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REATI TELEMATICI, PARLA L’AVVOCATO

BRICIOLE DI DIRITTO – UNIONE NAZIONALE CONSUMATORI AVVOCATO MARIASTELLA DIOCIAIUTI

TRATTO DA “LA LEGGE PER TUTTI”

Molestie, profilo falso, diffamazione, furto di password, fotografie e link. È sempre maggiore l’attenzione dei giudici ai reati di tipo “tradizionale”, ma compiuti attraverso le nuove tecnologie: internet e Facebook sono diventati la nuova piazza per ove compiere reati, avvantaggiati forse da una comune (quanto falsa) convinzione di non punibilità o di difficile perseguibilità dei reati a mezzo web. Così non è; e l’enorme mole di sentenze che i tribunali stanno producendo in questo periodo ne è testimonianza. Vediamo, dunque, singolarmente, alcune delle principali ipotesi di reati “telematici”.

Diffamazione tramite Facebook o social network

Il reato più frequente sui social network è la diffamazione. Per quanto ormai sia pacifico che la diffamazione su una testata giornalistica online o su Facebook non possa essere considerata come aggravata “dal mezzo di stampa”, secondo i giudici, va comunque considerata l’aggravante del mezzo di pubblicità. Facebook viene ritenuto come un “luogo aperto al pubblico”, conformemente al detto comune secondo cui i social network sono le nuove piazze. Risultato: la condotta penale è più grave e la sanzione più costosa (trattasi, infatti, di sanzione pecuniaria). I casi esaminati dai giudici italiani riguardano Facebook, ma i principi valgono anche per Twitter, Linkedin, ecc. Secondo la Cassazione anche i commenti a sfondo sessuale, postati sulla bacheca della vittima, possono rientrare nel reato di molestie. Ma ad una condizione: devono essere tanto costanti e petulanti da recare disturbo nella parte offesa o costringere quest’ultima a mutare le proprie abitudini di vita. La vittima ha 90 giorni di tempo per sporgere querela. Ma, prima di fare ciò, è necessario procurarsi le prove del reato. Una soluzione può essere quella d salvare la pagina web su un supporto durevole (cd o chiavetta usb), che comprende anche i codici Html, per preservarne l’autenticità anche in caso di rimozione. Un’altra via è quella di recarsi da un notaio, stampare la pagina incriminata e far da quest’ultimo attestare che la copia (ossia la stampa) è conforme all’originale (quella a video). Quando tutto manca, sarà necessario avvalersi di testimoni, in grado di riferire al giudice il contenuto dei post offensivi: circostanza tanto più importante quanto più si pensi che, verosimilmente, il colpevole, all’avvio delle indagini, potrebbe cancellare tutto ciò che ha precedentemente scritto sul web. In questi casi, la vittima può, oltre che agire penalmente nei confronti del colpevole, chiedergli poi, in via civile, il risarcimento del danno (accertato il reato e il diritto all’indennizzo in sede penale, la quantificazione viene rimessa al giudice civile).

Attenti ai like sui post offensivi

I giudici stringono le maglie anche su chi clicca “mi piace” ai commenti altrui. Quest’anno sono scattati i primi rinvii a giudizio per concorso in diffamazione aggravata che tengono conto del fatto che l’addebito offensivo alla reputazione della vittima aumenta in proporzione alle persone che apprezzano i post denigratori. La differenza della vittima aumenta in proporzione alle persone che apprezzano i post denigratori.

La differenza tra diffamazione e ingiuria

Se l’insulto avviene in pubblico, cioè alla presenza di più di due persone (per esempio, su un profilo personale, in una pagina, o comunque in una conversazione in chat cui partecipino più persone) scatta il reato più grave di diffamazione. Diversamente, se l’offesa viene proferita in una chat a due: in questo caso, il reato configurabile è quello di ingiuria e anche esso può dar luogo al risarcimento del danno (anche non patrimoniale).

Attenti alle foto

Vietato pubblicare foto senza l’autorizzazione del/dei soggetto/i ritratto/i. Idem per i tag su un’immagine offensiva (si pensi il tag su una foto a sfondo sessuale, di odio razziale, o con contenuto lesivo dell’altrui reputazione). Non si possono postare neppure le foto del coniuge o di altri familiari senza il loro consenso. Così, per esempio, dopo la separazione dei coniugi, l’uno può obbligare l’altro a rimuovere dal proprio profilo le immagini del viaggio di nozze.

Vietate le foto dei minori

Innanzitutto si tratta di una regola di prudenza: postare le foto di minori, specie se in età scolastica, è estremamente pericoloso poiché ciò potrebbe richiamare le attenzioni di malintenzionati. Ma c’è anche un altro aspetto di cui non si tiene mai conto: i genitori non sono “padroni” dei loro figli e non possono decidere circa l’immagine di questi ultimi, disponendone a proprio piacimento. Così, se i ragazzi, una volta divenuti maggiorenni, dovessero ritenersi lesi dalla pubblicazione di tali foto “in lungo e in largo” (attesa, soprattutto, la difficoltà a cancellare i contenuti dal web “ex post”), potrebbero fare causa ai genitori (anche davanti al Garante della privacy) e, azionando i propri diritti, chiedere risarcimento del danno e le relative sanzioni.

Dati personali altrui

Secondo la Cassazione divulgare in una conversazione via chat o in una mail il numero di cellulare di altri può portare a una condanna per il reato di trattamento illecito dei dati personali.

Stalking

I giudici sanzionano inoltre le molestie e lo stalking commesso tramite Facebook, perché il social network rappresenta un luogo aperto al pubblico. Se i messaggi (sia in bacheca che privati) sono costanti e in grado di turbare la vita della vittima non si sfugge a una condanna che, nei casi più gravi, può arrivare fino a quattro anni. Per contatti : 3496303249 ; reperla@gmail.com.