IL ROTTAMATORE PIU’ ROTTO CHE AMATO: PICCOLO GLOSSARIO DEL REFERENDUM ‘DESTITUZIONALE’

E’ finita tanto a poco. E’ finita trentanove secondi dopo la chiusura dei seggi, tanto che Mentana per un attimo ha temuto di dover parlare di tettonica a placche o del ritorno in auge del vinile per allungare la sua biblica maratona. E’ finita, soprattutto, la campagna elettorale più snervante e avvilente dai tempi di Pericle nel dopoguerra del Peloponneso. Qui un breve glossario del prima, del durante e del dopo di questa battaglia, che lascia intonsa la Carta dei Benedetto Croce e dei Piero Calamandrei, ma anche tanta bile sul selciato.

AFFLUENZA. Il povero Fiano, a Porta a Porta, capendo la malparata ha provato a intestarsi almeno quella: con l’occhio vitreo e le gengive già infiammate per la legnata che andava profilandosi, forse sperava in un goliardico “chi fa l’ultima scheda vince”. Invece no. Hanno votato in 34 milioni: affluenza altissima ovunque tranne in Calabria (lì è finito lungo il pranzo della domenica). Al di là di tutto, bel segnale.

ACCOZZAGLIA. Renzi ha reputo 8 miliardi di volte: “Chi vota NO vota come Salvini, Grillo, Berlusconi, Casapound, Civati, Zagrebelsky, Rodotà, Piero Pelù, J-Ax, Pacciani, Vallanzasca, Skeletor, Gargamella, Crudelia Demon e Jenny Savastano”. Che da soli, però, fanno già il 50%+1 degli italiani. Di chi votava con chi non fregava nulla a nessuno: si era capito e si è visto, ed è uno dei tanti pasticci da “foga” del premier. Unico neo: ai comitati del No mentre hanno intonato “Bella ciao” sotto è partito il Jingle di “Faccetta Nera”, ma non si può avere tutto.

#BASTAUNSI’. Lo abbiamo letto ovunque per tre mesi. Persino sui messali domenicali, sui manifesti dei morti e sul retro dei tubetti di dentifricio. E’ una delle tante espressioni finita sulle gonadi a molti.

BORSE. Oltre alla peste antonina, le cavallette, le piaghe d’Egitto, le pandemie di ebola e l’uragano Katrina, col successo del No doveva arrivare il tanto sventagliato crollo delle Borse. All’indomani del voto, invece, gli indici di Piazza Affari, Berlino, Parigi, New York e via dicendo veleggiano pacifici come la barca di Orietta Berti. Non solo: se la Consulta casserà l’Italicum e si andrà verso il proporzionale (con governi da fare e disfare negli emicicli parlamentari) la larga intesa diverrà sistema con buona pace di M5S e Lega. Più stabilità di così si muore.

CNEL. E’ il vero vincitore di questa domenica dicembrina, tanto che a Villa Lubin sono subito esplosi già alle 23.01 miccettoni e mortaretti, sono volate stelle filanti e coriandoli e tenendosi per le cravatte color ocra di Marinella i consiglieri hanno fatto partire il trenino. Al festino con open bar e lap dancer ha fatto capolino anche Lapo Elkann. Scherzi a parte: l’ente è inutile e Renzi aveva ragione, ma per eliminarlo il Parlamento (tutto) può impiegare tre nano-secondi.

COSTITUZIONE. Nei 422 “speciali” tv post-voto, la Costituzione è stata nominata di striscio 3-4 volte. A dimostrazione del fatto che questo è stato un voto totalmente politico. Tre mesi a parlare di combinati disposti, bicameralismi, monocameralismi, Cnel, premierati forti, deboli o a mezz’asta: tutte supercazzole che non hanno deviato il referendum binario su cui Renzi stesso lo ha messo sin dall’inizio con quel “o con me o contro di me”.

DIMISSIONI. Inevitabili dopo cotanta scoppola. Se Renzi avesse detto “sono qui per le riforme, mi dimetterò anche se vince il Sì” forse avremmo visto un altro film. Anche mio nonno però se avesse tre palle sarebbe un flipper.

EXIT POLLS. Dopo un 2016 all’insegna del tiro al piccione sui sondaggisti da parte dei “so tutto io” che a babbo morto avevano previsto Brexit e Trump, stavolta ci hanno preso prevedendo il No. Molti avevano anche detto “gli indecisi dell’ultim’ora propenderanno per il Sì”, però suvvia, basta dare la caccia al pelo nell’uovo.

ITALICUM. Scritto da Renzi e definito per mesi da Grillo il male assoluto, ora piace a Grillo e fa schifo al PD. Ok, adesso passatemi due compresse di Lexotan (la Consulta farà carne di porco del testo di legge).

