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IL RAZZISMO E’ UN VENTICELLO – di Laura Trappetti

C’è qualcosa di peggio che un giovane morto ammazzato? Sicuramente no: un giovane che muore è innaturale, qualcosa che percepiamo come ingiusto, il venir meno di tutte le possibilità che sono insite nella gioventù. No, decisamente peggio di un giovane ammazzato non c’è. Il peggio può essere solo declinato nel livello di efferatezza, nella futilità dei moventi, in quanto dolore provoca questa morte a chi resta. Quando la morte avviene per mano di qualcuno, la percezione dell’ingiustizia si accompagna alla voglia di un riequilibrio che ricerca le cause e i colpevoli, ma c’è anche un altro aspetto che di fronte a un fatto del genere non è trascurabile: l’identità della vittima. Così il delitto molto spesso si perpetua anche oltre la morte. Quando a morire è un giovane rifugiato nigeriano, qualcosa di inconscio coglie molte persone, allora allo strazio della morte si aggiunge quello dei commenti. Ammettere che un uomo bianco, per definizione più civile, possa uccidere un rifugiato nero, per definizione “sotto” il primo, solo per cattiveria, ignoranza, razzismo, non va giù. Si inizia estendendo le responsabilità, l’immigrazione è il problema; poi si parla di invasione e naturale esasperazione. Il colpevole quasi scompare(braccio armato di una situazione sociale) e senza colpevole, la vittima non è più tale. Sulla morte del giovane Emmanuel a Fermo, molto si è detto nel tentativo di ricerca di un alibi all’omicida. Temo che giustificando il gesto anche i commentatori si vogliano assolvere, perché forse pure loro ci pensano alle scimmie quando vedono un africano, tengono più stretta la borsa in sua presenza e proprio non gli viene di stringergli la mano. Nei casi migliori un africano è un poveraccio di cui avere pena, ma in nessun caso uguale. Obiettivamente nessuno sarebbe razzista se non fosse obbligato a convivere con quelli come Emmanuel. In “Terrore e miseria del Terzo Reich”, Brecht affida alla moglie ebrea, che avverte il cambiamento di atteggiamento verso di lei del marito ariano, la sintesi di questo processo: “Si comincia sempre così, con l’obiettività”. Se Emmanuel fosse rimasto in Nigeria, non avrebbe mai incontrato il pugno del suo assassino. Obiettivamente non può essere che colpa sua.

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