LA STORIA INSEGNA

BEATLES – Revolver

EMI – Parlophone

Genere: Rock

Supporto: lp – 1966

Parlare di un disco  dei Beatles è oggi quantomeno inutile, chi non li conosce? Non sto certo a spiegare chi erano i Beatles ne tantomeno a dire questo disco è più bello di quest’altro, in quanto è solo questione di gusti.

Loro hanno modificato le coordinate del Rock, questo si, va riconosciuto, senza ma e senza se. Se vogliamo fare un paragone classico, si può dire che i Beatles sono i Beethoven del Rock, coloro che hanno saputo osare qualcosa di più, di andare fuori dalle regole. Ecco anche il perché della mia scelta “Revolver”, non di certo unico capolavoro della loro discografia, ma il disco del cambiamento.

Siamo nel 1966 e il gruppo di Liverpool è già stra-noto, anzi, è da qui che le cose sia all’interno del gruppo che nella loro public relation con il pubblico vanno cambiando. L’uso di nuove droghe, l’abbandono della marihuana per arrivare all’LSD, ricopre un ruolo  importante anche se non primario. Per fortuna a Lennon e soci non capita quello che è accaduto a Syd Barrett dei Pink Floyd, l’uso non è smodato, e comunque questo porta a comporre canzoni “differenti” da quelle concepite sino a questo momento. Non si registra più a presa diretta, cioè non solo strumentazioni suonate al momento, ma interventi di registrazioni, suoni e quant’altro fanno capolino di tanto in tanto. Un esempio di questo “nuovo” modo di fare musica è nella conclusiva “Tomorrow Never Knows”,che poi in realtà è la prima canzone scritta per questo album, in essa c’è l’assolo di chitarra di “Taxman” brano di apertura del disco ma registrato al contrario.

Nascono i nuovi Beatles, quelli che cominciano ad avere rapporti più difficili all’interno del gruppo, ma che riescono a comporre sempre meglio, forse proprio grazie a questa gara interna di leadership fra Lennon e McCartney, con l’ingresso di un sempre più consapevole dei propri mezzi George Harrison. In “Revolver” quest’ultimo ha composto due brani, “Taxman” e “Love You To” con il ritorno del sitar.

Ma uno dei brani più importanti della storia del Rock risiede proprio qui ed è “Eleanor Rigby”. Esso contribuisce in maniera considerevole a far avvicinare anche i genitori dei “capelloni” al Rock, sino ad ora defilati e convinti che questa musica fatta di chitarre elettriche fosse soltanto isterica e rumore. Il perché è semplice, la canzone non ha chitarre elettriche, bensì strumentazione classica, archi e voci. Questa è una grande spinta per la nascita del Progressive Rock.

All’interno di “Revolver” altri classici, come “Yellow Submarine” e “Good Day Sunshine”, ma da tutte le canzoni si possono trarre spunti interessanti, così “I’M Only Sleeping”, “Here, There And Everywhere”, “She Said She Said”, “And Your Bird Can Sing”, “For No One”, “Dr. Robert”, “I Want To Tell You” e “Got To Get You Into My Life” fanno la loro figura.

Una frase infelice rilasciata da Lennon in una intervista a Maureen Cleave, fa si che le date dal vivo si stoppino clamorosamente, perché a rischio la sicurezza degli artisti. La frase è: “Siamo (i Beatles) più popolari di Gesù Cristo adesso. Non so chi morirà per primo, il Rock and Roll o il Cristianesimo”….Da qui in poi è un’altra storia. (MS)

“Revolver” https://www.youtube.com/watch?v=_EExGGJRzYs

ELP – Tarkus

Island / Metal Mind

Genere: Progressive Rock

Supporto: cd – 1971 / 2005

Molti di voi storceranno il naso di fronte ad un lavoro del genere reputandolo datato soprattutto a causa del suono che effettivamente non ha retto l’usura del tempo, ma non si può fare a meno di questo trio che per la prima volta propone un connubio basso-batteria-tastiere all’attenzione del grande pubblico.

La chitarra, pur se raramente, appare grazie al bassista Greg Lake (King Crimson) ma la sua assenza comunque non si fa sentire e questo è il merito dell’immenso lavoro tastieristico di Keith Emerson. Una cascata di tasti d’avorio ci coglie dunque all’ascolto di questo disco che al suo interno contiene la famosa suite “Tarkus”. Essa viene concepita da Emerson durante il tour del 1970 ed alla fine dello stesso, l’idea viene sviluppata al meglio in casa sua.

L’argomento riguarda la guerra (Vietnam?) ed il famoso Armadillo disegnato da William Neal della cover a forma di carro armato (Tarkus) è li a dimostrarlo immerso nel fondale color arcobaleno, evidente segno di pace. Nella introduzione della suite dal titolo “Eruption” si possono intuire le influenze jazzistiche e l’amore di Emerson per Frank Zappa e questo in futuro sarà confessato candidamente. Vulcani in eruzione, battaglie fra mostri a forma di Porcospino con coda da scorpione (Manticore), Ptneranodonti bombardieri, insomma la fantasia dei testi di Lake pregni di allegorie “politiche” accompagnano tutto il lato a del disco. Il pubblico di allora sembra gradire regalando al trio il primo posto nelle classifiche Inglesi.