JIM. Messina Jim da Denver (Colorado) è il guru della comunicazione 9.0 chiamato da Renzi a fare giochi di prestigio degni di Houdini al costo di un attico ai Parioli. Dopo aver sancito la morte politica di Cameron nella campagna anti-Brexit, ha trafitto anche Renzi. Ora la Nato vuole spedirlo a Mosul a fare lo spin doctor di Al Baghdadi: sai mai che faccia fuori pure l’Isis.

LARGHE INTESE. Ad oggi nessuna singola forza scollinerebbe oltre il 30%, il tripolarismo è diventato quadripolarismo frastagliato e la vocazione maggioritaria non la ha più neppure Gesù. Altro che pentapartito, qui arriva il decapartito.

MILLENNIALS. Tra gli under 35, otto su dieci hanno barrato il No. “Ma come, non dovrebbero essere i più avvezzi al cambiamento?” tuonano svariati delusi del Sì. Ora: pensare che una generazione sovra-istruita con lauree, master, masterini e masterucci che si ritrova a spasso o a fare lavori di fortuna per quattro spicci o per dei foglietti (voucher) potesse rimanere folgorata sulla via di un Senato “dimagrito” era pura follia. La bella siringata di quattrini elargita ai pensionati in legge Finanziaria solo tre settimane fa è stata l’oliva nel Martini. Ah, specie i nati negli anni ’90 in poi sono completamente de-ideologizzati e delle bandiere e dei leader se ne fottono: saranno sempre più decisivi.

PELU’ PIERO. Nel giorno del tripudio del No (di cui era un fervente supporter), è riuscito a confezionare una figura di merda epocale con la storia complottara delle matite al seggio. Per fortuna poi è arrivata l’ambulanza.

POPULISMO. Termine che andrebbe cassato dal dibattito politico: chi lo agita contro gli avversari (vedi Cameron, Clinton, Renzi) viene puntualmente preso a sprangate alle urne. Il suo valore semantico è un tantino labile: in questa campagna elettorale becera tutti (fan del Sì e del No) hanno usato toni, modi e latrati populisti e persino campioni della sobrietà come Monti e Augias si sono trasformati in galline da combattimento. Il suo utilizzo ormai è vanga sui piedi garantita.

POTERI FORTI. In campagna elettorale tutti, da Renzi a Grillo, da Alfano a Berlusconi, da Casini a Salvini, hanno detto che i soliti stra-citati “poteri forti” erano gli altri: in pratica siamo al bue che dice cornuto al bue.

QUARANTA PER CENTO. Lotti su Twitter si è affrettato a sovrapporre il 40% del 2012 (primarie), quello del 2014 (Europee) e quello di domenica. Giochino pericoloso: il Sì nelle analisi del voto cresce laddove cresce il reddito. Non da brindarci a Franciacorta se fai parte di un partito (presunto) di centrosinistra. Renzi resta animale da consenso, ma sotto Roma è scaduto come uno Yomo e il No è dilagato. E senza il Sud, si sa, sono dolori. A meno che Lotti non punti alla premiership del Granducato di Toscana.

SCROFA FERITA. E’ l’appellativo pittoresco (e sguaiato) che Grillo ha appioppato a Renzi sette giorni fa. Ora molti queruli del fronte del No danno il gigliato per morto. Erroraccio: è ancora il “dominus” (tra i suoi in particolar modo). Dare l’estrema unzione politica a un ex premier è un lungometraggio (fallato) visto per 20 anni.

STORYTELLING. “L’ottimismo è il profumo della vita” – diceva il grande Tonino Guerra nello spot Unieuro mentre un piccione gli defecava in testa. E’ il più grande errore di Renzi: il positivismo debordante del suo storytelling, troppo cool e rivelatosi posticcio. Se per mille giorni ripeti “Ce la stiamo facendo”, “La svolta buona”, “L’Italia che riparte”, “Basta con la lagna dell’Italia che dice no”, “Ce l’abbiamo fatta”, devi accertarti che sia vero. Perché altrimenti chi sta male e campa a pane e cipolla (giusto ieri gli “indigenti” italiani hanno oltrepassato quota 4 milioni) ti fa prima una pernacchia, poi passa alle contumelie, infine piglia una matita e col voto ti manda lì dove sai. Lo scremare la narrazione governativa da ogni sorta di realismo mandando i vari pappagalli di corte nei salotti tv a ripetere in loop il mantra del “è tutto bello, è tutto figo” è stato un suicidio comunicativo con pochi precedenti.

VOTO DI PANCIA. Altra cazzata assurta ormai a patetico luogo comune. In campagna elettorale lo hanno chiesto tutti, per il Sì e per il No. Hanno votato “No” con convinzione le pance più vuote, che purtroppo in Italia sono ancora troppe.

Valerio Mingarelli