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Don Luigi Marini: Nelle corsie dell’Ospedale Profili a sostegno dei malati e delle loro famiglie

Dal 2014 vicino ai malati ed alle loro famiglie quale importante sostegno nella preghiera nel suo ruolo di cappellano dell’Ospedale Profili di Fabriano ed assistente spirituale dell’Hospice, abbiamo incontrato don Luigi Marini, direttore dell’Ufficio Pastorale della Salute della Diocesi di Fabriano e Matelica.

Don Luigi, un ruolo fondamentale quello svolto dalla Pastorale della Salute in aiuto agli ammalati ed ai soggetti fragili. Come si sostanziano di fatto le attività della Pastorale nel territorio diocesano?

La pastorale della salute è un ambito molto ampio e trasversale, che coinvolge diversi soggetti pastorali. Nella Chiesa, da quando nel 1992 san Giovanni Paolo II istituì la Giornata Mondiale del Malato, c’è stato un graduale sviluppo di questa pastorale, che inizialmente era circoscritta all’ambito sanitario e sociosanitario (Ospedali, Rsa, Residenze per anziani, Residenze protette, ecc.), che rimane comunque un ambito fondamentale. Sul territorio la pastorale della salute si esplica anche nelle parrocchie, attraverso la visita delle persone malate e fragili a domicilio da parte dei parroci e dei ministri straordinari della Comunione. Ci sono poi i volontari di diverse associazioni (Attivamente-Alzheimer, Avulss, Cav, Società San Vincenzo De Paoli, Unitalsi), alcune delle quali operano nel terzo settore, che svolgono il loro servizio a favore di anziani, soggetti fragili e bisognosi in vari contesti e con varie modalità operative. C’è inoltre l’importante attività della Caritas diocesana che, dopo aver attivato un Emporio della salute per la distribuzione di alcuni tipi di medicinali da banco, recentemente ha anche avviato un Ambulatorio sociale per l’assistenza terapeutica di una fascia di popolazione che ha difficoltà ad accedere alle prestazioni del Servizio sanitario nazionale. In quanto direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale della salute cerco di tenere il collegamento con tutte queste realtà associative ed ecclesiali attraverso il coordinamento della Consulta diocesana per la pastorale della salute, composta dai rappresentanti delle stesse. Quello della salute è in pratica un ambito pastorale che afferisce la cura e il prendersi cura delle persone con i loro vari bisogni e che promuove lo sviluppo integrale dell’uomo.

La salute è il bene primario di ciascun individuo. Ammalarsi significa sentirsi fragili ed indifesi, quanto conta avere in questa delicata fase della vita un supporto ed una parola di conforto?

L’uomo è un essere relazionale per natura. Quando nella vita di una persona irrompe la malattia grave ne consegue l’assottigliamento del contesto relazionale quindi la persona malata patisce, non solo per le nefaste conseguenze fisiche causate dalla patologia, ma sperimenta anche una sofferenza esistenziale a motivo della progressiva esperienza di solitudine. In una società come la nostra, dove la popolazione invecchia sempre di più e di conseguenza anche la percentuale della cronicità delle malattie incrementa, dove le famiglie mononucleari non sono più delle eccezioni, il rischio solitudine è molto alto. È scientificamente dimostrato che la solitudine non favorisce uno stato di salute, per quanto la salute non sia uno stato, ma un processo dinamico sempre in equilibrio. Per questo tutte quelle iniziative che permettono l’incontro e la socializzazione delle persone, il dialogo e la vicinanza costituiscono un toccasana che arreca un notevole conforto. A volte non servono neanche le parole, basta un gesto di premura, un tempo da dedicare per stare accanto alla persona per ascoltarla, uno sguardo, un sorriso. Questo vale per gli anziani, per i malati, ma anche per i giovani, che non di rado purtroppo sono anch’essi soggetti molto fragili.

La Pastorale della Salute è attiva anche attraverso convegni ed incontri volti a sensibilizzare sull’importanza di questo servizio offerto dalla nostra Diocesi. L’ultimo si è svolto a Fabriano e Matelica nell’aprile scorso, possiamo fare una sintesi dei lavori del convegno per i nostri lettori?

I convegni organizzati dall’Ufficio diocesano per la pastorale della salute si prefiggono lo scopo di sensibilizzare la popolazione su temi particolari e molto attuali. Gli ultimi convegni, ai quali hanno partecipato qualificati esponenti del mondo della sanità e non solo, hanno trattato delle cure palliative, dell’umanizzazione delle cure e degli ambienti di cura, dell’etica della cura. L’ultimo convegno dello scorso aprile si è svolto su tre giorni (dal giovedì al sabato). Nel Teatro comunale di Matelica il primo giorno, dove è andata in scena una rappresentazione teatrale a cura di alcuni studenti del Liceo Classico “F. Stelluti” guidati dai loro insegnati, che hanno rivisitato in maniera bella e creativa il Filottete di Sofocle. Negli altri due giorni il convegno si è svolto a Fabriano nell’auditorium del Monastero di San Silvestro, dove rappresentanti del mondo della sanità, dell’università, della scuola media superiore e della chiesa hanno svolto le loro relazioni toccando i temi della cura, dell’etica, della spiritualità e dell’educazione. Il nuovo convegno è in programma per maggio del prossimo anno e tratterà il tema della dignità della cura. Il 2025 come sappiamo è anno giubilare e per questo è previsto anche un pellegrinaggio alla Basilica di Santa Prisca a Roma, riservato al mondo della sanità e agli ammalati organizzato a livello inter diocesano, che si effettuerà sabato 5 aprile.

