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INZAGHI E MANCINI, MERCATO CON LA FRUSTA – di Luca Serafini

Da agosto a dicembre, l’operazione Torres-Cerci tra Chelsea, Torino, Milan e Atletico Madrid sarebbe da psicanalisi con un approfondito esame finanziario, ma a Pippo Inzaghi e ai tifosi rossoneri poco importa: si sono liberati del pacco di Mourinho e hanno recuperato la miglior della alternative a Honda, non solo per il periodo della Coppa d’Africa. Da agosto a dicembre le operazioni Vidic, Osvaldo e la mancata cessione di Guarin meriterebbero un dibattito pubblico tra i tifosi nerazzurri, che però ora se ne fregano e respirano grazie a Mancini che sta facendo valere la clausola d’onore di cambiare faccia alla squadra ereditata da Mazzarri. Il tecnico toscano aveva provato a pietire qualcosa tra innesti e cessioni, ma aveva già abbondantemente perso carisma presso la società e i risultati autunnali l’hanno definitivamente affossato.

L’intervento natalizio dei dirigenti milanesi sul mercato è il frutto della cocciutaggine degli allenatori, capaci di imporre anzitutto scelte rischiose in formazione, poi appunto l’intervento massiccio nel mercato di riparazione. Inzaghi a un certo punto ha giubilato Torres, aggrappandosi all’adagio secondo cui Menez gioca meglio da centravanti anomalo piuttosto che da ibrido trequartista o – ancora peggio – improponibile esterno. Mancini ha debuttato nel derby con Palacio e Kovacic larghissimi e distanti da Icardi, proseguendo con quel cervellotico 4-4-2 contro la Lazio con Nagatomo e Dodò sulla fascia sinistra, sottolineando la necessità di avere esterni di qualità per imporre la sua idea di gioco. Le telefonate martellanti di Inzaghi a Cerci e Galliani, la fermezza di Mancini ingaggiato con il supporto-ricatto di Massimo Moratti (non avrebbe sottoscritto l’aumento di capitale sociale se non fosse stato esonerato Mazzarri e se al suo posto non fosse arrivato l’ex tecnico di City e Galatasaray) hanno fatto breccia sull’indolenza dei reggenti e l’apatia dei dirigenti, culminando con le operazioni concluse in largo anticipo – Cerci appunto e Podolski – e che proseguono battendo altre piste in questi giorni frenetici. In questo senso naturalmente le buone prestazioni di fine anno di Milan e Inter hanno contribuito positivamente nella scossa all’immobilismo dei vertici. Non vi erano dubbi che se Inzaghi fosse stato supportato dai risultati, avrebbe potuto imporre una prima svolta in termini e modi assai più soft di quanto probabilmente (non) sarebbe riuscito a Seedorf, né vi erano dubbi che Mancini sia uno degli allenatori-manager italiani più bravi nel costruire squadre senza necessariamente costringere il suo club a spese spropositate. Da qui ai consueti proclami di Berlusconi e all’euforia di Moratti, naturalmente, c’è ancora un abisso.

L’anno è incominciato portandosi via Pino Daniele, icona delle nostra gioventù e di un lungo tratto della nostra vita, un artista straordinario che ha cantato coraggiosamente Napoli nelle sue contraddittorie crudità e il Napoli di Maradona nella sua poesia. Un grande italiano che avrà sempre un posto di riguardo nel nostro cuore e nelle nostre emozioni.