Diritto d’asilo: Il progetto fotografico della professoressa Nadia Ghidetti

Nata a Pavia ma residente a Fabriano dal 1972, Nadia Ghidetti è docente della scuola secondaria di I° grado “Gentile da Fabriano” in cui insegna dall’anno scolastico 2000/01 e dal 2018 è anche collaboratrice del Dirigente Scolastico. Quando non si occupa di scuola si diletta scrivendo poesie e fotografando. La fotografia le sta dando grosse soddisfazioni ultimamente, è iscritta al Fotoclub “Arti visive” della nostra città da diversi anni e qui ha trovato ottimi maestri che le hanno insegnato a dare un senso nuovo al suo stile fotografico. Tesserata FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche) per questa associazione ogni anno si sviluppa all’interno del Fotoclub un tema che sarà il filo conduttore dei lavori. La professoressa Ghidetti ha accolto a casa sua nel 2022 due profughe ucraine e da questa esperienza di accoglienza è nato un progetto fotografico “Diritto d’asilo” che ha ottenuto premi e riconoscimenti a livello nazionale.

Nadia, quando e come è nata l’idea di ospitare a casa tua due profughe ucraine?

Quando nel 24 febbraio del 2022 è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina, Lyudmila, badante ucraina dei miei genitori, ha subito manifestato una grande preoccupazione per la sorte dei suoi figli: Alona e Vitaly e per le loro famiglie (in tutto sette persone di cui quattro bambini). Ciò mi ha spinto, per tranquillizzarla, a offrire ospitalità nella mia casa almeno alla figlia e alla nipotina. Così Alona, la madre e Sofia, la figlia, sono arrivate da me il 15 marzo del 2022.

Come è stato affrontare la quotidianità e che difficoltà avete incontrato, ad esempio nel comunicare tra voi?

Ricordo ancora il senso di smarrimento che ho provato quando Lyudmila, il 13 marzo 2022, mi ha comunicato che erano partiti per raggiungere l’Italia (sono venuti con le loro automobili). In fondo non doveva essere una sorpresa, ma mi ha colto un senso di smarrimento: sarei stata all’altezza di un compito tanto delicato? Dovermi prendere cura delle loro fragilità, del loro inserimento nel tessuto sociale della città, dando risposte concrete ai loro bisogni che sono stati, in primis, oltre ad assicurare loro un’abitazione, anche l’acquisizione del permesso di soggiorno, la situazione vaccinale, l’inserimento scolastico dei bambini, la frequenza, da parte degli adulti, di un corso di Italiano L2. A questo proposito devo dire che il rapporto con l’italiano non è stato facile: Alona, pur seguendo i corsi per gli adulti, ha trovato molta difficoltà per imparare la nuova lingua, così diversa sia nel parlato che nello scritto, dalla sua.

In particolare Sofia, la bambina di Alona, è riuscita ad integrarsi ed a socializzare con i coetanei anche dal punto di vista scolastico?

Per Sofia, l’inserimento a scuola ha generato in lei la necessità di chiudersi agli interventi sia degli adulti che dei coetanei. Per quel che mi riguarda abbiamo sempre comunicato utilizzando il traduttore di Google o, per i discorsi più complessi, usufruendo dell’intervento di Lyudmila, in Italia già da diversi anni.

La condizione di profugo a livello psicologico porta con se paure, diffidenza e tanto dolore. Durante la permanenza nella tua famiglia hai notato un miglioramento nell’approccio con te e con il contesto sociale cittadino in cui hanno vissuto?

Il distacco forzato a cui Alona e Sofia sono state costrette, ha creato tra loro un legame indissolubile e lo spazio che le ha accolte amorevolmente, pur proteggendole dal dolore e dall’impossibilità di cambiare gli eventi, le ha portate necessariamente a crescere quotidianamente l’una nelle braccia dell’altra. I giorni sono trascorsi lenti ed entrambe, timidamente, hanno imparato a calpestare questa nuova terra, rinascendo ogni giorno, cercando di mantenere il contatto visivo con le loro origini pur proiettate verso la costruzione di nuovi orizzonti emozionali. La loro permanenza in Italia si è dimostrata essere piuttosto tranquilla anche se il loro pensiero costante era rivolto alle informazioni che canali social potevano fornire circa l’escalation della guerra nel loro Paese. Quanto brillavano gli occhi di Alona quando, parlando con me, scopriva che ero informata di quanto succedeva in Ucraina! Per questo, giorno dopo giorno, madre e figlia hanno imparato a volermi bene, scoprendo che si andava costruendo un vero e proprio fronte di complicità tra noi.

Si parla molto di integrazione e di accoglienza, in base a questa esperienza puoi dire che Fabriano risponda adeguatamente alle esigenze di chi si ritrova profugo in terra straniera?

Per quel che so anche altre famiglie, in città, hanno dato ospitalità a donne ucraine. Ci sono, inoltre, associazioni che si sono occupate di trovare delle sistemazioni a interi nuclei familiari. Però molto è regolamentato dalla burocrazia che sovente si dimentica di avere a che fare con delle persone e a livello economico vale la regola dell’arrangiarsi. Se poi si esce dal circuito disciplinato dalle leggi istituzionali allora tutto diventa tremendamente faticoso e i diritti spariscono.