Da quanti anni è in servizio come cappellano presso l’Ospedale Profili di Fabriano e che esperienza umana è essere così vicino a chi combatte quotidianamente contro la malattia o intraprende un percorso impegnativo di cura?

Ho iniziato a percorrere le corsie del Profili dieci anni fa, quando a settembre del 2014 arrivai a Fabriano dalla mia diocesi di provenienza (Fermo) per insegnare inglese in un istituto di scuola media superiore. In quel periodo ero ancora un sacerdote “pendolare” (il fine settimana rientravo nel fermano per svolgere il servizio di amministratore parrocchiale in una piccola parrocchia). L’allora Vescovo Mons. Giancarlo Vecerrica, al quale mi presentai per farmi conoscere, mi chiese di occuparmi dell’assistenza spirituale in Hospice durante la settimana quando non ero impegnato con l’insegnamento, poi cominciai anche a dare un piccolo aiuto in ospedale al cappellano dell’epoca, che era don Leopoldo Paloni. Nel 2020 fui ufficialmente nominato cappellano dell’Ospedale di Fabriano dall’attuale Vescovo Mons. Francesco Massara. Essere vicino ai malati in ospedale e, per quanto possibile, anche ai loro familiari e agli operatori sanitari è un’esperienza arricchente dal punto di vista umano e spirituale, che mi aiuta a prendere contatto anche con la mia personale vulnerabilità e a mettere in gioco tutte le mie risorse umane e spirituali. Questo richiede dispendio di energie. Fu molto faticoso specialmente nei due anni del blocco pandemia, quando ero l’unico “esterno” a poter accedere ai reparti ospedalieri. Da quando sono anche parroco la fatica è aumentata, ma grazie a Dio da circa un anno il Vescovo ha provveduto dandomi un collaboratore nella persona di don Claudio Capoccia, al quale sono grato per la sua disponibilità e amicizia.

La malattia, il dispiacere di lasciare i propri familiari, la morte spaventano più di ogni cosa i malati. Lei è anche assistente spirituale dell’Hospice. Quali parole tratte dalle Scritture o dal suo umano sentire rivolge a chi prova questi giustificati timori e quanto la Fede può essere un aiuto valido per affrontare questo doloroso passaggio della vita?

L’Hospice è un luogo che generalmente crea disagio a pensarlo, poiché lo si associa con la morte imminente di una persona gravemente malata, inguaribile, ma non per questo incurabile. L’Hospice è infatti anch’esso un luogo di cura dove ogni operatore cerca di dare alla persona malata il meglio dell’assistenza, cercando di ricreare un ambiente il più possibile familiare e dove agli stessi familiari dei pazienti hanno più facilità di accesso e di permanenze nelle camere di ricovero, che sono tutte singole, munite di poltrone letto e di televisore. L’Hospice è il luogo del fine vita, ma io direi meglio che è il luogo del passaggio della vita, dove si incontra un’umanità composita, sia nelle persone malate ospitate che nei loro familiari. In quel luogo prima ancora di pensare a qualche passaggio biblico io cerco di ascoltare e vedere con il cuore le persone a cui mi approccio per coglierne i bisogni, le emozioni e cercare così di stabilire innanzitutto un contatto umano. A volte il bisogno spirituale non è esplicito e richiede tempo per manifestarsi, a volte invece è più immediato, poiché la stessa presenza del sacerdote lo evoca. Altre volte è negato, o almeno non esplicitato. Comunque la volontà della persona va sempre rispettata, mai forzata. A volte l’ostacolo maggiore sono i familiari degli assistiti, quando tendono ad assumere atteggiamenti di difesa, di protezione per nascondere l’evidenza, creando come una congiura del silenzio intorno al malato, poiché si vuole respingere l’idea della morte, che spaventa. Le persone che non riescono a sostenere la propria sofferenza causata dalla malattia irreversibile del proprio caro sono generalmente quelle che non facilitano la manifestazione del suo bisogno spirituale. Eppure l’Hospice è un luogo di vita e di speranza, dove si ha la preziosa opportunità di ripensare la propria vita e di ciò che è veramente essenziale. L’Hospice è il luogo dell’ultimo viaggio verso la mèta. Il primo Hospice fu istituito a Londra da Cicely Saunders nel 1967, la quale in un suo libro racconta come gli fu dato il nome di St. Christopher (San Cristoforo, che è il patrono dei viaggiatori). Fu una giovane paziente a darle il nome, Barbara Galton, la quale le disse: “Hospice? Un luogo di riposo per i pellegrini? Lo dovete assolutamente chiamare St. Christopher”. Pellegrini di speranza è anche il tema del Giubileo del 2025.

Gigliola Marinelli