Lo stile classicheggiante è comunque la spina dorsale del colosso musicale il quale da il meglio di se nel primo lato, nel secondo troviamo canzoni si simpatiche ma nulla più di banali motivi a tratti privi di fantasia. Degli EL&P si possono tranquillamente acquistare pure il disco d’esordio dal titolo “Emerson Lake & Palmer” (Island-1970) ed il meraviglioso “ Trilogy” (Island-1972), sicuramente pane per i denti degli amanti del classicismo, delle tastiere e del sinfonico. In seguito comporranno altri buoni lavori come ad esempio “Brain Salad Surgery” (Manticore-1973) od i sufficienti “Works vol.1 & 2” ma a noi piace ricordarli più cervellotici, più impegnati anche se sicuramente anacronistici.

La Sanctuary oggi ha ristampato e rimasterizzato tutti i dischi degli inglesi avvicinandoceli con un prezzo sicuramente più disponibile, approfittiamone e godiamo al meglio l’evolversi del Progressive il quale passa pure in questa strada (MS)

“Tarkus”: https://www.youtube.com/watch?v=WKNOlDtZluU

PINK FLOYD – Meddle

EMI

Genere: Psychedelic Rock

Supporto: LP – 1971

Questa recensione risulta l’ennesima al riguardo di un disco che è di fatto parte della storia del rock psichedelico e non solo. Nella ricca discografia dei Pink Floyd non è l’anello forte, ma quello che incatena il sound Pink dal periodo più psichedelico a quello storico di “The Dark Side Of The Moon”. Tramite “Meddle” passa la maturazione artistica, la personalità si stabilizza in un contesto settantiano del quale non sarà fruitore ma maestro. La formula canzone si incastona fra i brani altamente psichedelici, eppure distanti dal sound Barrettiano. Allora perchè parlarne ancora oggi se è ampiamente inflazionato? Semplicemente perchè mi sento di evidenziare un prodotto sonoro non sufficientemente stimato da molti, affogato dal successo planetario del suo successore, che però non avrebbe visto la luce se non ci fosse stato questo passaggio. Tramite “Meddle” si rafforzano certezze all’interno della band, ancora destabilizzata ed assalita dai “sensi di colpa” per la dipartita oramai annosa del primo leader Syd Barrett. Diverse le idee che lo compongono, anche distanti fra di loro per concezione e sonorità stilistica, a conferma di un periodo di transizione. Ecco allora fare sfoggio all’ interno di momenti Blues, Psichedelici, Rock e Prog!!! David Gilmour sale in cattedra e come non mai travolge l’ascoltatore con violenza caratteriale tramutata in chitarra con “One Of These Days”, unico brano della discografia Pink Floyd dove si può ascoltare (anche se brevemente ed in maniera distorta) la voce del batterista Nick Mason. Il basso martella un riff tanto elementare quanto suggestivo, grazie anche all’effetto eco per intersecarsi fra vento e slide guitar, un inizio tanto spettacolare quanto malefico. Uno dei pezzi più belli della storia chitarristica di Gilmour. “Fearless” è un buon brano, amato dai fans della band  inglese anche per il coro “You’ll Never Walk Alone”, registrato live allo stadio di Liverpoll per supportare la gloriosa squadra di calcio della città. In realtà il lato A dell’lp scorre con semplicità dopo l’impatto sonoro di “One Of This Days” e “San Tropez” è una canzone gradevole e melodicamente rassicurante rispetto all’insieme del discorso. La chiusura del primo tempo è delegata a “Seamus”, un semplice giro di blues con la chitarra acustica, dove il cane di Wright (tastierista), un levriero Afgano, da sfoggio della propria voce. Se siete curiosi di vedere come succede, basta andare a vedere il “Live At Pompei”.

Ma è il lato B che resterà nella storia della musica, un brano apparentemente lisergico che ricopre tutto il vinile: “Echoes”. Più di venti minuti di sensazioni che a differenza delle altre situazioni passate, gode di ponderata struttura. Come un vero brano Prog (ecco infatti la suite) si apre con un motivo, nato da una nota del piano di Wright che entra in risonanza nello studio, dando questo strano suono dalla straordinaria efficacia emotiva. Il brano si evolve, muta, si stabilizza in un martellante refrain psichedelico per poi ritornare all’origine con l’effetto sonoro appena citato. All’interno buoni fraseggi di chitarra, interventi spesso sferzanti così come graffianti e poi sensazioni oniriche ed a tratti oscure. Questo sarà proposto in tutti i concerti a venire in mille salse differenti e chi fa collezione di dischi Bootleg della band, non potrà che confermare questa mia dichiarazione.

