FRANCIA, LABORATORIO POLITICO

Ieri notte abbiamo avuto i risultati definitivi delle primarie convocate dal Partito Socialista, la formazione di centrosinistra che governa Parigi: con le primarie socialiste, il quadro delle candidature alle elezioni presidenziali e politiche francesi del 2017 è ormai definitivo. Il risultato è stato allo stesso tempo scontato e impensabile: scontato perchè il vincitore, l’esponente della sinistra interna Benoit Hamon, era dato in largo vantaggio e aveva ottenuto il vantaggio di molti degli altri competitors; impensabile perchè Hamon pochi mesi fa aveva iniziato la corsa alle primarie da semplice candidato “riempi-posto”. Da questo punto di vista, le primarie del Partito Socialista hanno confermato un trend già visto all’opera nelle primarie dei loro avversari, i Repubblicani di centrodestra eredi del generale De Gaulle: i candidati predestinati e di sistema fanno fatica anzitutto tra gli elettori e gli iscritti del loro partito, che chiedono più autenticità e fedeltà ai loro valori. Anche nelle primarie del centrodestra, tra il moderato, centrista e attento ai bisogni della sinistra Alain Juppè e l’ex Presidente Nicholas Sarkozy, sempre oscillante tra la sua vecchia posizione liberale e la sua nuova faccia feroce anti-immigrati, a imporsi è stato il “candidato improbabile” Francois Fillon: la faccia nuova del vecchio gollismo, capace di tenere assieme gli elettori conservatori di provincia, proposte liberiste degne della Thatcher, e il vecchio gollismo anti-europeo. La vittoria di Fillon è arrivata grazie a una affluenza record alle primarie, oltre 4 milioni di votanti, che ha confermato l’esistenza di una Francia “profonda” molto diversa da quella di Parigi, la capitale liberale e libertina per eccellenza.

Hamon e Fillon sono due facce di un panorama politico francese che ben si presta a essere definito laboratorio politico del Vecchio Continente: rispetto alle tradizionali categorie della politica europea, la Francia presenta infatti un campionario di proposte presidenziali tutte abbastanza lontane dai vecchi modi di fare. La palma d’oro dell’innovazione politica spetta sicuramente a Marine Le Pen: la leader del Front National ha lavorato a lungo su quella che viene definita “de-diabolisation”, il passaggio dall’immagine di partito xenofobo, antisemita, ultraconservatore e perdipiù anche liberista,  (categoria molto poco amata nella Francia in cui lo Stato gioca ancora un ruolo importante) a vero candidato “repubblicano”: il discorso politico del Front National si è quindi spostato verso la difesa dei lavoratori e delle periferie abbandonate dalla globalizzazione, il recupero dello Stato Sociale, la difesa dei valori laici francesi dall’islamismo e la battaglia contro l’Unione Europea. Grazie a questa strategia, la Le Pen si è conquistata un primo posto permanente nei sondaggi delle elezioni presidenziali, pescando tra i delusi degli schieramenti principali.

E nonostante la Francia sia il Paese del ballottaggio per eccellenza, anche al centro emerge una proposta politica dirompente: con qualche citazione del suo coetaneo Matteo Renzi, Emmanuel Macron sta infatti mietendo consensi con la sua proposta di candidatura “centrale, non centrista”. Ex docente di filosofia e poi banchiere internazionale, Macron è stato Ministro dell’Economia nel governo socialista, e ha messo la faccia su tutta una serie di provvedimenti pro-Europa e pro-austerità. La strategia di Macron, che nei sondaggi è al terzo posto e inizia a insidiare la posizione di Fillon, è di pescare voti da tutto il versante politico, rivolgendosi sopratutto ai ceti medi di città: rifiutando di farsi associare ai vecchi notabili democristiani come Bayrou, Macron si candida a rappresentare la “generazione Erasmus” e i ceti produttivi spaventati dal populismo. Se dovessimo dare una definizione geografica, potremmo dire che i tre principali candidati, Le Pen, Fillon e Macron, fin qui rappresentano lo scontro tra le Periferie, le Campagne e i Centri-Città: è molto probabile che uno di loro tre sarà Presidente, con conseguenze molto diverse sia per la Francia sia per l’Europa.

Ma proposte politiche interessanti arrivano anche da altri candidati: attualmente quarto nei sondaggi è Jean Luc Melenchon, ex socialista che ora guida una coalizione di estrema sinistra, “La Francia che non si sottomette”: ai classici temi del lavoro, Melenchon unisce una critica articolata e dura all’Unione Europea, schierandosi per il passaggio dall’Euro a un paniere di monete collegate tra loro, e riportando a sinistra un messaggio politico populista e nazionalista senza essere xenofobo. Le stesse primarie socialiste hanno portato a uno scontro tra idee molto diverse tra loro e non sempre in sincrono con la sinistra tradizionale: la sinistra interna statalista di Arnaud Montebourg e la socialdemocrazia moderata di Vincent Peillon sono finite al terzo e al quarto posto, raccogliendo un quarto dei voti.

A scontrarsi sono state una inedita sinistra identitaria, quella del Primo Ministro Valls, molto dura sulla sicurezza e sull’integrazione degli immigrati e dell’Islam nella società francese, e una sinistra libertaria “post-capitalista”, quella di Hamon: rispetto alla classica posizione francese pro-industria, pro-nucleare e tutta centrata sull’industria pesante, Hamon ha vinto promettendo più diritti civili, più ambientalismo, il ripristino della versione francese dell’art. 18 e una strategia anti-disoccupazione tecnologica, con un reddito di cittadinanza pagato con tasse sull’introduzione dei robot in fabbrica e un attacco alla “uberizzazione” dell’economia, la trasformazione in finti lavori autonomi gestiti via internet di mansioni che in realtà restano rapporti subordinati. Quale tra queste proposte si imporrà alle elezioni presidenziali ancora non possiamo saperlo: quello che sembra essere sicuro è che la politica francese non cesserà di stupirci!

m.m.