Da questa bellissima esperienza umana è nato un tuo progetto fotografico intitolato “Diritto d’asilo”. Puoi spiegare ai nostri lettori in cosa consiste?

“Diritto d’asilo” è un portfolio fotografico che nasce da un percorso laboratoriale, il cui tema “Confini” lanciato dalla FIAF nel 2023, è stato declinato da molti di noi fotografi in tanti modi diversi. Personalmente ho scelto di narrare con immagini questa esperienza di accoglienza di Alona e Sofia, la storia di questo loro legame affettivo indissolubile, ma anche del legame identitario, momentaneamente tranciato, con la loro martoriata terra di appartenenza. Ho cercato di ambientare il tutto creando intorno a loro un’atmosfera soffice e palpabile che sfumasse i contorni del contesto in cui le due donne erano immerse. Ogni scatto è diventato metafora del loro passaggio ad una realtà nuova e sconosciuta in cui ricucire le ferite subite. E’ stato un modo per dare voce al loro spaesamento, alla loro inguaribile nostalgia ma anche a quel forte legame che quotidianamente andava manifestandosi. Questo portfolio è stato molto apprezzato ai tavoli di lettura in cui l’ho presentato, così da risultare vincitore di una delle dieci tappe previste da Portfolio Italia, manifestazione fotografica della FIAF, caratterizzata da incontri di lettura portfolio. Inoltre, sempre con “Diritto d’Asilo”, ho vinto il primo premio della sezione dedicata al portfolio al Concorso Fotografico Nazionale “Truciolo d’oro” indetto dal Cinefotoclub 3C di Cascina (PI) giunto alla sua 55° edizione. Inoltre, sono entrata in contatto con la giornalista Giulia Cerqueti, originaria di Fabriano, che lavora nella redazione di Famiglia Cristiana dal 2002, collabora con varie testate e scrive principalmente di esteri, diritti umani, migrazioni, cooperazione e mondo del sociale. Le ho parlato di questo lavoro e lei mi ha immediatamente mostrato un grande interesse, spiegandomi che stava scrivendo un reportage sulla situazione attuale dell’Ucraina, focalizzando l’attenzione sul ritorno di molte donne nel loro Paese. Ne è nata un’intervista pubblicata sulla rivista mentre il mio portfolio è visibile sulla fotogallery del giornale. Inoltre l’esperienza mi ha anche ispirato una poesia con la quale ho vinto un premio al festival “Paesaggio Interiore” di cui è promotrice e Direttrice artistica la poetessa Francesca Innocenzi.

Parlando con te ho percepito che questo vostro vissuto si sostanzia in una sorta di accoglienza reciproca. E’ così?

Esattamente… mi piace rivelare a chi ascolta questo mio racconto, che questa storia di accoglienza si è realizzata per tutti i soggetti coinvolti, me compresa: anche io mi sono sentita accolta nel momento stesso in cui ho proposto loro di diventare le protagoniste del mio lavoro. E’ stata un’esperienza toccante: mi sono resa conto di avere la responsabilità di raccontare sentimenti, emozioni, stati d’animo attraverso i miei scatti e loro questa mia preoccupazione l’hanno percepita ma si sono affidate a me e lasciate guidare dalle mie richieste.

Alona e Sofia hanno fatto rientro in Ucraina il 19 agosto scorso, il vostro legame si è interrotto con la partenza o siete ancora in contatto?

Quando Alona e Sofia sono partite ho sentito un gran vuoto: 17 mesi di convivenza sono tanti e loro, da persone discrete e gentili quali si sono dimostrate, hanno contribuito a riempire, sommessamente, la mia quotidianità. Ovviamente, grazie a questo legame che si è creato, non ci siamo perse, ma continuiamo a tenerci aggiornate anche grazie alla presenza di Lyudmila a casa dei miei genitori. Così so che Alona ha iniziato a lavorare e Sofia si è iscritta in una nuova scuola dove ha finalmente delle compagne che la capiscono.

Consiglieresti ad altri di affrontare un’esperienza umana così particolare?

Tornassi indietro, come si dice, rifarei questa esperienza mille volte! Per me è stata oltre che gratificante anche arricchente dal punto di vista umano. Sono convinta, perché i fatti me lo hanno dimostrato, che il mio gesto sia stato vitale per aver permesso loro di lasciare l’Ucraina in un momento di grande precarietà e di aver contribuito a donare un po’ di pace in un periodo di estrema fragilità. Quello che mi sento di dire a chi volesse intraprendere un simile percorso di accoglienza è che bisogna essere completamente disinteressati a qualsiasi tipo di tornaconto personale. Non c’è stato alcun tipo di aiuto economico da parte di nessuna agenzia e per loro, mantenersi qui in Italia non è stato facile. Termino con una frase del poeta francese Edmond Jabes che ho scoperto e fatta mia: “Mi sono accorto, un giorno, che, nella sua vulnerabilità, lo straniero poteva contare soltanto sull’ospitalità che altri potevano offrirgli”.

Gigliola Marinelli

Nella foto: Nadia Ghidetti