ANGELINO’S FAMILY: C’E’ POSTO (ALLE POSTE) PER TE

Raccomandato con ricevuta (e 170 mila euro di stipendio annui) di ritorno. Alessandro Alfano, fratello del “little Angel” ministro dell’Interno dal 2013 e prima ancora Guardasigilli con Berlusconi troneggiante a Palazzo Chigi, ha regalato una settimana di violente cefalee a Matteo Renzi, già provato dai colpi di mazza da baseball arrivati alle urne nelle amministrative. Un’intercettazione infatti parla di chiamata alle armi con spintarella nella dirigenza di Poste Italiane per Alfano Junior. Lampi, tuoni e saette si sono addensati sul Viminale e tutta la falange avversaria dell’esecutivo ha invitato Angelino a togliere il Bostik che, prima con Letta e poi con Renzi, lo ha tenuto bello incollato alla poltrona per un triennio. L’inchiesta che ha portato al fresco Raffaele Pizza e altri gregari e portaborracce post-democristiani, vedeva comparire nella fiumana di incartamenti anche il padre del ministro isolano, il quale si sarebbe preso a cuore la sorte di 80 curricula da far arrivare sulle scrivanie giuste. Dopo tanta bonaccia però, anche sul Viminale è tornato il solleone: Angelino è sempre lì col lato B sul trono e (almeno per ora) tante intercettazioni sono finite in quarantena. Non solo: NCD, stravagante compagine con più scranni che elettori, non lascerà il governo, per la afflizione di “Starsky” Renato Schifani e del celeste “Hutch” Roberto Formigoni, tribuni che bramano con forza il rientro nel recinto berlusconiano.

Tant’è. Nulla di nuovo sotto i raggi uva ritrovati: Alfano non è indagato, e nonostante non lo fosse un anno fa nemmeno il suo sodale di partito Maurizio Lupi (che fece armi e bagagli dopo il caso figlio-Rolex-Incalza), rimanere lì è un suo diritto. Del resto non si dimise nemmeno dopo la farsesca estradizione della kazaka con prole Shalabayeva, faccenda assai più sputtanante nelle mere competenze governative. Il caso però scoperchia di nuovo il pentolone puzzolente della parentopoli, del soldato semplice che fa un piacere al consanguineo del generale, del favoritismo in doppio petto, del premio al cognome. Della raccomandazione, in soldoni: costume italiano vecchio quanto il Foro di Augusto, luogo dove già 2 mila anni fa il mercimonio di raccomandati era vorticoso.

Si raccoglie ciò che si semina, recita l’assioma, ma nel Belpaese se ti chiami in un certo modo puoi anche non arare, specie nel pubblico impiego. Da sempre. Prassi che fa più danni di un Thiago Motta in una gara dei 100 metri. Il problema infatti non è che Alfano sia ancora ministro o che il paradossale NCD abbia potere di vita o di morte su un governo repubblicano (roba da gag del Bagaglino). Il guaio è che queste cricche e conventicole che fanno del calcio in culo il loro credo creano disastri economici, sociali ed emotivi incalcolabili. Un inadeguato dal cognome altisonante piazzato in una stanza dei bottoni pubblica rappresenta il “papà” di ogni danno erariale: non solo contribuisce all’inefficienza della diegesi amministrativa e allo scempio dei servizi pubblici, ma toglie anche il posto a chi è capace e ha titoli. Col risultato che quest’ultimo, giustamente, riempie un trolley e vola più lontano che può. Ne viene fuori che una montagna di risorse finiscono nella cloaca della non meritocrazia, perché il cognome vale più di 343 tra master, lauree, dottorati e via discorrendo.

Non solo. Abbiamo una generazione di 30enni con le gonadi all’altezza delle caviglie, torturata sentendosi ripetere frasi (spesso  abiette) come messe cantate dal giorno dopo la maturità, che per trascriverle tutte non basterebbe uno Zibaldone. Si va dal “non avrai mai una pensione” al paternalistico “io alla tua età avevo già 9 figli e 16 anni di contributi versati”, fino al “per fare carriera devi sbracciare e saperti vendere” al “ma vivi ancora con i tuoi?” e potremmo proseguire all’infinito nel rosario di dabbenaggini. Germinate, appunto, da un contesto rassegnato al tarlo della raccomandazione, ritenuto quasi fisiologico. Una “forma mentis” che spesso va a colpire plurititolati ormai ex giovani con curricula di esperienze lunghi come romanzi ottocenteschi, costretti a barcamenarsi in concorsi con ottavi, quarti, semifinali e finali per un posto da fotocopiatore seriale al comune di Tagliacozzo (competizioni nelle quali il numero dei candidati sfiora quello degli abitanti della Cina). Non è un caso che il rapporto  ‘Methods used for seeking work’ di Eurostat racconta che in Italia oltre tre quarti dei neoassunti (il 76.9%) nel 2015 ha trovato lavoro grazie a parenti, amici, conoscenti, vicini di casa, zie, prozie e fidanzati delle sorelle (altro che Jobs Act). Un sistema non scardinabile, che ci costa grana sonante, fughe a lunga gittata di cervelli e sperpero di sapere. E così ci troviamo Alfano Junior su un divano di camoscio a fare qualche telefonata per 400 euro netti al giorno,  messo lì da Pizza (!?). Così la domanda che viene da fare è una sola: se davvero i curricula da raccomandare di Alfano Senior erano 80, perché gli elettori di NCD in Italia sono 67 in tutto? Si scherza, naturalmente, ma fino a un certo punto.

Valerio Mingarelli