LA FRANCIA PIANGE: E ADESSO? – di Alessandro Moscè

 

Il massacro avvenuto in Francia il 7 gennaio impone delle riflessioni che non limiterei alla libertà di stampa e quindi di satira, ma al significato più ampio che il cruento episodio racchiude oltre il simbolo della matita spezzata. L’integralismo islamico ci pone, ancora una volta, di fronte ad uno scontro di civiltà. Ce ne accorgiamo solo quando succede una strage, però. Il clima di guerra che si è instaurato, del resto, è del tutto anomalo. Sia perché non risulta uno stato d’assedio, un campo di battaglia, sia perché i blitz dei terroristi sono estemporanei e imprevedibili, asimmetrici. Detto questo mi preme un’altra considerazione. Qualche benpensante ha provato ad accostare l’integralismo islamico con il terrorismo italiano degli anni Settanta. Sono due cose completamente diverse. In Italia operava un manipolo di esaltati che agiva con l’uso delle armi per un stolta ideologia politica. Qui c’è di mezzo una religione, il Corano e un popolo che si appella al suo Dio e che coinvolge migliaia e migliaia di persone fino al punto che non sappiamo più quanti Islam esistano e quanti islamici siano pacifisti o meno. La verità è che contro questo tipo di rappresaglie c’è ben poco da fare perché non si può pensare di difendere l’Occidente in tutti i suoi punti sensibili, ammesso che ce ne siano alcuni più di altri. La lotta efficace al male potrà avvenire solo con un’operazione di intelligence mondiale, ma non basterà. Finora si è registrato un altro aspetto inquietante. L’islamismo che non uccide non alza gli scudi. Protesta poco, ha paura, rimane nascosto, così come rimase sotto silenzio al tempo di Samuel Rushdie. Non si voleva credere che il rischio fosse dietro l’angolo. Lo scrittore dei versetti fu considerato un martire, ma anche un uomo del quale si conoscevano a mala pena le opere e che in fondo poteva risparmiarsi tanta provocazione. Capimmo poco della satira irriverente come della caccia all’infedele, ed eravamo nell’altro secolo. E adesso? Saremo consapevoli che l’Oriente non è solo un’area geografica che prepara l’agguato o guarderemo con maggiore diffidenza ogni musulmano pensando che possa trattarsi di un pazzo di Allah? Forse non basterà più neanche scendere in piazza o inquadrare malevolmente una moschea. Si tratterà di interpellare i musulmani perché dicano con forza in quale Dio credono e se ritengano la pace un bene inviolabile. E’ da loro che deve venire la risposta più convinta allo scempio di questi giorni. La solidarietà, lo sgomento, la rabbia corrono sui social dopo l’attacco alla redazione di “Charlie Hedbo”. Si susseguono appelli e messaggi di solidarietà ai familiari delle vittime del massacro in ogni parte del mondo. L’ambasciata americana a Parigi ha anche cambiato la sua icona Twitter in #JeSuisCharlie. “La libertà di espressione è un diritto umano”, ha twittato Amnesty Italia. Ma temo che il decantato “Je suis Charlie” sia uno slogan destinato ad esaurirsi senza clamore.

Alessandro Moscè