SEITAN-FIGHTERS CONTRO SOPPRESSATI-LASER: FATEVI I ‘GRASSI’ VOSTRI

Non bastava la guerra dichiarataci dallo Stato Islamico. Oppure la baruffa, finta più di una banconota da due euro, contro lobby, consorterie e facilitatori che si sta sferrando dopo il (goffissimo) caso Guidi: i traffichini che bivaccano con tanto di tenda jamboree e fornelletto da campo di fronte alle commissioni parlamentari ci sono sempre stati e sempre ci saranno. Chiedere a Cirino Pomicino, please. E… udite udite, in molti casi è giusto che sia così, perché la politica coi privati c’ha da parlare ogni tanto. Non era sufficientemente sfibrante nemmeno la manfrina no-triv, sì-triv, ni-triv, bo-triv, oil-non oil. No. Per aprire un altro fronte bellico verbale nel sempre più debosciato “pubblico sentire” doveva tornare lui: il prozio di tutti i dibattiti. Ciclico più di un solstizio. Pesante (e pedante) al livello di un Salvini in qualche talk show. Appassionante quanto il guardare uno smalto color borgogna asciugarsi sugli “artigli” di una donna.

Parliamo del mai risolto battibecco tra vegan-vegetariani e carnivori. L’interminabile colluttazione (soporifera e inconcludente) a base di ingiurie gratuite, tesi raffazzonate, luoghi comuni e dogmi appassiti. Nei paraggi delle gozzoviglie pasquali, a gettare benzene (sì, proprio il frutto delle trivellacce!) sul fuoco è stato Giuseppe Cruciani, polemista (e poco altro) di professione. La vicenda è nota: l’agnellino nello studio radiofonico, la vena che si tappa agli animalisti, lo showman che brandisce un soppressato neanche fosse la spada laser dell’ultimo dei cavalieri Jedi. Da lì ne è scaturita una fiumana di editoriali, corsivi, mugugni da tubo da catodico e messe in scena da teatro sofocleo.

Vengo da Fabriano, cittadina i cui picchi di ribalta sono dovuti anche ai sublimi lardelli del suo noto salame, e da onnivoro non convertibile ammetto che spesso negli ultimi anni ho potuto scorgere nei “seitan-fighters” una certa propensione al martirio e una spiccata tendenza all’indice puntato. A Pasqua ho mangiato agnello senza sentirmi un “Bernardo Provenzano” del genere ovino, così come ho visitato più volte mattatoi (mio nonno commerciava bestiame) senza che la vista di scene “splatter” mi togliesse il sonno (e l’appetito). Per contro, ho sempre amato il mondo animale (tutto: dai volatili agli aracnidi) e accettato le scelte altrui nelle stremanti discussioni di timbro alimentare. L’ortodossia vegetariana, anche quando si palesa come radical chic, è e deve essere sempre rispettata. Quello che non si spiega, però, è perché ad ogni boccone si debba fare proselitismo. Scatenando l’immediata rappresaglia bolsa dei carnivori, che spesso (vedi Cruciani) tirano merda con la catapulta su vegani, latto-vegetariani, fruttisti, crudisti ed erbivori vari trattandoli come bimbominchia privi di virilità in un gioco delle parti tutt’altro che avvincente.

Per arrivare a un armistizio gastronomico, andrebbero innanzitutto sfatati alcuni miti. Da entrambi i punti di vista. Si può essere vegani senza entrare in modalità “testimone di Geova trivellamaroni”: se si è in comitiva, magari alla sagra della salamella piccante o del lardo di Colonnata, fare terrorismo psicologico sparando fregnacce sui soprusi del norcino-boia o sul karma negativo insito nella carne suina, lede e non poco alla convivialità. Al contrario, chi si ingozza di spuntature e grassi bestiali saturi potrebbe evitare di guardare il vicino di banco con verza e patate nel piatto come fosse un poveraccio in subbuglio ormonale o uno sfigato che rinuncia all’edonismo gustativo. Ebbene sì: c’è del perché culinario anche in erbacei ben agghindati e in prodotti vegan. C’è di più: si può stare anche a metà del guado. Chi non mangia capriolo in salmì perché gli ricorda Bambi e l’infanzia perduta e poi si strafoga di Cordon Bleu plastificati, potrà anche apparire poco coerente. Ma è libero di farlo senza che gli venga diagnosticata una fulminea sindrome di Peter Pan. Va inoltre preso a picconate il mantra ecologico. “Allevamenti intensivi, macellazione, pesca e caccia inquinano” – è spesso la litania di stampo proletario di chi non si serve di cibo animale. Però mangiare cicoria egiziana a gennaio, broccoli cileni a luglio, puf-bacche vietnamite tutto l’anno e soia OGM prodotta partendo da deforestazione selvaggia, non è proprio una coccola all’ambiente. Bando anche ai sentimentalismi. Se il “ciccivoro” non deve sentirsi un nazista efferato, non è neanche giusto che il vegano debba sorbirsi menate della domenica del tipo “non mangerai il coniglietto, a tua nonna si spezzerà il cuore!”. Perché a lui, di riflesso, si spezzerà qualcosa un po’ più a sud del cuore. Infine, ripristiniamo anche un po’ di libertà iconografica. Facebook che banna una foto del comico Luca Bizzarri a fianco a una “Finocchiona” toscana perché passibile di rinculi sovversivi, è il siparietto più ridicolo di tutta la querelle. Specie su un social network planetario che talvolta si guarda bene dal mettere alla berlina pagine dedicate alla pedofilia e alla tortura, al satanismo sanguinario e alla lupara bianca.

La verità che più sorprenderà molti è un’altra: esistono vegani e basta (cioè non rompipalle) e carnivori e basta (che mangiano un galletto amburghese senza ostentare machismo). Perché in fondo chi si fa i grassi suoi (animali o vegetali), campa cent’anni.

Valerio Mingarelli