UTENTI FACEBOOK O AMICI NELLA VITA? DIBATTITO APERTO
La regola è sempre la stessa: tutto ciò che non ci tocca in prima persona non ci riguarda. Si chiama egoismo. Essere presente sui social network spesso è un’arma a doppio taglio, in special modo per chi come me lavora nella comunicazione. Se da un lato si pecca di presenzialismo dall’ altro si entra in un mondo in cui la vita di ogni “utente” facebook diventa anche la nostra. Ma sono tutti “utenti” facebook o qualcuno riesce comunque a superare la barriera imposta dalla tastiera e diventare poi parte della tua vita? Tutti i giorni aprendo la chat trovo diversi messaggi: alcuni simpatici di cosiddetta “ordinaria amministrazione”, spesso di qualcuno che mi chiede aiuto. Un aiuto che non è materiale, ma un supporto, un momento di ascolto, una parola d’incoraggiamento. Mi cercano genitori che hanno figli con disturbi nel comportamento alimentare, con difficoltà d’inserimento sociale, alcuni vittime di atteggiamenti di bullismo dentro ma anche fuori dalle scuole. Famiglie con difficoltà a sbarcare il lunario, uomini e donne privati della possibilità di lavorare e che vedono ogni giorno spegnersi il lume della speranza, poiché senza lavoro non si ha più dignità, non si riescono più a guardare negli occhi i propri figli perché impossibilitati a soddisfare anche i loro bisogni primari. Mi cercano i familiari dei malati di tumore che sperano di trovare risposte sul perché sia caduta su di loro questa condanna, genitori di ragazzi autistici o portatori di handicap che lamentano non solo barriere architettoniche ma muri insormontabili dal punto di vista umano e di integrazione. Poi una mattina ti accorgi che un ragazzo che hai come amico su facebook ha tentato di uccidersi e ti chiedi se sia giusto ignorare, se sia opportuno considerarlo come “utente” facebook e lasciarlo al suo destino. Ma se per gli altri ho dedicato ore del mio tempo per cercare di capire, ascoltando i loro racconti, perché non farlo anche con lui? Decido di andare in ospedale a parlargli: è un essere umano che come tutti noi ha bisogno di un abbraccio. Dopo una lunga chiacchierata, fatta più di sguardi che di parole, ci lasciamo con un buon proposito: raccontare questa esperienza agli altri, raggiungerli sui loro tablet, smartphone, cellulari di ultima generazione. Dopo un paio di giorni mi arriva per mail un allegato: la storia della sua vita, la storia della sua malattia, la storia del suo disagio. Con una semplicità ed un ordine mentale non indifferenti mi fa capire, ci fa capire. Decidiamo insieme di pubblicarla e arriva un grande abbraccio dalla rete. Aspetto presto una sua visita nel mio posto di lavoro, con altri ragazzi che hanno differenti difficoltà che stiamo affrontando con forza supportando come possiamo le loro famiglie. Ho ancora nel cuore lo sguardo di quel ragazzo in quella stanza di ospedale in una piovosa e triste domenica pomeriggio: non era lo guardo di un “ utente “facebook ma di un ragazzo coraggioso che potrebbe essere mio figlio, vostro figlio. Se la comunicazione può contribuire a far conoscere e comprendere cosa può celarsi dietro ad un disagio ed essere di aiuto a chi sta vivendo la stessa situazione ma che non ha il coraggio di parlarne, cerchiamoci. Ignorare non serve a nulla.
Gigliola Marinelli