Nel cuore, nell’anima ha avuto per tutta la vita il padre, il grande Aristide. “Prima di aprire una fabbrica, pensate agli operai, al loro futuro’ era la raccomandazione costante per me e i miei fratelli, Antonio e Vittorio, il piu’ piccolo (Ester invece non aveva mai voluto occuparsi di attivita’ industriali ndr)” mi diceva Francesco che al titolo di onorevole, preferiva quello di ‘ingegnere’. “Quando mi laureai, papa’ non venne: c’era troppo da fare a Fabriano; inoltre raggiungere in auto Pisa dalle Marche comportava una certa spesa oltre alla notevole perdita di tempo. Era naturale e non me la presi. L’azienda muoveva i primi passi e occorreva essere prudenti. Tornai a casa il giorno dopo in treno con il titolo di ingegnere ed un sogno nel cassetto”.
-Quale?
“Mi era accaduta un’esperienza notevole: una domenica all’universita’, un compagno di corso, Zenoni, figlio del proprietario della fonderia di Firenze che dava lavoro a duemila operai, mi fece vedere la fabbrica. Rimasi colpito dal settore ‘bombole di gas’. Ci feci una tesina universitaria”.
Poi?
“Una volta laureato e a Fabriano provai a convincere mio padre a produrre bombole di gas. Non ci fu verso. Bisognava andare con i piedi di piombo. Si era iniziato con sei…metalmezzadri (meta’ opersi meta’ contadini) nel ‘capanno’ di Albacina. Io pero’ tenni duro”.
-Cioe’?
“Feci il bamboccione per un anno, dicendo no perfino ad un potente amico di famiglia che mi incuteva soggezione ognivolta che ci faceva visita. Lui telefonava a mio padre: Aristide, mandami tuo figlio, quello laureato’. Ed io dicevo no. Dicevo no ad Enrico Mattei!”
-Scusi, era lui l’amico di famiglia?
“Si, Lui: l’Imprenditorialita’ assoluta, l’Imprenditorialita’ fatta persona. Ma venne il giorno in cui lui mi (ci) apri’ le porte del Paradiso in terra. Fu grazie ad un giorno di sole del giugno 1953: l’Eni era realta’. Matelica concesse la cittadinanza onoraria a Mattei e dopo la cerimonia in teatro mentre si attendeva tutti di andare a pranzo, ecco l’incontro che ti cambia la vita. In piazza arriva in bici Giovanni Ferretti, fabbro, antico datore di lavoro del presidente dell’Eni! Un abbraccio, qualche battuta e il Grande Enrico capisce che bisogna fare ancora di piu’ per la sua gente. Oltre ad assumere tanti, inviandoli in tutte le parti del mondo occorreva un opificio in un luogo tradizionale di emigrazione (in Svizzera, per l’esattezza ndr). E trovo il coraggio, nonostante le gomitate di mio padre, di parlare a Mattei del mio sogno toscano”.
-Le bombole di gas?!
“Certo! L’Uomo che immaginava e costruiva preveggente il futuro, mi smonta pero’: ‘Bombole di gas? ma no! ora c’e il metano’. A quel punto una mano me la offre mio padre. Il martedi’ siamo gia’ all’Eni, a Roma, in via del Tritone. E la fabbrica, la cui sede fissammo a Matelica (non gia’ a Fabriano…) parti'”.
Questo dialogo con l’ing. Francesco Merloni, il primo di non pochi (l’ingegnere mi dono’ la foto in b/n dell’inaugurazione della fabbrica di bombole ed un libriccino fatto da lui stampare in poche copie ed introvabile: ‘Per non dimenticare’) questo dialogo, dicevo, mi e’ venuto in mente appena appresa ieri sera la tristissima notizia della sua scomparsa. Avvenuta a neppure un mese dal compimento del 99 anno d’eta’, il 17 settembre e a quasi 7 mesi dalla sua ultima uscita pubblica, il 16 marzo scorso. Era stato in occasione di una mostra fotografica su Enrico Mattei e da parte del ministro Lollobrigida del taglio del nastro di una nuova linea produttiva dell’Antonio Merloni Pressure Vessels, diretta da Paolo Sparvoli, il sindaco di Matelica che ha presieduto nel 2012 alle cerimonie per il 60. anniversario della morte del fondatore dell’Eni, presenti il regista Francesco Rosi (‘Il caso Mattei’) e il magistrato Vincenzo Calia che riapri’ il caso giungendo alla sua crudele e dolosa verita’.
Un cerchio si chiudeva dunque per questo patriarca marchigiano cui restero’ sempre grato per la storia, per molti versi inedita, di una civilta’ umana ed industriale che fece grande le Marche in Italia e nel mondo. Su alcuni aspetti pose un amicale prammatico ‘embargo’ da me pur a fatica osservato nei libri (a cominciare da ‘La leggenda del Santo Petroliere’) e negli articoli di giornale.
Una storia irripetibile dal ‘capanno” di Albacina (davanti allo stabilimento Merloni, della stessa cittadina, trovera’ la morte 6 giorni prima del Natale del ’70 investito da un’auto, il senatore Aristide sorretto dal figlio: “Stavolta non ce la faro’, Francesco”) fino ai grandi complessi industriali partendo dalla terra marchigiana e rispettandone usi e tradizioni: il fatidico metalmezzadro. Se molto devono le Marche all’ing. Francesco, figlio di Aristide, molto di piu’ ancora deve l’Italia all’on. Merloni per 7 legislature in Parlamento, ministro nei due governi Amato e Ciampi. Padre della legge che riconsegno’ pulizia morale ed ordine nel devastato settore dei LL.PP. Separando la Legge Merloni la figura del progettista da quella dell’esecutore dei lavori la cui contiguita’ era alla base delle continue varianti con innalzamento a dismisura della previsione iniziale di spesa a gravissimo danno dell’erario pubblico.
Maurizio Verdenelli