UNA MATTINA, MI SON SBRACATA, O BELLA CIAO…

“E se io voto, da partigiano, tu mi devi votar Sì”. Chissà che direbbe Winston Churchill, se oggi potesse sbirciare la tonnara politica italiana sul referendum costituzionale. All’indomani della fine della guerra, che il fu “Primo Lord” dell’Ammiragliato britannico vinse da fantasista assoluto (col non trascurabile aiutino dello Zio Sam), alle elezioni fu preso letteralmente a pallate dai laburisti. “I grandi popoli hanno diritto all’ingratitudine” – fu la laconica “glossa” di sir Winston in quell’estate del ’45. Ora: provate a immaginare un’espressione del genere in bocca a Renzi o a Grillo. Oppure a Salvini o a Brunetta. E’ praticamente impossibile: più facile veder tornare di moda le cabine telefoniche a gettoni. Oggi i bomber di partito nella versione (tutt’altro che ricca di appeal) di fagiani televisivi da combattimento, la parola dissenso non la captano proprio: non fa parte del loro glossario. Anzi, è vista un po’ come la peste al tempo dei Lanzichenecchi raccontata dal Manzoni: un morbo da debellare e sgominare, pena il trapasso politico.

E va beh: dov’è la novità, vi chiederete. In verità però su questa riforma costituzionale il parapiglia caciarone dei cori ultras e del dileggio pastasciuttaro di chi la pensa diversamente, tratti distintivi di una classa dirigente sempre meno digerente (e digerita, ndr), rischia di prendere una derivaccia. Parliamoci chiaro: qui non si sta modificando il regolamento del torneo di Burraco ai bagni “Ursula” di Ladispoli, ma la Costituzione del nostro paese. La quale, pur coi suoi pregi e i suoi difetti, è il libro mastro che ci accompagna ormai da quasi sette decenni.

“I veri partigiani voteranno Sì” – è stato l’ultimo buffetto della (sempre più sbracata) Lady Boschi sulla nuca di quelli che sostengono che lei e l’allegra brigata “Chigiana” non hanno sfornato poi sto gran testo costituzionale. Accortasi di aver urinato decisamente fuori dal vaso, ha poi messo una toppa più sfibrata del buco: “Intendevo quei partigiani che hanno fatto la Resistenza”. Deve averne contattati molti mediante seduta spiritica: a chi non è morta la prof alle medie è noto infatti che la Resistenza risale a oltre 70 anni fa. Quindi, sia i membri delle Brigate Garibaldi e Matteotti, sia gli autonomi badogliani di Fenoglio e tutti gli altri, oggi o sono ultranovantenni o riposano il sonno dei giusti. Risulta difficile pensare che la Boschi possa aver preso uno spritz con Calvino o aver sentito Pertini in chat su Facebook. L’Anpi, per questioni anagrafiche, annovera perlopiù tesserati che la Resistenza l’hanno letta solo sui tomi di storia, e si è espressa (dopo consultazione collettiva) per il No. Ma si tratta di un’indicazione di voto: non verranno fatti falò con le tessere di chi voterà Sì.

La generalizzazione e la “etichettatura” che ogni giorno i membri dell’esecutivo scaraventano su giornali e tv è ossessiva: dopo “chi vota No è come Casapound e non è un vero partigiano”, con l’avvicinarsi di ottobre si rischia di scendere nell’abisso del “chi vota No è un figlio di buona donna, chi vota Sì è bello, figo, cool, cuoricino”. Per carità, nessuno chiede asserzioni erudite e profonde alla Piero Calamandrei (che Renzi peraltro agita ogni giorno come talismano, manco fosse suo zio). Però visto che parliamo di Costituzione, l’asticella del dibattito andrebbe tenuta un tantino più alta. Senza strumentalizzazioni da asilo Mariuccia: il professor Rodotà, che di materia costituzionale va ghiotto da sempre, voterà No come Salvini. Ma non per questo i due combaciano, come da Palazzo Chigi tendono a banalizzare. Questa nenia dei buoni e cattivi, belli e sfigati, ottimisti e iettatori, agli italiani toglie la già pochissima voglia di andarsi a leggere gli articoli del nuovo testo. Oltretutto articoli prolissi e ampollosi, contro gli stringati e incalzanti partoriti dalla Costituente nel ’46-‘47: un po’ come se dall’era di Twitter ci venissero Aldo Moro e Pietro Nenni e non Pina Picierno e Matteo Orfini.

La riforma alterna parti buone ad altre meno e al cittadino viene chiesto un All-In: o tutto o nulla. Per questo il referendum andava scorporato in più quesiti. Il “pantano” del Senato, che negli ultimi due decenni si è tracannato governi e divorato leggi, sparirà. Però l’iter legis non pare destinato a una stagione di nuova efficienza, visto che nascerà un senaticchio di consiglieri regionali in gita e ben 22 tipologie di leggi rimarranno di competenza bicamerale. Ci saranno meno poteri e funzioni per le regioni, più bottoni e decisioni nella stanza del premier. Poi novità sul referendum. Novità sulla Consulta. Novità sui meccanismi di scioglimento delle Camere. Insomma, tanta carne al fuoco, sulla quale i cittadini vanno informati a puntino perché possano mangiarla. Non tirati per la giacca da questo o quel comitato che fa a gara a chi sporge di più il petto all’infuori: anche perché il rischio di non capirci una mazza è altissimo, e finiremo a chiedere lumi a Red Ronnie. E lì sarà “bella ciaone”.

Valerio Mingarelli