DAL VANGELO SECONDO “METEO”: ANSIE DA PREVISIONE ED EMORRAGIE DI BUON SENSO

Dal “piove, governo ladro!” al “nevica, inverno agro!” il passo pareva lungo, ma a quanto pare lo stiamo accorciando (e di che tinta). Se nell’universo proverbiale il primo è da sempre slogan bonario contro il potere costituito, in questi giorni assistiamo a un nuovo variegato brulicare di meteo-aforismi e addirittura all’irruzione nelle ciarle quotidiane di termini privi di fama per i più. Vedi “gelicidio”, parola “tecnica” dispersa nei meandri del vocabolario nostrano (che rimanda a pensieri truci, a gente spirata nel gelo tra sofferenze plurime, a campi di lavoro siberiani e via discorrendo) arrivata in poche ore a scalare le vette dei trend topic su Twitter, da umile fenomeno atmosferico quale in realtà è.

Ma tant’è: meteo, meteo e ancora meteo. In tutti i luoghi e in tutti i laghi. E l’attesa, almeno per quel che riguarda l’Appennino, è finita: la tanto temuta ma attesissima neve è arrivata. Copiosa e abbondante. E con essa anche improperi, schizofrenie e moti iracondi (parecchi prossimi al ridicolo), oltre all’immancabile scarica di “pugni” verbali sulle amministrazioni comunali pungiball. E ancora: tavole rotonde “social” su gomme termiche e spray antigelo e assunzioni draconiane di notiziari meteo. Parapiglia tra supporters del breccino e ultras del sale grosso. Congetture oracolari sulla viabilità sparate da vanagloriosi avventori di Facebook ben saldi in babbucce sul divano di casa con tanto di cioccolata calda in tazza grande. Ieri sera persino per entrare in Instagram si necessitava di ciaspole, passamontagna e salopette Vuarnet: neve dappertutto, in un tripudio lappone (incantato per lo più, con qualche ripetitività) di foto, filtri e gif. Il tutto per narrare questa imprevedibile catastrofe chiamata inverno. Sugli altri social, stesso spartito. Sti cavoli dei guai di Fiat-Chrysler, delle beghe insolubili sull’immigrazione, di Tajani novello presidente dell’Europarlamento, del terrificante caso Cucchi o di Trump che si avvia a larghe falcate verso la sala ovale: la neve imbianca (e nel dibattito cancella) tutto. E come detto sopra, ai più iberna neuroni e materia grigia, creando violente emorragie di buon senso.

Ricapitoliamo. Forte nevicata nelle giornate del 16 e 17 gennaio. Per chi è cresciuto “tra il Catria, il San Vicino e il Cucco”, parafrasando l’araldo del Palio di San Giovanni, siamo nella sfera del preventivato. Del pleonasmo. Del “va beh, ce sta”. Si può capire il panico a Brindisi o a Torre Annunziata, dove di solito cadono 16 fiocchi ogni 23 anni, ma in una città come Fabriano la neve ci sta che faccia capolino anche se non siamo in Val Senales o sotto le Tre Cime di Lavaredo. Perché allora tanta psicosi? Per spiegarla basta dare una sbriciata agli ultimi dati Audiweb. Se digitate la parola “meteo” su Google, vi vengono fuori oltre 55 milioni di voci. Addirittura tre milioni in più della parola “sesso”. Se fate la stessa ricerca coi termini in inglese, ovviamente non c’è gara: “sex” apre a circa 3 miliardi di pagine, “weather” a 1,2 miliardi. Secondo indizio. In base a un report commissionato dall’Organizzazione mondiale della Sanità all’Ue, un italiano su quattro è meteoropatico. Vale a dire che “soffre” i mutamenti del clima, e anche solo un semplice “cambio di stagione” lo affronta con barbiturici e fiori di Bach. Solo i finlandesi se la giocano con noi, col non piccolo alibi che loro per sei mesi il sole lo vedono soltanto in cartolina o sugli spot delle Baleari (poi sono 4 milioni e mezzo, noi 60 e rotti). Terzo e ultimo indizio. Da quando siamo entrati nell’epopea degli smartphone, le applicazioni di previsioni del tempo scaricate sono state circa 20 milioni. Un portale come Meteo.it è ormai stabile sopra ai 2,5 milioni di contatti unici al giorno, che salgono a 3,5 in giornate come queste e a punte di 6 milioni nei giorni “incerti” d’estate. Dunque, se tre indizi fanno una prova, possiamo dire a tutti gli effetti che siamo un popolo di “drogati” di previsioni meteo che facciamo assurgere a “vangelo”, con ansie da previsione e “tic” schizoidi nel controllo di temperature, tassi di umidità, rose dei venti e pinzillacchere varie.

Questa fisima sta accrescendo la rilevanza economica del “meteo”. Dal punto di vista giornalistico, esso è diventato una vera e propria merce. I cronisti non si divertono a scrivere titoli quali “Italia nella morsa del gelo” o “Bomba d’acqua sulla Capitale”, così come non se la spassano a girare servizi con turisti che si abbeverano dalle fontanelle con 40 gradi all’ombra o vecchietti che battono in ritirata nelle fatidiche “ore più calde della giornata”. Però se McLuhan sosteneva che “il medium è il messaggio”, oggi il paradigma si è un tantino rovesciato: si danno in pasto prefabbricati servizi sul meteo (con tutte le iperboli, gli allarmismi e le cazzate del caso) soprattutto perché è quello che il lettore/spettatore vuole “fruire”. Inoltre, l’accezione economica della materia metereologica viene sovente usata come arma: è soltanto della scorsa estate l’ultima rivolta di albergatori ed esercenti della costa Adriatica contro istituzioni, espertoni e guardia costiera per il meteo-terrorismo, reo di far perder loro ogni week-end svariati denari per via di apocalissi annunciate che poi si rivelano poco più che “brezzette” innocue.

Insomma, se per Wolgfang Goethe (meteoropatico da record olimpico) “le menti eccelse sono le più esposte agli effetti nocivi dell’aria”, l’impressione, dopo due secoli e rotti, è che a basse temperature un po’ tutte le capocce vadano fuori giri. E la situazione non andrà certo a cambiare a breve. Poi per carità, le amministrazioni locali spesso ne combinano una più di Bertoldo tra piani-neve sballati e chiusure scuole tardive. Ma se un camionista avvinazzato si avventura col suo bel autoarticolato su una salita al 12% di pendenza con le gomme lisce, la colpa può essere del sindaco o dell’assessore? No, of course. Però il meteo ci dà il là per poter esagerare e prenderli comunque a pallate. Di neve, naturalmente.

Valerio Mingarelli