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DON CAVILLO E PIPPONE: 70 ANNI DI REFERENDUM IN ITALIA

Matite in mano, torna lui. Evocato da attivisti ardimentosi e movimentisti incalliti. Odiato ed esecrato da politici di ogni ordine, rango, colore e poltrona. Soprattutto, amato quasi quanto una colonscopia dalla maggior parte degli italiani, che lo vedono sempre come un “ladro” di gitarelle domenicali. E’ il referendum, strumento di democrazia pseudodiretta (previsto dalla costituzione). Il quale, manco a farlo a posta, ai costituzionalisti crea da decenni grattacapi e parestesie. Dopo endorsement ambientalisti a scoppio ritardato e crociate apocalittiche degli ultras dell’oro nero, l’oggetto del contendere di domenica è noto: le trivelle. Più precisamente quelle già conficcate nei mari nostrani. E ancora più precisamente quelle entro le 12 miglia di distanza dai bagnasciuga dove tra un paio di mesi giocheremo a racchettoni. Senza menarla troppo, qui riavvolgeremo il nastro, ripercorrendo vizi, vezzi e virtù di 70 anni di referendum nel Belpaese.

Il 70 è un numero che ricorre: quello di domenica è infatti il 70° quesito referendario dell’Italia repubblicana, il 66° “abrogativo”. Dal babbo di tutti i referendum, quello che portò l’Italia sbrindellata dalla guerra a scegliere tra monarchia e repubblica, le campagne susseguitesi negli anni hanno interessato tutto lo scibile umano. Divorzio e aborto, droga e sostanze psicotrope, cacciatori e magistrati (per alcuni le due figure coincidono), casse di risparmio e monti di pietà, tv e usl, obbiettori di coscienza e procreatrici assistite. Persino fitofarmaci e servitù coattiva di elettrodotti, nonostante per i malcapitati votanti fosse più chiaro un indovinello in dialetto cirenaico. E tanto altro ancora: tranne che sulla cacca dei piccioni “comunali” e sul parcheggio in doppia fila, ci si è espressi su tutto tra cavilli procedurali e pipponi etici (e epici). Ma ecco le tappe più “salate” e decisive.

2-6-1946: ADIEU SAVOIA. Monarchia o repubblica? Sotto un sole cocente, l’Italia si mette in fila. I Savoia sono depressi e scazzati, ma sempre astuti come volpi grigie: l’incartapecorito Vittorio Emanuele III, col voto alle porte, ha ceduto la corona al filiforme figlio Umberto II, fondamentalista del caviale del Volga e del Borsalino sul capo. Dopo vent’anni sotto il giogo del “trombeur de femme” calvo, gli italiani sono golosi di democrazia: a votare ci va l’89% di essi e spiccioli. La marchesa Nunziante, nota più per essere la nipote di Benedetto Croce che per il sangue blu, prova a votare due volte e finisce al fresco. Per due milioni di voti di scarto, il re fa armi e bagagli. Savoiardi e cortigiani gridano al broglio e a Napoli scoppia la gazzarra, che lascia pure qualche morto sui marciapiedi. La Cassazione però non vuole noie: è repubblica. Fatta quest’ultima resta da fare l’Italia, ma quella è un’altra faccenda.

13-5-74: TRA MOGLIE E MARITO… Da quattro anni in Italia una legge permette di divorziare. Sotto al cupolone, però, la cosa fa venire ripetuti travasi di bile all’impettito gesuita Paolo VI. Inoltre, a democristiani e missini si è tolto il piacere di avere un’amante “extra moenia”. Ad invocare il referendum abrogativo è uno dei bomber più torvi della balena bianca: il lillipuziano Amintore Fanfani, sostenuto dall’artiglieria propagandistica vaticana. Le prova tutte, prospettando ai mariti italiani persino fughe lesbo delle mogli dal talamo nuziale. Niente: vince il no e la legge che regola l’infelicità coniugale resta.

18-5-81: L’UTERO E’ MIO E… Sette anni prima, nella campagna pro-divorzio si è distinto un dirigente radicale sulla quarantina gasato, gasante e “drogato” di referendum. Nella primavera ’81 è un leader fatto e finito, sobillatore di folle come pochi e campione olimpico di digiuni: si chiama Marco Pannella. Nell’Italia trafitta dallo scandalo P2, lui dà il via a una mitragliata di campagne referendarie che durerà quasi 30 anni. Al soglio di Pietro c’è Wojtyila, meno rigido dei predecessori ma pur sempre cattedratico di etica. Nei quesiti pannelliani (oltre a ergastoli e rivoltelle) c’è l’aborto, che il polacco chiama “strage”. Un invasato turco gli spara a cinque giorni dal voto, e i papa-boys del “Movimento per la vita” confidano non senza strumentalizzare nel trionfo. Nulla da fare: tra le lacrime di suore orsoline, frati benedettini, chierichetti e ministri DC, anche l’aborto va, nonostante faccia discutere ancora oggi.

4-6-1990: LEPRI E QUAGLIE. Pannella, ancora lui. Negli anni ’80 si è consacrato come il “Maradona” dei referendum e ci riprova. Nei boschi italiani ormai si spara a ogni essere animato, a momenti anche alle mosche in cerca di sterco. Per il digiunatore seriale è ora di darci un taglio e di disciplinare la caccia. Stavolta gli va male: si presenta ai seggi solo il 43% degli italiani, che a un bel pennuto alla cacciatora non rinunciano.

10-6-1991: “ANDATE AL MARE”. Sulla scena arriva un altro fan del referendum. A differenza di Pannella non è un falco, ma una rondinella. Fiuta però il vento meglio dei rapaci, nonostante sia soporifero come un rosario cantilenato. Si chiama Mariotto Segni, ultimo rampollo di una dinastia DC (che non ama troppo). Capta che il sistema elettorale è superato: vuole la preferenza unica. Craxi, dominus del garofano, deflagra come un candelotto di tritolo e lo fa passare per uno strafatto di Fernet. Soprattutto, invita gli italiani ad andare al mare nel giorno del voto: è il più grande autogol della storia repubblicana. Gli italiani vanno, e il sì supera il 95%. La fine del centravanti socialista parte lì: due anni dopo un altro referendum da il là al sistema maggioritario e Tangentopoli fa il resto. Sulla prima repubblica iniziano a scorrere i titoli di coda.

13-6-2011: BERLUSCATOMICO. L’Italia è nei casini: Berlusconi, al quarto giro di giostra a Palazzo Chigi, si becca cazziatoni a ogni piè sospinto dall’UE perché il rubinetto della spesa pubblica continua a perdere. Inoltre lo spread, termine familiare a dieci italiani su 60 milioni, rischia di mandarci zampe all’aria. Lui prevede di rilanciare l’economia con nuove mosse, tra le quali ci sono investimenti nel nucleare e privatizzazione del servizio idrico. Apriti cielo: a fomentare gli animi ci pensa un molisano sgrammaticato che vorrebbe il cavaliere chiuso in una sestupla a Rebibbia: Antonio Di Pietro. Il referendum fa il paio con le amministrative, e B. le busca ovunque. E l’inizio del crepuscolo: tra olgettine, statue di Priapo, processi e processetti, viene disarcionato. Il resto della storia lo conoscete.

Valerio Mingarelli