LA POLITICA E L’ALTRO DA SE’ – di Alessandro Moscè

Gli italiani sono delusi dalla politica quando ritengono di non avere governi all’altezza della situazione. I politici, d’altro canto, mal digeriscono le critiche. Ma l’etimologia della parola -critica- ingloba un principio democratico ineccepibile: discernere, valutare, selezionare. Il giorno in cui smetteremo di farlo saranno gettate quelle ombre sulla democrazia che il “secolo breve” ci ha già propinato: Dio ce ne scampi e liberi. Il politico sciatto è colui che ha paura, per cui non si confronta e non sa porsi obiettivi. Il timore che altri possano prendergli la mano lo fa sentire insicuro, sotto assedio. Eppure il politico è un privilegiato perché vive con i contributi dei cittadini. Una su tutte: non c’è Paese al mondo, al di fuori dell’Italia, dove un segretario generale del Senato in pensione guadagni quasi il triplo del capo dello Stato. È l’effetto del patto sventurato che lega da decenni una classe politica per sua stessa ammissione sempre più mediocre, e una struttura burocratica resa presuntuosa proprio dall’inadeguatezza del ceto dirigente. Ma al di là dei privilegi esiste appunto un atteggiamento comune, fumoso, vago e propagandistico, al quale sfugge il senso di un tabella di marcia da condividere: “Abbiamo questi progetti; vorremmo l’Italia così; queste sono le nostre ricette, queste le modalità pratiche di realizzazione. Queste invece quelle degli altri, che a noi non piacciono”. Mai sentito dire prima dell’avvento di Matteo Renzi, al quale spetta, però, di attuare le riforme promesse rispettando le date (riforma elettorale e abolizione del Senato), altrimenti avrà fallito il suo compito. E’ questa la politica che ci meritiamo? Aver dimenticato la relazione con l’altro da sé, smantellando il confine della propria posizione, fa sì che il politico si esponga alla sua inconsistenza a partire dai comuni per finire alle regioni. Se il passo è questo rimarrà una zona franca dove i salvati avranno ucciso i sommersi. Ma chi vuole mantenere posizioni di rendita non capirà mai che il cambiamento è sempre più necessario. Francesco Alberoni, di recente, ha scritto che esiste una causa del disagio crescente degli italiani di fronte alla politica tutta: “È la velocità con cui la gente oggi comunica, si aggrega e prende le decisioni grazie ai cellulari ed Internet, mentre i processi previsti dalle istituzioni sono tortuosi e lenti. Se la discrasia fra esigenze quotidiane dei cittadini e il funzionamento delle istituzioni continuerà ad aumentare, si creeranno tensioni che potrebbero anche generare, come è successo nei periodi 1968 e 1990, movimenti collettivi che distruggeranno le istituzioni esistenti e ne genereranno di nuove”. Ma il politico continua a non capire…

Alessandro Moscè, direttore editoriale