POLICORO A FABRIANO, UN PROGETTO PER RIDARE SPERANZA AI GIOVANI DISOCCUPATI

È molto semplice perdersi nel dedalo del mercato del lavoro, soprattutto per i giovani che troppo spesso vi brancolano bendati: per questo nascono iniziative come il Progetto Policoro. Per sapere di più sul quale abbiamo intervistato Daniele Dolce, professionista d’azienda nel settore delle Risorse Umane e Direttore della Pastorale Sociale e del Lavoro della Diocesi di Fabriano-Matelica.

“Il progetto Policoro risale al ‘95, circa 20 anni fa, e prende il nome da una cittadina della Basilicata, in provincia di Matera, dove sono stati confiscati beni alla malavita e donati ai giovani. La Cei, Ufficio Nazionale per i problemi sociali e per il lavoro, ha poi deciso di far proprio questo modello e l’ha proposta alle diocesi per cercare di far fronte al gravoso problema della disoccupazione giovanile –spiega Dolce. – Il progetto è arrivato a Fabriano l’anno scorso ed è stato messo in moto con successo. Questo è potuto accadere grazie alla collaborazione ed alla sinergia della Pastorale Sociale e del Lavoro, della Pastorale Giovanile, del CSO, Centro di aiuto per la ricerca al lavoro, e della CARITAS, nell’insieme un unico gruppo di lavoro che ha lo scopo di promuovere l’iniziativa e coinvolgere sempre più giovani in questo percorso vocazionale, da non intendersi però come sinonimo di clericale, ma come volto a trovare qualcosa in cui credere. In un periodo di confusione ed incertezza come quello che stiamo vivendo, Policoro è un tentativo di mostrare il vero senso del lavoro da una parte e dall’altra di individuare cosa ci soddisfa, cosa ci piace, valorizzando così i giovani ed il loro talento attraverso un percorso di comprensione del proprio io. Si può fare impresa e trovare lavoro attraverso un percorso d’educazione personale ad affrontare il lavoro, al termine del quale sapere cosa ci corrisponde in termini professionali. Si sta iniziando a mettere in atto il progetto nelle scuole, primo ambito di riferimento nel percorso formativo-educativo dei giovani; in più stiamo anche collaborando con altri enti come CISL, Acli, ovvero Associazione cattolica lavoratori italiani, Coldiretti e Banche di credito cooperativo”.

“Un meccanismo di ricerca della vocazione personale – spiega – i cui ingranaggi sono fondamentali, per questo ringrazio i Sacerdoti don Umberto Rotili, don Marco Strona, don Ruben Bisognin; i laici Rosalia Busco, Commercialista a rappresentanza della Pastorale del Lavoro, Paola Ercolani della Caritas, Sabrina Mirabella, professionista d’azienda a rappresentanza della Pastorale Giovanile, Marcello Faggioni, esperto di risorse umane, della CSO; accanto a loro, ringrazio in egual modo le animatrici di comunità Giorgia Rinaldi, che tra l’altro ha già attivato una cooperativa coerente con lo scopo preposto a Sassoferrato, ed Elisa Luchetti.

Il lavoro in Italia

In questi 20 anni in Italia hanno collaborato all’iniziativa lanciata all’epoca da don Mario Operti: educatori, vescovi, rappresentanti di circa 128 diocesi, su un totale di 225; le regioni del Sud, che per prime hanno aderito al progetto, Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna, e poi nel tempo anche Trentino, Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Abruzzo, Molise, Umbria, Toscana, Marche, Lazio, una grande rete con un unico obiettivo: creare relazioni sul territorio tra soggetti ecclesiali e associativi a livello nazionale, regionale e diocesano per mettere in piedi realtà lavorative concrete dove impiegare i giovani disoccupati. “Tra i risultati che abbiamo ottenuto – ha sottolineato monsignor Fabiano Longoni, Direttore dell’Ufficio nazionale della Cei per i problemi sociali e il lavoro in un’intervista – uno dei più significativi è che le realtà lavorative sorte non sono soltanto a beneficio dei giovani, contro la disoccupazione, ma anche intraprese e vissute dai giovani stessi. Questo significa qualità del lavorare insieme, vivere una dimensione di impresa che diventa capitale sul territorio”.

“È fondamentale capire l’importanza che ha aiutare le persone a fare questo percorso personale atto a comprendere e fondere in un’unica risultato sia le proprie potenzialità che la propria volontà – conclude Daniele Dolce. – È un metodo, il cui primo obiettivo è quello di stimolare una responsabilità individuale che poi ci si augura possa diventare sociale e politica. Non a caso, Don Operti sottolineava che per creare lavoro occorre investire nell’intelligenza e nel cuore delle persone. Oggi più che mai non è tanto e non solo di lavoro che c’è bisogno, quanto di qualità del lavoro, di una capacità di costruire rete”.

Paola Rotolo