CIVITALBA, BELVEDERE DELL’APPENNINO
Alle Scuderie del Quirinale, ospitante la mostra TOTA ITALIA, sono messe in mostra dei reperti di terracotta provenienti da Civitalba. Il visitatore attento non potrà non chiedersi cos’è e dove si trova questo luogo. Civitalba, situata nel comune di Arcevia, più che una frazione è un comprensorio costituito da case sparse, appezzamenti di terreni, vegetazione boschiva e soprattutto è un’area archeologica ancora tutta da esplorare. La stessa si trova a pochissima distanza dalla Strada Provinciale Arceviese ed è percorsa da una comoda via che, scendendo verso Catobagli, prosegue lungo la valle del Cesano fino al mare. Dal punto di vista paesaggistico possiamo così definirla: Civitalba Belvedere dell’Appennino. Situata su di un altopiano a 528 metri di altezza, gode di un panorama di assoluta bellezza: lo sguardo del visitatore può spaziare dalla vista dei monti Sibillini, delle cime del Cucco e Catria, fino al lontano monte Nerone, per poi perdersi nelle geografie più minute delle colline vicine. Nell’interrogarsi circa il ruolo avuto da Civitalba all’interno del contesto territoriale dell’antico Piceno occorre confrontarsi con la base documentale di cui si dispone. Alberico Pagnani, monaco camaldolese e illustre storico, sostiene che su Civitalba vi è un profondo mistero: “…non si è trovata in tutto il mondo una lapide di Alba, neppure una parola incisa su una pietra o su un mattone…Possibile che una città e un municipio non abbia mai sentito il bisogno di ricordare ai posteri o semplicemente ai contemporanei, il nome di un magistrato, di una persona benemerita…?”.
L’attenzione posta sull’area archeologica nasce nei primi dell’Ottocento, quando il Brandimarte, nel Piceno Annonario (1825), annunciava che a Civitalba vi era il sito della città di Alba, tanto ricercata dagli storici e mai trovata. Le sue riflessioni vennero sostanziate dai racconti dei contadini e dai reperti che emergevano dai terreni durante i lavori agricoli. Furono forse gli entusiasmi indotti su notizie fornitegli dal Regio Ispettore degli scavi Cav. Anselmi e dai contatti con il parroco della parrocchia della Costa Pacifico Severini, proprietario del terreno, in un contesto politico favorevole, che permisero a Edoardo Brizio, Regio Commissario degli Scavi di Antichità per l’Emilia e le Marche e direttore generale del Museo Civico di Bologna, di esplorare il territorio con una certa sistematicità. Nella sua pubblicazione Sculture fittili scoperte in Civita Alba (estratto dalle Notizie degli Scavi del mese di luglio 1897) l’archeologo descrisse le indagini di scavo, dalle quali emersero porzioni del muro di cinta, alcuni capitelli, strade, un basamento di possibili edifici e venne individuata una fornace di laterizi. Tra i reperti che vennero alla luce ci sono le bellissime figure in terracotta ora esposte nella mostra.
Le terrecotte raffigurano tre gruppi di statue: il primo rappresenta dei Galli fuggenti dopo il saccheggio del tempio di Delfi, perseguitati da Apollo e Artemide; il secondo, forse destinato ad un frontone, raffigurante Dionisio che sorprende Arianna abbandonata da Teseo nell’isola di Nasso; il terzo raffigura due Geni femminili alati che sollevano un drappo con una terza figura al centro”. La ricostruzione del fregio e del frontone, l’iconografia e la collocazione cronologica, oltre che il loro rapporto sul piano tematico, sono ancora oggi per gli studiosi forieri di interrogativi.
Anche Innocenzo Dall’Osso, nella sua Guida del Museo di Ancona, presentando l’armadio n. 8, che custodiva i reperti raccolti a Civitalba, lo descrive contenente “numerose antifisse, piedi e teste di figure umane in terracotta raccolte in una antica fornace ad Alba…”. Il Brizio, dall’esame dei reperti, sostenne l’ipotesi che la città di Alba esistesse già prima dell’anno 295 a.c., quando i Romani nell’agro sentinate vinsero la coalizione di Sanniti, Umbri, Etruschi e dei Galli Senoni, e che la stessa non sia stata fondata dai romani. Questa tesi è avvalorata dall’ubicazione di Civitalba in altura e tra i monti, scelta logistica non tipica dei Romani nella regione dell’antico Piceno (basti osservare Sentinum, Suasa).
Certamente Civita Alba godeva di una posizione strategica, da essa diramavano le strade a raggio verso Sentinum, Attidium e la valle dell’Esino, verso Suasa e la valle del Cesano, verso Ostra e la valle del Misa. E’ possibile immaginare, come anche asserito verbalmente da Alberico Pagnani, che Civitalba fosse avamposto Etrusco altre l’Appennino? Il Brizio stesso, nel descrivere una delle figure femminili delle terracotte, vi riscontra una grande somiglianza con la “Venere delle urne etrusche”. Anche per Alba arrivò la fine, ma non è possibile conoscerne i motivi, sappiamo però che nel 1226 esisteva ancora sul luogo un castello (Cavalalbo) di cui allora era padrone un certo Federico Federici che in quell’anno lo donò ad Arcevia con il castello di Coldellanoce. L’esposizione delle terrecotte di Civitalba alle Scuderie del Quirinale potrebbe essere lo spunto per iniziare un nuovo lavoro di valorizzazione di questa area di grande valore storico-archeologico.
Mirella Cuppoletti (foto romano impero)