LE ORIGINI DEL GIANO, VIAGGIO NELLA STORIA

Sulle origini del fiume “Giano” si è discusso a lungo, senza però trovare mai una teoria che convincesse tutti. Ne abbiamo parlato con Fabrizio Moscè, membro del Comitato Alla scoperta del Giano e del gruppo Fabriano dal basso, entrambi comitati spontanei che hanno preso vita sulla scia del nobile obiettivo della riqualificazione del territorio.

“E’ ormai consolidata tendenza fabrianese considerare il nome Giano di attribuzione relativamente recente. A supporto di questa ipotesi parlerebbero soprattutto le antiche mappe comunali sulle quali il torrente viene denominato “Castella” o semplicemente “Flumen.” – spiega Moscè – Soprattutto nel 1700, infatti, molti eruditi marchigiani solevano cambiare alcuni idronimi e toponimi locali con nuovi nomi di matrice classica che poca attinenza avevano con il territorio. Questa presunta origine recente ebbe come diretta conseguenza la demolizione dell’ipotesi “Faber (Fabbroinsul JaGiano)”riguardo l’origine del nome di Fabriano, in favore di “Faberius”antico personaggio romano che sembra essere stato proprietario di un fon valle del Giano. Ma stanno veramente così le cose?”- si chiede.

Ad un’indagine più approfondita nasce un piccolo giallo storico, perché emerge che le cose non stanno affatto così: “Infatti basta sfogliare l’opera Dell’Historie di Fabriano di Fra Giovanni Domenico Scevolini da Bertinoro dell’Ordine de’ Predicatori, che peraltro è considerata una pietra miliare della letteratura fabrianese, per notare come lo Scevolini non solo utilizza ripetutamente l’idronimo Giano per riferirsi al torrente, ma parlando delle persone eccelse di Fabriano si sofferma sulla poetessa Leonora della Genga, contemporanea del Petrarca, riportando tre suoi sonetti, uno dei quali, inaspettatamente, riporta il termine Giano, inequivocabilmente riferito al torrente. – Spiega Fabrizio Moscè – Questo ci induce a pensare che già a quei tempi il torrente si chiamasse così; siamo nel 1300, cioè quando la città comincia ad assumere l’aspetto definitivo con la cerchia muraria di Albergetto Chiavelli che ingloba nel castello sia i borghi cresciuti a ridosso della vecchia città che, guarda caso, un bel tratto del torrente in questione. Vero è che alcuni studiosi nutrono dubbi sull’autenticità dei sonetti attribuendoli ad un’ignota mano di periodi successivi, così come ritengono gli scritti di Scevolini “ritoccati” in alcuni punti. In realtà contemporaneamente allo Scevolini i sonetti di Leonora vennero pubblicati in un trattato di Giovanni Andrea Gilio del 1580”.

“Questo quantomeno ci dà la certezza che l’idronimo Giano fosse già in uso nel 1500; non è poco perché di fatto viene a cadere l’ipotesi dell’attribuzione settecentesca. Per quanto riguarda periodi antecedenti al XV secolo, purtroppo la pressoché totale distruzione dei documenti conseguente l’eccidio dei Chiavelli, di certo non ci aiuta nella ricerca.” – afferma Moscè e prosegue – Giano o Castellano quindi? Una ragionevole sintesi a conferma dei punti sopra descritti è quella che nel medioevo il torrente venisse definito Castellano nel tratto cittadino per il semplice fatto di attraversare il Castello Fabrianese, ma fuori della città il suo vero nome, almeno per le popolo, fosse Giano”.

Ma c’è una nuova interessante ipotesi da sollevare sull’antica origine dell’idronimo: “In queste ultime settimane con degli amici abbiamo percorso e studiato l’area sorgentizia    del Giano, alle pendici del magnifico e selvaggio Monte Maggio, per renderci conto che il sistema di ruscelli che alimenta le spumeggianti cascate di Cancelli, nasce in corrispondenza di un passo cruciale, a ridosso della zona di valico, che sfruttava una remota valle secondaria (Valmare) la quale, essendo posta trasversalmente rispetto alla dorsale appenninica, rappresentava un naturale corridoio fra il territorio umbro e quello marchigiano. – racconta Moscè ed aggiunge – Un passo difficile, a quasi 1000 mt di altezza, percorso alla mercè di condizioni climatiche spesso estreme e probabili attacchi di malfattori e briganti, tanto che nel IX secolo si rese necessaria la realizzazione di una fortificazione che dall’alto permettesse di vigilare e difendere  sia  il territorio circostante che il cammino dei viandanti: stiamo parlando della Rocca d’Appennino, oggi ridotta a poche tracce murarie  che  testimoniano  le  antiche vestigia. E allora perché escludere che il Dio Giano, l’antica divinità custode delle zone di passaggio, sia stato eletto a protezione del valico e di conseguenza abbia dato fin da allora il nome al torrente che qui nasceva e nel quale viandanti e animali si dissetavano dopo la fatica della interminabile salita? La stessa Valmare con il suo sviluppo est-ovest replica metaforicamente il percorso quotidiano del sole, e non è forse Janus anche una divinità solare legata ai solstizi? D’altra parte l’indoeuropeo “Ja” allude al concetto “a ciò che transita”, “di passaggio da un luogo ad un altro”, come il latino “Janua” indica “varco, porta”; termini quindi che anche in quest’ottica riconducono ad un “Giano” visto come idronimo di origine antichissima legato però alla zona di valico, di passo, e non direttamente collegato alla divinità italica Janus”.

“All’inizio del novecento – conclude – la Città si accorge di non avere più bisogno del suo fiume; gradualmente la forza idraulica necessaria alle botteghe artigiane viene sostituita dall’energia elettrica; senza alcuna sensibilità ambientale il fiume diventa ben presto un canale di scolo della sporcizia cittadina, viene quindi coperto e dimenticato per decenni sotto la città, accollandogli anche il torto di un nome impreciso che oscilla fra un anonimo “Castellano” e un “Giano” attribuito,per come rimedio, in epoca recente. Ritengo invece che alcuni elementi che emergono da un’analisi diretta e attenta sia sul territorio che sulle fonti storiche disponibili, possano aprire nuovi e più accurati approfondimenti, volti a ridare dignità a questo oggi corso sottovalutato d’acqua ma in realtà intrinsecamente legato alla storia della città; una dignità sia fisica con la totale scopertura, che morale, facendo finalmente luce sulle vere origini del suo nome”.

Paola Rotolo