INZAGHI IN PASTO AGLI SQUALI – di Luca Serafini
Il flop d’inizio anno, un punto in 3 partite di cui 2 in casa, ha scatenato il processo a Inzaghi. Per allestirlo in maniera serena e costruttiva bisognerebbe parlare delle sue scelte, di tattiche e formazioni, dell’inesperienza scontata, ma anche del tradimento del suo entusiasmo, affatto sorretto l’estate scorsa da una campagna acquisti degna di questo nome. Invece in queste ore leggiamo che i capi d’accusa sono l’insistenza su De Jong (su De Jong? Non su Essien e Muntari?), la sua amicizia con Andrea Maldera che avrebbe portato all’accantonamento di Tassotti, la bresaola. Viene in mente Seedorf, ufficialmente esonerato per le uova servite in camera d’albergo, per le mail ai suoi collaboratori, per un allenamento al giorno invece di 2. Berlusconi e Galliani non hanno più molto chiara la concezione del calcio e dei calciatori, non è più in cima da tempo ai loro interessi, sono convinti che una grande squadra si possa ancora allestire sia pure attraverso prestiti, parametri zero, questue, favori, ripieghi. Una volta compravano i capitani delle Nazionali o dei club, oggi si fanno regalare le riserve, eppure suonano la grancassa e la fanno suonare ai loro vassalli esattamente come nell’epoca della grandeur. Sono convinti che le armate Brancaleone da loro allestite nelle ultime estati possano giuocare bene e vincere come con Gullit e Van Basten, come con Shevchenko e Rui Costa. Si esaltano per uno 0-0 a Roma e un’amichevole a Dubai – dove loro non erano presenti… –, poi sono pronti a rovesciare su Inzaghi le colpe delle 2 vittorie in 3 mesi e 11 partite. Sono certi che il loro derelitto Milan sia da podio e si inalberano se non è capace nemmeno di galleggiare nei paraggi. Non percepiscono il malumore, il disgusto dei tifosi, ne paiono quasi sorpresi.
Questo è l’aspetto più sconcertante della storia attuale del Milan: l’assenza di autocritica, lungimiranza, capacità di analisi. La mancanza di prospettive. Come ampiamente previsto e prevedibile, la colpa è di Inzaghi e solo sua. Un alibi comodo, un capro espiatorio facile, un parafulmine naturale. Inzaghi ha la colpa estrema di aver annunciato una squadra rabbiosa, attenta e determinata che invece passeggia in campo senza nerbo e senza idee, di questo dovremmo parlare. Invece si parla di Inzaghi che ha la colpa di cambiare continuamente una formazione all’interno di una rosa composta da bidoni, vecchie cariatidi sempre acciaccate, marchette giapponesi, poster, oggetti da esposizione non in vendita. Inzaghi ha sbrigativamente e semplicemente la colpa di aver accettato di allenare la prima squadra come se chiunque altro al suo posto si sarebbe fatto scrupoli. Inzaghi ha la colpa di essere capitato alla guida del pullman venduto anch’esso, nel momento in cui i concessionari straparlano di #ultracompetitivi e #apostocosì. Inzaghi ha la colpa di continuare a cercare il bandolo di una matassa aggrovigliata e di lana scadente.
Inzaghi ha la colpa di essere finito in quella spirale che negli ultimi anni ha indotto i brandelli di questa società a chiudere in malo modo le carriere di Maldini, Nesta, Gattuso, Pirlo, Seedorf, Ambrosini, bandiere ammainate e non riposte in teca, ma usate per lucidare le scarpe che si intonino con cravatte sgargianti. Inzaghi ha la colpa di essere lasciato solo, e già solo per questo continua a meritare il nostro affetto e la nostra difesa. La nostra critica come umili consigli. La nostra rabbia come atto d’amore. Le vittime sacrificali non ci piacciono, i linciaggi ancora meno. Specie se pilotati.
Luca Serafini