AMARCORD ELETTORALE ‘LIGHT’/1: L’ERA DEL CETACEO BIANCO
Mentre lo spettacolo della campagna elettorale crea sussulti goduriosi pari a quelli di una lavanda gastrica, su di noi piomba la tagliola liberatoria della par condicio. Per tale motivo, da qui al fatidico “gong” del 4 marzo riavvolgeremo il nastro di 70 anni di storia repubblicana ripercorrendo in modalità “light” e con un po’ di aneddotica tutte le 17 tornate elettorali che hanno rinnovato altrettanti parlamenti in sette decenni.
18 aprile 1948
“Nell’urna Dio ti vede, Stalin no!” – recita un noto slogan nella radiosa primavera del primo vero confronto del paese “de-Savoiato” ai primi vagiti. Dal fatidico referendum di due anni prima (2 giugno ’46), col “ciaone” alla monarchia a vantaggio della repubblica, gli italiani hanno iniziato a spaccarsi in due su tutto lo scibile umano. In tema di donne: la prima edizione di Miss Italia nel ’47 divide il paese tra Lucia Bosè (sì, la mamma di Miguel) e Gina Lollobrigida. In tema di sport: la rivalità tra Coppi e Bartali è al suo apice e quasi ossessiva, tanto che nei bar talvolta fioccano scazzottate tra le due fazioni. In tema di politica: dopo la messa a punto della “Dottrina Thruman” da parte dello zio Sam che tiene a battesimo la Guerra Fredda, nel Belpaese ai due lati del campo troviamo opposti comunisti e anti-comunisti. Due macro-squadre, capitanate da due centravanti d’eccezione (bipedi di tale spessore ne vedremo pochini nel resto della fiaba), così diversi per tante cose e così simili per molte altre, a partire dall’antifascismo imperterrito di entrambi durante il ventennio “littorio”. Da una parte Palmiro Togliatti, al secolo “Il Migliore” per tutti i supporters della falce e del martello, leader dall’indole di travertino che se la intende “cor baffone” a Mosca. Dall’altra Alcide De Gasperi, pupillo di Don Sturzo e grande nocchiero della Democrazia Cristiana, uomo di rigore, omelie e grandi preoccupazioni, sponsorizzato da cardinali, suore, frati francescani e chierichetti. E dal Papa: a San Pietro alberga Pacelli, entrato nei sussidiari come Pio XII, tipetto che al solo scorgere bandiere comuniste viene colto da coliche reiterate. Il pontefice mette in moto fino all’ultimo dei sagrestani della Valle del Belice: sulla penisola Baffone non addavenì. Nonostante il puntello dei socialisti guidati dal sobillatore di piazzali Pietro Nenni, separatosi l’anno prima dal meno fumantino Giuseppe Saragat dopo la scissione di Palazzo Barberini, le sinistre unite sotto al Fronte Democratico Popolare si fermano al 31%, mentre De Gasperi fa “all in” con un roboante 48%. Nasce l’era del cetaceo bianco. Piccolo particolare: votano in quasi 27 milioni su 29 milioni aventi diritto al matitone. Il 92% e rotti: i tempi delle frasi fatti tipo “ha vinto il partito dell’astensione” sono distanti un cenozoico e mezzo.
7 giugno 1953
“Destino cinico e baro” – è un’espressione che ancora oggi ogni tanto risbuca fuori, un po’ come le tarme negli armadi. Il copyright è proprio di quel gran degustatore di Barbera che risponde al nome di Peppe Saragat, sconsolato nel corso di uno spoglio non proprio da mille e una notte per il suo partito mignon (PSDI). Anche i migliori, talvolta, sanno darsi la ramazza sulle parti care che è un amore: su input dei vari piccoli atolli che circondano la DC in maggioranza, De Gasperi si convince a far passare una legge elettorale kamikaze a soli tre mesi dal voto. E’ la cosiddetta “Legge Truffa”, citata in loop ogni volta che gli smidollati parlamentari odierni inventano astrusi marchingegni elettorali, rispolverata ed evocata a go go dagli analisti come “sgorbio” sistemico. La coalizione che piglia il 50% dei voti si divora più o meno tutto (il 65% dei seggi): la furbata alla balena nivea e ai pesciolini che le nuotano attorno però non riesce. Per 57 mila voti, il cucuzzaro centrista resta sotto la soglia. Lo scudocrociato perde due milioni di voti, e dai pulpiti clericali volano contumelie. Del resto è la primavera segnata dal caso della giovane Wilma Montesi, ritrovata già fredda sul bagnasciuga di Capocotta nel mese di aprile. Una faccenda che oltre al cadavere porta a galla un groviglio di intrighi che si snodano tra festini, serate galanti, sesso, un po’ di droga e persino una punta di rock ‘n roll. Con effetto domino, la Roma bene ne esce a pezzi. E ne vien fuori sbrindellato Attilio Piccioni, potente generale democristiano, visto che nell’affaraccio Montesi c’è coinvolto pure il figlio. Nell’Italia puritana dell’epoca, prefiche piagnucolanti e omoni tirati su dai gesuiti indirizzano la croce sulla scheda altrove. I comunisti (eviscerati dai socialisti) volano al 22%. Nenni da solo supera abbondantemente il 12. Il MSI, col frizzantino Giorgio Almirante alla guida, sfonda quota 6% nonostante da Piazzale Loreto siano passate solo otto primavere. De Gasperi saluta la curva (morirà l’anno seguente) e nella pancia del cetaceo si fa largo un lillipuziano toscano tutto pepe, arraffone così scaltro da far invidia a una cucciolata di faine: Amintore Fanfani.
25 maggio 1958
“Lei dica Duca, io dico dica!”. Recita così il Duca Gagliardo della Forcoletta, il concorrente sgangherato di “Lascia o raddoppia?” interpretato da Totò in uno dei suoi film. E’ arrivata la tv: Mike Bongiorno è già una star, Domenico Modugno ci diventa entrando nell’iperuranio canoro a Sanremo con “Volare” che in diretta tv sbaraglia la concorrenza, e nella pesante scatoletta che trasmette audiovisivi iniziano a circolare i primi messaggi elettorali, come quelli spassosi di Eduardo De Filippo che invita ad andare votare facendo come lui (cioè senza dire per chi). Il cetaceo bianco vuol riprendersi il maltolto e si riformula come un pesce a due teste. Se Fanfani è il frontman indiscusso, la regia silenziosa e sopraffina della politica di piazza del Gesù passa nelle mani di un quieto (quasi narcotico) 42enne: Aldo Moro. Il primo finisce sparato a Palazzo Chigi, con tutte le sue smanie e le sue fisime, il secondo prende chiavi e cordoni della diligenza bianca. I comunisti restano stabili: nonostante Stalin sia ormai terra per le cocce, Togliatti paga un po’ il cordone ombelicale di acciaio Inox con Mosca. I socialisti guadagnano due punti e la favella di Nenni raggiunge l’apogeo, mentre tracollano le destre: i partiti monarchici vanno in estinzione come i gamberi di fiume e anche i missini di Almirante scendono sotto il 5%. La DC, capita l’antifona, inizia a strizzare l’occhio a sinistra. La guerra ormai è nel faldone dei ricordi brutti, e l’Italietta pane e salame si appresta ad entrare negli anni più elettrizzanti del suo vissuto: quelli del boom economico.
TO BE CONTINUED…
Valerio Mingarelli