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“Teodoro nella città “: Il nuovo romanzo di Alessandro Cartoni

“Teodoro nella città”, edito da I Robinson, è il nuovo romanzo di Alessandro Cartoni. Docente di lettere nelle scuole secondarie e membro del laboratorio collettivo Carboneria letteraria, Cartoni ha pubblicato nel 2010 la trilogia “Io sono la nemesi”(Perrone), nel 2017 la raccolta “Dove ballano le ragazze”(0111 Edizioni) e nel 2018 il romanzo “Reclusione” (Licosia). Nel 2022 ha pubblicato per Robin edizioni la raccolta “Foto di famiglia con sgomento” e la silloge poetica “Cartoline degli addii” per Fallone editore. Anche per questa nuova opera letteraria ho il piacere di dialogare con l’autore per focalizzare alcuni passaggi di questo romanzo avvincente, ambientato nei luoghi facilmente riconoscibili per il lettore fabrianese.

Alessandro, un nuovo romanzo ambientato a Fabriano nel periodo della Pandemia. Da dove nasce l’ispirazione e l’esigenza di raccontare la Città della Carta proprio in quel particolare momento storico?

Nasce dall’esperienza reale della Pandemia e da quel sentimento di chiusura e fine di una civiltà, una comunità, un ambiente, un gruppo familiare. Tutti abbiamo vissuto durante la Pandemia un’esperienza diretta della fragilità umana e personale. Nella cittadina di F. questo sentimento si univa direttamente all’altro, cioè a quello della fine imminente delle attività produttive. Capolinea…diceva la mia mente ogni giorno. In ogni caso “ la cittadina di F.” è un luogo anche universale che potrebbe indicare anche Firenze, Foligno, Forlì…dunque un qualsiasi altro posto.

Fabriano ricorre nel romanzo negli spazi, nei luoghi, nei percorsi ben identificabili dai lettori, che comunque definisci “luogo oscuro e dimenticato da Dio”. Ritorna prepotente il concetto di “reclusione” che questa città suscita nell’Alessandro scrittore e nel protagonista Teodoro?

Questa volta la reclusione è sociale, non più personale; stavolta non esiste l’alibi della soggettività esasperata e per questo distanziabile da ciascuno di noi. Nella metafora della chiusura e della mancanza di uscite ho voluto prefigurare un esito possibile. Noi riproduciamo il male e il potere inevitabilmente perché sia il male che il potere ci attraversano, ma ciascuno di noi può decidere di opporsi, valutando i rischi che questo comporta. Nella cittadina di F. tutti abbiamo vissuto la sindrome del quietismo e dell’immobilismo. La città è un luogo labirintico e tautologico dal quale è molto difficile fuggire.

Nell’oscurità della pandemia, le luci del Circo Mundial accendono nel protagonista la speranza. Un richiamo dell’autore ad un fatto di cronaca realmente accaduto: la presenza di un circo a Fabriano che stanziò per molti mesi, “recluso” in città e che sarà poi determinante nella trama del romanzo. Perché la scelta del circo?

Per due motivi: uno dato dalla circostanza reale, sentivo da casa mia i barriti degli elefanti il mattino presto o la sera tardi e non erano barriti di felicità o di giubilo, assomigliavano a delle grida di angoscia, interpretavano secondo me, l’ansia e il terrore che viveva la gente in quel momento. L’altro perché il Circo è da sempre portatore di una energia de-territorializzante ed animale. Il circo è nomade per eccellenza, possiede l’esperienza del viaggio e del pericolo, di fronte a una città che al contrario conta solo sul suo diritto alla permanenza. La lezione del Circo è quella del transito ed è del tutto opposta alla lezione della città che è lo “stanziamento”…Stanziamento che fa rima con “mascheramento”…

Ristrutturazione. Reindirizzamento. Sanificazione morale. Nuova organizzazione sociale. Sono vocaboli narrativi forti che descrivono una città ostile, governata da un autoritarismo esasperato in cui i personaggi cercano una via di fuga, in particolare un gruppo di ragazzi allievi di un Istituto Tecnico che si oppongono alla società disciplinare in difesa del loro diritto alla libertà. Un passaggio forte da parte di uno scrittore al contempo docente, fortemente critico nei confronti del decadimento del sistema scolastico?

Si volevo dire alla mia maniera come la penso dopo trent’anni di servizio. Attraverso l’istituzione scolastica vengono fatte passare riforme che toccano la sostanza individuale e sociale dell’essere umano. L’avviamento al lavoro e il “Reindirizzamento” non sono che questo. A noi docenti tocca questo compito di chiudere il futuro dei nostri allievi. Ho usato una metafora e ho disegnato una società disciplinare che usa una violenza esplicita, ma la nuova realtà è dietro l’angolo. Docenti ignari, ignavi e frustrati rischiano di essere solo la cinghia di trasmissione di questo potere: ieri, oggi, domani.

Personaggio interessante è Padre Claudio, un parroco che supporta i ragazzi in questa ribellione, che esce dalla cattedrale e si oppone in nome di “un Dio che odia i vigliacchi”. Una tua riflessione su questa figura che si discosta dal tradizionale concetto del buon pastore e pertanto così amata dai giovani?

Padre Claudio è un alter ego di Teo, un personaggio che si è imposto da solo al romanzo. Il romanzo era finito ma non era finito, per molti anni avevo pensato a un personaggio nichilista che entra in una chiesa e domanda il senso della vita a un prete. Così Teo, in mezzo al caos, entra in cattedrale e trova Claudio che non ha risposte ma sa solo che “Dio odia i vigliacchi”. Qual è il messaggio del romanzo? È quello di Claudio: “Dio odia i vigliacchi”… Lodovico, padre Cristoforo, Claudio siamo sempre lì…

L’occupazione della Banca di Vetro da parte dei ragazzi, luogo che diventa nella parte finale del romanzo drammaticamente protagonista. Perché la scelta di questo spazio cittadino che nella storia di Fabriano rievoca episodi tristemente noti?

I ragazzi ne parlano molto poi alla fine decidono per quell’immobile. La ragione più evidente è perché lì dentro ci sono i soldi della “Ristrutturazione”, quella meno evidente ma più reale è che quell’edificio è vicino all’Istituto Tecnico il quale a sua volta è stato per anni fucina di manovalanza industriale e quasi “dependance” della casa dell’imprenditore-primo cittadino, ubicata, non a caso, dietro l’angolo. Diciamo che il lettore dovrebbe percepire questa vicinanza.

Il lettore cerca dall’inizio alla fine del romanzo, nelle pieghe del personaggio di Teodoro, la storia di vita del professor Cartoni. Nel corso della narrazione hai comunque donato passaggi che richiamano al tuo vissuto, possiamo aspettarci in un prossimo romanzo un Alessandro Cartoni completamente a briglie sciolte?

Ovviamente sì, c’è già, non usa metafore e parla direttamente di me e di questo posto. Vedremo se qualcuno sarà disposto a pubblicarlo.

Gigliola Marinelli