“Meddle” è un album di straordinaria efficacia, un disco che dimostra fragilità strutturale, dettata dalla indecisa strada da intraprendere, ma che dall’altra parte sottolinea la forza caratteriale dei quattro amici di Cambridge, persone invece decise a sperimentare nuove situazioni e sonorità, alla faccia del music businness che vorrebbe sempre e solo brani mordi e fuggi. Fondamentale e da valorizzare nella maniera più assoluta. (MS)

“Meddle”: https://www.youtube.com/watch?v=m1mGSv3O_ic

MUSEO ROSENBACH – Zarathustra

Ricordi

Distribuzione italiana: si

Genere: Prog

Support: Lp 1972 – CD

 

“L’uomo museo è lavaggio del cervello, utopia e falsità… Il museo è aperto a tutti i secoli ed a tutte le illusioni, ma non è mai” Queste sono le parole che presentano questo unico disco dei Museo Rosenbach, ennesima band italiana mordi e fuggi del panorama Progressive Italiano. E’ intrinseco il fatto di non voler essere conformisti, il quintetto di Bordighera non vuole l’oggettiva standardizzazione del proprio essere. Il problema è che nei primi anni ’70 non la voleva nessuno. Con l’attenzione rivolta verso l’Inghilterra, le nostre band cercarono di estrapolare il meglio da quanto ascoltato oltre confine e di amalgamare il tutto con la propria mediterraneità. Inutile citare band come PFM, o Banco Del Mutuo Soccorso, le mitiche ORME o i “sovversivi” Area, ottime portabandiera di questo pensiero, sono sicuro che le conoscete gia. Il successo è quindi dietro l’angolo, perché la gente segue il movimento Rock, il Progressive è comunque mediatico di approfondimento culturale, una musica che fa pensare, riflettere e spesso associata ad una certa flangia politica. Si contesta in quegli anni, la strage di Piazza Fontana ha fatto da miccia a questo susseguirsi di band di sinistra, anche se a molte di loro non interessa veramente la politica, ma solamente di suonare. Tuttavia il panorama che si prospetta è questo, volenti o nolenti. I Museo Rosenbach hanno avuto una storia differente, a causa della copertina composta come un puzzle da immagini varie, sono stati schedati come gruppo di destra, a causa della piccola foto del volto di Mussolini. Chi segue il genere li relega immediatamente in questo contesto politico, quasi ghettizzandoli, anche a torto, perché in verità la musica, che è arte, non è ne di destra ne di sinistra.

La carriera del quintetto inizia nel 1972, come spalla a band come Delirium o Ricchi E Poveri, i testi composti sono di non semplice assimilazione, in quanto ispirati ed estrapolati da classici della letteratura come quelli di Friedrich Nietzsche. Ovviamente la musica si adegua a questo pensiero, rappresentando al meglio il movimento mentale della proposta. Si parla dell’Uomo dunque e in maniera filosofica, mentre la musica propinataci è un Rock sinfonico, adiacente allo stile Banco Del Mutuo Soccorso, con tastiere ovviamente in evidenza. Il lavoro principe lo svolge dunque Pit Corradi, mentre le chitarre di Enzo Merogno comunicano alla grande con la ritmica composta da Alberto Moreno (basso) e da Giancarlo Golzi (batteria) , pur sganciandosi di tanto in tanto in buoni assolo. La voce è quella di Stefano Galifi, soprannominato Lupo.

La band si scioglie quasi subito per i motivi di cui sopra, la gente non assegna loro la giusta attenzione, solo nel 2000 Giancarlo Golzi, poi anche batterista dei più fortunati Matia Bazar, riforma il Museo e produce un disco dal titolo “Exit”, ma è tutta un’altra storia.”Zarathustra” è consigliato a chi si vuole fare un idea di quali erano le cosiddette band minori del Pop italiano degli anni ’70, mentalmente più Heavy loro che 1000 band Metal di oggi. Storici MS

“Zarathustra”:   https://www.youtube.com/watch?v=z1DjVWWagwo

ROCK & WORDS sono Fabio Bianchi e Massimo “Max” Salari. Insieme raccontano la storia della musica Rock e dintorni, l’evoluzione e come nascono i generi musicali, tutto questo in conferenze supportate da audio e video. Assieme sono nel direttivo dell’associazione Fabriano Pro Musica.

FABIO BIANCHI: Musicista, suona batteria e tromba. Ha militato in diverse band fra le quali i Skyline di Fabriano e l’orchestra Concordia.

MASSIMO “Max” SALARI: Storico e critico musicale, ha scritto e scrive in riviste musicali di settore e webzine come Rock Hard, Flash Magazine, Andromeda, Rock Impressions, Musica Follia, Flash Forwards ed è gestore del Blog NONSOLO PROGROCK. Per sei anni è stato vicepresidente di PROGAWARDS, premio mondiale per band di settore Rock Progressivo e sperimentale. Autore del libro per edizioni Arcana ROCK PROGRESSIVO ITALIANO 1980 – 2013.

PER CONTATTI: rockandwordshistory@gmail.it   o salari.massimo@virgilio.it