Gigi Riva, campione del calcio romantico

Ci ha lasciato anche il grande Gigi Riva, leggenda, personaggio iconico del mondo del football. Schivo, silenzioso, scontroso, lontano dai flash e dalla vita mondana, un campione vero.
Gigi Riva da Leggiuno, nella provincia di Varese sul lago Maggiore, diviene fin da giovanissimo simbolo di una terra, la Sardegna, Cagliari, con lui arrivò il primo e unico scudetto della storia dei sardi, stagione 1969-70.

Riva ebbe un’infanzia dura, difficile, tre anni in collegio, lontano dagli affetti più cari, a volte ricordava così: “Ci davano da mangiare roba schifosa, e mi avevano privato della libertà” e il rimpianto per la perdita dei genitori, ferite ancora fresche, che il tempo può lenire ma guarire mai.

“Ho perso il papà a 9 anni, mia madre a 16. Quando arrivai in Sardegna ero incazzato con la vita, sembrava che il destino ce l’avesse con me. Mio padre era un grande appassionato di sport, lo ricordo conversare in piazza di ciclismo; di mia madre ricordo i sacrifici”.
Gigi Riva, lo apprezzavano scrittori e intellettuali, cantanti e cineasti. Disse di no a Zeffirelli, che l’aveva scelto come interprete del suo San Francesco. Aveva stretto una bell’amicizia con Fabrizio De Andrè, con cui condivideva l’amore per la Sardegna, un rapporto di amicizia fatto di silenzi, sguardi, passioni.

Gigi ripartì, dopo le imprese col Cagliari, 315 presenze con 164 reti, in un’altra carriera come team manager della Nazionale. Ha tenuto a battesimo intere generazioni di giocatori, da Vialli a Chiellini, passando per i campioni del Mondo del 2006. Lo ricordiamo per i suoi gol, di potenza pura, fatti di scatti intensi e tiri bomba e la sua personalità fuori dal campo. Campione d’Europa nel 1968, vice iridato due anni dopo in Messico. Nel ’68, Valcareggi ricorse a lui, che non era al massimo, per il replay della finale contro la Jugoslavia. Suo il gol che cacciò i fantasmi, di Anastasi il raddoppio. Finì con la fiaccolata sugli spalti dell’Olimpico e lui, che non ce la faceva più, rimase in campo stringendo i denti sino al termine. In Messico, agli stenti iniziali dovuti al difficoltoso adattamento all’altura, seguirono in rapida successione: la doppietta sui padroni di casa nei quarti di finale, la zampata nel mitico 4-3 contro la Germania Ovest e la sconfitta in finale contro il Brasile di Pelè. Germania ’74 il canto del cigno: a nulla servirono le preghiere di Fulvio Bernardini perché Gigi ci ripensasse e tornasse in azzurro. Meglio chiuderla qui, con 35 gol in 42 partite, tuttora record imbattuto in nazionale.

Gianni Brera, nota penna arguta del giornalismo sportivo italiano, coniò per lui il soprannome che resiste nel tempo: “Rombo di tuono” appunto…un grande attaccante moderno, un bomber, un uomo serio, attaccato alla maglia e alla terra sarda fino alla fine. Lo scudetto del ‘70 ha unito la Sardegna all’Italia, secondo Brera. Prima la Sardegna era per tutti terra di pecorai, banditi. Nessuno veniva a passare le vacanze qui, la Costa Smeralda non esisteva. Con lo scudetto e un’immagine nuova cambiò tutto e l’isola diventò un paradiso per turisti. Di abbandonare la Sardegna non ne ha mai voluto sapere. Veramente non voleva metterci piede all’inizio: solo la sorella Fausta lo convinse ad accettare la richiesta del Cagliari e dall’albergo scambiò le luci della Saras con l’Africa, prendendosi un calcio nel sedere dall’allenatore del Legnano Lupi che l’accompagnava. La lista dei corteggiatori era lunga, li ha lasciati senza speranze. Nel 1973, la Juventus tentò un’ultima offensiva per portarlo a Torino: il presidente del Cagliari di allora Arrica lasciò Boniperti con un palmo di naso.

“Non c’era prezzo per vendere Riva”, commentò anni dopo. Qui ha trovato la sua casa, ha messo su famiglia. Le nuove generazioni, ma anche come quella mia, che pure non hanno avuto il piacere di vederlo giocare, continuano ad amarlo attraverso il racconto dei nonni e dei padri. Ci ha lasciato con valori antichi appartenenti a un calcio d’altri tempi, lasciando l’amata
Cagliari che lo ricorderà per sempre con uno stadio intitolato a lui.

Francesco Fantini