termini di marketing politico si sono visti inizi migliori. Ma va beh, son ragazzi. A spiccare, nel neonato drappello, c’è la presenza di un minuto figuro dai capelli argentati di nome Vasco Errani. Esatto, proprio quello che al suono arrembante dell’overture del Guglielmo Tell di Rossini pochi giorni dopo la tragedia sismica fu spedito sugli Appennini a sbrogliare la dolorosa matassa del post-terremoto.

Dopo un semestre di “yes” pronunciati in loop, ossequi al dominus, sorrisi forzati, dittonghi bisbigliati e uscite sibilline più dei monti tra i quali è stato chiamato ad operare, il “cavaliere errante” Errani ha liberato i tricipiti e colto la palla al balzo per ributtare il tubero bollente nella metà campo di Renzi (anzi di Gentiloni, pover’uomo). “La ricostruzione non esiste. E’ un fallimento di Stato. La governance del post-sisma è totalmente sbagliata. Su casette, stalle, macerie si è fatto pochissimo e male”. Uno sfogo dalla giugulare viola, che ha squarciato il lenzuolone di ipocrisia messo a coprire ciò che già sapevano pure i chirocefali del lago di Pilato: il dopo-terremoto è un flop sesquipedale.

Ora: premesso che il cavaliere errante da Ravenna ha fatto questa sparata prima di sbattersi alle spalle la porta del Nazareno per poi rimasticarsi tutti i nitriti tre giorni dopo annunciando che sarebbe rimasto saldo sullo sgabello della pachidermica struttura commissariale (va beh, costume italico), quello che fa spalancare le pupille è la reazione a sto po po’ di denuncia. Tra il frullato di gonadi dello stadio della Roma e la querelle vecchia come la Domus Aurea sui vitalizi dei parlamentari, tra il toto-date del congresso PD e la fonte battesimale del consesso DP, dei terremotati a palazzo non è continuato a fregare una mazza a nessuno. In un altro paese sarebbe imploso l’intero sistema politico di fronte a tanto immobilismo. Da noi no: in fondo qualche migliaio di vaccari incazzati su per i monti sulla bilancia del consenso/dissenso la classe politica se li può permettere. Con una città da 100 mila abitanti coinvolta era tutt’altra faccenda: qui siamo agli spiccioli.

Lunedì giorno di audizioni (sussurrate eh) a Montecitorio: lo stato dell’arte è raccapricciante. Di Errani abbiamo sin qui raccontato: lui però è commissario alla ricostruzione. La fase emergenziale, sulla quale il governo si appresta (toccando ferro a tripla mandata) a far partire i titoli di coda, come noto è roba della Protezione Civile. Il cui nocchiero, l’accigliato e mai pienamente decrittabile Fabrizio Curcio, è un po’ come quegli allenatori di calcio che dopo aver perso 5-0 a fine partita in zona mista asseriscono orgogliosi che “va tutto madama la marchesa: miglioreremo” e poi danno la colpa al presidente che non fa campagna acquisti. Nella audizione Curcio ha sparato alla cieca sui sindaci, che dovevano individuare le aree per le casette e molti non l’hanno fatto, che dovevano assumere più personale con i fondi ministeriali e non l’hanno fatto, che dovevano sveltire gli iter dei sopralluoghi e non l’hanno fatto, e giù altri colpi di revolver. Chi ha ragione? Nessuno. La Protezione Civile, anche per l’estensione del territorio che si è trovata a dover gestire e addomesticare, si è letteralmente impappinata anche alla luce di una gerarchizzazione che tra nazionale e locale ha più buchi di uno scolapasta. I sindaci, dal canto loro, hanno smesso presto di essere collaborativi con quello che la vuole cotta, l’altro che la vuole cruda, l’altro ancora che grida “dateci i quattrini e le casette ce le facciamo da soli” o peggio quello che sbraita in piazza per poi fare l’agnellino emozionato ed emozionante alla prima cinepresa accesa, e così via. Chiedere la luna a chi governa un comune di 180 abitanti è paradossale, ma il piagnisteo gregoriano che da almeno tre mesi sgorga da ogni ugola di bipede con la fascia tricolore è stato ed è francamente infruttuoso e insopportabile.

In mezzo al guado di questo fiume di merda ci sono poi le regioni, i cui quattro presidenti sono anche i quattro sub-commissari di Errani. Il quale, dopo aver urlato il peccato si è dimenticato di darci qualche dritta sul peccatore, pur gettando occhiatacce sui quattro governatori di cui sopra, guarda caso tutti del PD, francescani per mesi a non chiedere nulla a Renzi e educati come damerini nei confronti del mellifluo (ora urlante) commissario. La goduria arriva adesso: con Errani in fuga dall’ammiraglia democratica, ai quattro toccherà ogni tanto pigliare in mano il timone politico del Titanic post-sismico. Il bello è che Zingaretti, il più in vista, è tutt’altro che due cuori e una capanna con Renzi (infatti al congresso appoggerà Orlando), al contrario del duo Marche-Umbria Ceriscioli-Marini, folgorati entrambi sulla via del baldanzoso arrembare fiorentino assai più del post-democristiano abruzzese D’Alfonso. Con questo quadretto, il rischio è presto detto. In autunno non si è fatto un piffero per i terremotati perché c’era la campagna per il referendum. A dicembre e gennaio si è rimasti fermi come faggi perché prima è cambiato il governo, poi ci si è messa la neve sopra la terra ballerina e ciao. Adesso e per tutta la primavera andrà in scena il congresso del PD e buonanotte ai suonatori. I terremotati? Vedremo.

Uno scenario empio e vergognoso, dove anche noi giornalisti (specie sul piano nazionale) abbiamo responsabilità pesantissime: se un telegiornale fa cinque servizi filati in apertura sulla lo stadio a tor di Valle, Totti, la Raggi, la sua mela cotta al San Filippo Neri e l’ex marito che la veglia, senza dare neanche una riga nel ticker all’Errani che sbotta, vuol dire che i criteri di notiziabilità sono andati a farsi friggere (e con essi i neuroni di chi ci dovrebbe governare).

Errani e tutto sto torpedone sconclusionato di sgherri a questo punto debbono saperlo: gli appenninici ce la faranno, perché sono gente tosta e cazzuta. Le macerie di case, scuole, chiese, fabbriche e stalle distrutte si possono coprire con l’ipocrisia, gli slogan e le supercazzole. Le macerie della politica no: è decisamente più difficile. Perché è paradossale, ma in Italia sono tante di più.

Valerio Mingarelli