LA STRETTA DELL’IMBUTO

E’ vero che al peggio non c’è mai fine e quindi che una rampa successiva dell’inferno si può sempre scendere, ma per quel che riguarda la scuola italiana possiamo dire che dopo la “107 buona scuola” la stretta dell’imbuto è ormai raggiunta. Questo significa che sarà ragionevolmente difficile in un futuro prossimo cadere più in basso di dove siamo.  Appunto dove siamo? Siamo alla persecuzione psicofisica del docente, cioè all’aggressione, dopo l’episodio di Lucca prontamente globalizzato sulla rete, in cui un adolescente dell’itc Carrara ingiungeva al prof di “mettergli 6 e inginocchiarsi”. A buttare benzina sul fuoco di un facile sociologismo Michele Serra che, non pago di essersi trasformato per alcuni anni nell’usignolo del Pd, oggi scopre che un maggior tasso di violenza è presente nelle scuole tecniche piuttosto che nei licei e ne fa responsabile il classismo della società nazionale.

Non c’è chi non veda che Serra, lontano fisicamente dal mondo della scuola e altrettanto ignorante dei meccanismi e delle leggi che l’hanno governata negli ultimi venti anni, sbaglia diagnosi e ovvio indica una falsa terapia. Ho anche l’impressione che la sua analisi, inficiata da una un facile ideologismo, abbia il preciso scopo di sollevare i responsabili dello sfascio. A Serra sfugge che dal 1999 le varie riforme che si sono succedute nella scuola oltre a distruggere un modello pedagogico didattico, forse inattuale, ma stabile e sperimentato, hanno avuto il merito di 1) dequalificare il lavoro degli insegnanti, 2) marginalizzare il curricolo nazionale, 3) inficiare l’autorità dell’istituzione con le ricadute che ormai conosciamo. A tutto ciò va aggiunta ovviamente la perdita di status data dalla pauperizzazione economica poiché anche i minerali sanno che l’insegnante italiano è quello peggio pagato d’Europa.

Se vogliamo essere precisi gli atti feroci che hanno contribuito allo sfascio, a mio modo di vedere, sono almeno 3. 1) lo statuto dei diritti delle studentesse e degli studenti che fissa i diritti inalienabili dell’utenza ma rimanda ai regolamenti interni il rispetto delle regole. 2) la tendenza a fare delle condotta una variabile indipendente dal giudizio finale. 3) l’alternanza scuola lavoro sempre più importante nel curricolo individuale che ruba ore al curricolo nazionale e sposta la responsabilità dello studente al di fuori del circuito pedagogico formativo per catalizzarla su quello della mera attività esecutoria.

Questi tre passi verso il vuoto, verso la fine del modello pedagogico italiano non sono stati sostituiti da un orizzonte nuovo, da un palinsesto dove incardinare certezze degli insegnanti, pratiche dell’amministrazione e soddisfazione dell’utenza. Si è buttato a mare un usato sicuro, discutibile ma sicuro, per proiettarsi verso una “scuola possibile ma invisibile”, del tutto prona alla propaganda politica e incapace di analizzare ste stessa. In ogni caso agli insegnanti non è stata data la parola per dire la loro, per gestire, organizzare e indirizzare questo processo di cambiamento, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti. C’è solo da sperare che nella stretta dell’imbuto ci si fermi e si ricominci a risalire.

Alessandro Cartoni