IL DIRITTO DI CITTADINANZA DEI GIOVANI – di Alessandro Moscè

Su ”Libero”, la settimana scorsa, è stato pubblicato un articolo interessante dal titolo “Aaa cercasi italiani in affitto”. L’annuncio è della Germania, che vuole giovani (anche croati, ungheresi, spagnoli e portoghesi) da formare e iniziare al mondo del lavoro con il programma “The job of my life”,  con uno slogan significativo: “Dai tutto e noi ti daremo molto di più”. Il diplomato, che deve avere tra 18 e 27 anni, manda il curriculum, viene selezionato (come operaio metalmeccanico, media designer, cuoco, parrucchiere), gli viene coperta parte della trasferta e un corso di lingua tedesca, poi entra in un’azienda con un tirocinio pagato. L’esperienza dura circa due o tre anni ed è previsto un esame finale. Dopodiché il giovane può decidere se continuare a vivere in Germania. Ovviamente il governo tedesco spera che lo straniero si fermi e lo spinge in questa direzione usando come esempio Michael Schumacher, che fece un corso da meccanico prima di diventare pluricampione mondiale di F1. Chi vuole andare in Germania deve essere una persona con la mentalità aperta, pronta ad impegnarsi e ad applicarsi, con una predisposizione al lavoro di squadra. Torna in ballo la nostra situazione in campo lavorativo, dove i più penalizzati sono i giovani, spesso laureati, con un’ottima formazione alle spalle, volenterosi, capaci, ma senza prospettive. Disoccupazione, inoccupazione e mobilità attanagliano il nostro Paese che fa molto fatica a riprendersi dalle secche di una recessione spaventosa. Andare all’estero: certo, è una soluzione, spesso neppure sconveniente. Ma resta la responsabilità di rialzare un’Italia depressa che fa capo a politici, imprenditori, economisti. Un’altra notizia interessante, apparsa sulla stampa, rappresenta la cartina di tornasole per tutto il territorio nazionale compreso il nostro. Li chiamano Neet. Sono i giovani fino a 25 anni che non studiano, né lavorano. Non sono impegnati in alcun percorso formativo e nemmeno stanno cercando qualche opportunità. Una generazione di “invisibili” perché usciti dalla scuola e mai entrati a contatto con un’azienda. A Prato se ne contano quasi 5.000 (per l’esattezza 4.842), secondo l’ultima rilevazione realizzata mediante l’incrocio della banca dati dell’osservatorio scolastico, le comunicazioni al Centro per l’impiego, il database regionale sulla formazione professionale, gli iscritti all’Università di Firenze e quelli che hanno sostenuto un colloquio di orientamento. Con un’azione mirata la Provincia è riuscita a stanarli. Il passo successivo è stato dare le gambe al Youth Guarantee scheme, un progetto finanziato dall’Unione Europea e promosso dalla Regione Toscana, che a Prato ha coinvolto 40 partners per creare un modello di intervento su un campione di giovani inattivi. Alcuni di questi stanno concretizzando un percorso formativo, altri, dopo un colloquio, sono stati incanalati in altre direzioni. Un laboratorio, dunque, avviato con molti soggetti della potenziale rete. I giovani hanno diritto di cittadinanza e solo il lavoro può riconoscerglielo. La Regione Toscana ha avuto una buona idea per ovviare alla strada della fuga. Una fuga per la vittoria lontano da casa.

Alessandro Moscè