… LA CHIAMAVANO SUA MAESTA’: 50 STORPIATURE DI BREXIT
“Scusate, avreste delle munizioni? Ho avuto una lunga discussione e ho finito gli argomenti”. Viene da citare il compianto Bud Spencer di “Trinità”, nel buttare solo il bianco degli occhi su sei giorni di rassegna stampa e scorribande social intorno a quel “Hello, Goodbye” (ma sì, un po’ di Beatles non guastano mai) ululato dal popolo britannico all’UE. Il materializzarsi del Leave, tanto inatteso (personalmente non ci avrei puntato una fiche) quanto terrorizzante, ha creato una “scimmia” collettiva in analisti, politologi, soprammobili da salotto televisivo e clavicembalisti prestati alla tastiera, che ha reso la “mix zone” post-voto il trionfo della commedia nera con forti punte di canovaccio cazzaro.
L’oscar della panzana va allo strombazzato “pentimento” dei sudditi di sua maestà. Dopo aver lanciato il sasso, stando alle cronache gli inglesi si sarebbero mozzati il braccio con la roncola, tanto che 49 minuti dopo la fine del fiaccante spoglio un milione di essi avrebbero chiesto di rivotare. Diventati due milioni sabato, e tre domenica: dopo un referendum di andata, giusto farne uno di ritorno. Tanto che, appresa la notizia, in preda all’entusiasmo Emanuele Filiberto di Savoia ha piazzato un gazebo sul lungomare Caracciolo di Napoli per raccogliere firme per la rivincita di quel Repubblica-Monarchia del ’46. Una bestialità tale, questa del “mea culpa” dilagante d’Oltremanica, elevata a bufala solo dopo tre giorni. La petizione è infatti sul sito del Parlamento inglese, dove non bisogna registrarsi, né lasciare una mail: può “cliccarla” chiunque. Così, le firme sul voto-bis (il tassametro nel mentre corre: siamo a 4 milioni) sono arrivate da Parigi come da Nashville, passando per Bratislava, Calcutta e Yokohama. Ne sarà arrivata qualcuna anche da Campi Bisenzio, sicuro. Senza contare poi i fake tipo “Kevin71” o “SweetPussy”.
La seconda astrusità riguarda il “sadismo” dei vecchi del Regno Unito. Che con ghigno beffardo, avrebbero barrato in massa il Leave per scippare da astuti Arseni Lupin il futuro ai giovani. Oppure c’è chi grida al caos mentale, come se la Brexit sia stata confusa da migliaia di ottuagenari per un sostitutivo del Prostamol. Congettura che sta portando molti a vagliare l’ipotesi di interdirli al voto, o di sottoporli a severi test psicofisici prima dell’ingresso in cabina elettorale. Hai una cataratta all’occhio sinistro? Sei out. Hai 190 di pressione minima? Idem. In caso di comprovata demenza senile, poi, non ne parliamo: devi tenere una distanza minima dal seggio di 2,7 km. Molti scienziati addirittura hanno bollato il suffragio universale come malattia da debellare: un vaiolo 2.0. Eppure qui il dato è tratto: che a decretare la Brexit sia stato principalmente il voto dai capelli grigi sono i numeri a dirlo. Ma è normale: nei paesi sviluppati, gli anziani sono di più e il peso specifico del loro voto è superiore ovunque (altrimenti in Italia non avremmo avuto 40 anni di goleade democristiane a ogni tornata elettorale). Soprattutto, i vegliardi votano di più: tra gli under 25 giovedì nel Regno Unito ha impugnato la matita solo un ragazzo su tre. Quindi il futuro (ammesso che senza qualche paludato connazionale a grattarsi le palle a Strasburgo sia compromesso) semmai se lo sono fregato da soli.
E ancora: “una decisione così pesante, non può essere affidata al popolo bue” è la filastrocca lisergica di tanti menestrelli della politica. Convinzione che può contenere pure punte di verità, ma non bisogna dimenticare un particolare: il referendum lo ha voluto la classe dirigente, non l’unione dei circoli di cucito o dei portuali di Dover. Primo tra tutti quel David Cameron che tanto ha affascinato le stanze dei bottoni di mezzo mondo (me compreso, almeno nella sua ascesa). Il premier britannico non ne ha acchiappata una neppure col retino nell’ultimo anno e mezzo. Prima ha piantato una gazzarra sfiancante con le istituzioni Ue. Quindi ha punzecchiato la cattivona Merkel, rea oltretutto di essere ora la “prediletta” dello Zio Sam (Casa Bianca, ndr). Poi si è messo a rincorrere i voti ulcerosi dell’Ukip di Farage, non appena ha capito che gli anti-Ue non erano soltanto uno sparuto branco di strafatti di Guinness. Infine, ha detto ok: “all-in”. Si è seduto al tavolo verde buttando tutte le fiches sul Remain. Alle quali ha aggiunto quelle del giocatore alla sua sinistra, il leader del Labour Corbyn, odiato dai suoi più di Mihajlovic quest’anno dalla dirigenza del Milan. “O con me o contro di me” – ha tuonato, emulando un altro virgulto della politica nato a Pontassieve. Risultato: “labbrata” colossale. Cameron, conservatore efficace e arrembante sul fronte delle idee, sul piano della strategia si è rivelato una mezza calzetta (ma i giornalisti nostrani fanno fatica a metabolizzare sta cosa, e quindi a scriverla). Il compagno di squadra Boris Johnson, nel gioco con le alchimie del consenso, gli spiccia casa. E una come la Merkel, che di idee ne ha ora poche e incasinate, strategicamente però non lo vede neppure e gli mangia in testa. Cameron ha due terzi di responsabilità buona, diciamocelo: ha fatto come quello che si taglia le parti care per fare un dispetto alla moglie, ma per tanti corsivisti con l’olezzo al naso resta tutta colpa della plebe.
Telegraficamente, ecco altri falsi miti. 1) Annunciato tracollo dei mercati: nada. Londra ha sempre valore finanziario ed è la succursale di Wall Street (lo sa pure mia nonna). E’ la sterlina a prendere la legnata tra capo e collo. 2) Sistema politico inglese “stabile” per natura: sì, come no. Hanno i laburisti in fase catatonica. Forze antisistema che si cagano addosso. E i conservatori, veri nocchieri del Regno, ora come ora getterebbero Cameron nel Tamigi ma anche a Johnson farebbero passare un brutto quarto d’ora (il partito è un cubo di Rubic adesso). 3) La Brexit ha condizionato il voto spagnolo, portando gli iberici a optare per i partiti tradizionali (è la puttanata dell’80% degli editorialisti italiani): un sondaggio fatto da “El Paìs” dice infatti che solo l’1,8% degli elettori si è espresso pensando a Londra nel buio dell’urna. 4) “Basta, questa UE e i tanti stranieri ci rubano il lavoro” – mantra brexittiano per eccellenza. Sparato da Johnson persino ai dipendenti della Volkswagen (nota a tutti come azienda dai forti tratti british). 5) Nascerà un’altra Europa. Ora. Subito. Campa cavallo, che l’erba cresce.
Valerio Mingarelli