JETHRO TULL – I folletti del Folk Rock

di Max Salari

Tracciare, anche se a grandi linee, un profilo storico e discografico del mitico gruppo di Ian Anderson è quantomeno arduo. Con quasi trent’anni di carriera portati con onore spalle, i Tull hanno influenzato più di una generazione, lasciando dietro di loro una scia numerosa di tentativi di imitazione. Il caratteristico approccio Rock di Anderson con il flauto è ben noto ai molti amanti del prog di ogni età ed il suo carisma da classico “animale da palcoscenico” è ormai una leggenda. Nell’immaginario collettivo quando si dice Jethro Tull si pensa immediatamente a quel capellone con la barba lunga che suona il suo flauto su una gamba sola nella caratteristica posizione a “gru”.

Nella lontana metà degli anni’60 il pubblico si divide fra Beatlesmaniaci e seguaci dei Rolling Stones, il Pop imperversa nella scena musicale mondiale e nell’undergound arriva un certo John Mayall che evolve a suo modo il Rock Blues dando vita al movimento British Blues (detto anche Blues Bianco). Proprio in quel periodo, nel nord dell’Inghilterra e più precisamente nella città di Blackpool, dei teenagers registrano una collezione di brani American Blues di autori del calibro di Howling Wolf, Sonny Terry e Brownie Mc Ghee e di artisti inglesi quali Graham Bond e Georgie Fame: sono gli ATLANTICS. Questi ragazzi nel 1963 si uniscono a Ian Anderson (chitarra), Jeffrey Hammond (basso) e John Evan (tastiere) e vanno a formare i THE BLADES, la prima effettiva ossatura dei futuri JETHRO TULL. I ragazzi in questione si chiamano Berriemore Barlow (batteria) e Michael Stephens (chitarra). Passano due anni e svariati cambi di line-up e il gruppo decide di chiamarsi JOHN EVAN BAND. Le serate si susseguono intensamente persino in locali blasonati come il “The Cavern” di Liverpool. La musica da loro suonata è un misto tra Jazz e Blues. Già il talento di Anderson incomincia a farsi largo nel gruppo il quale dopo una apparizione televisiva decide di realizzare un demo sotto la supervisione del produttore Derek Lawrence.

Siamo arrivati al 1968, altri cambi di line-up e questa volta anche di logo all’insegna del massimo dell’indecisione: si passa da NAVY BLUE a BAG OF BLUES fino a JAN HENDERSON’S BAG O’BLUES. Quello che però non cambia è l’interesse di Derek Lawrence nei riguardi dei ragazzi ai quali offre la possibilità di incidere un singolo dal titolo ‘Aeroplane’ sotto il nome di JETHRO TOE. Questo nome viene immediatamente cambiato in JETHRO TULL. Chi è, cosa vuole dire? E’ l’inventore dell’aratro nel diciottesimo secolo e viene preso, come dice Ian , per il suo nome che “suona bene”. Sequenza di Pubs e Clubs e la loro semina comincia a dare i primi frutti, arrivano persino ad esibirsi nel mitico Marquee Club di Londra.

Finalmente, dopo tanto lavoro, ecco arrivare alle stampe il primo LP ‘This Was’ (Island – 1968) che viene realizzato nell’ottobre ’68 in UK ed in febbraio ’69 in USA. Il successo arriva immediatamente, piazzando il disco addirittura al decimo posto in Inghilterra ed al sessantaduesimo in America. Il blues graffiante capitanato dal flauto di Anderson sa farsi apprezzare in momenti quali ‘My Sunday Feeling’ ed ‘A Song For Jeffrey’, brani che tutt’oggi risultano di una gradevolezza disarmante. Ma in questo lp ancora non sono ben definite le coordinate sonore del gruppo, si mischiano forse troppo caoticamente influenze quali Folk, Rock, Blues e puro Jazz, per un risultato si positivo, ma solo alternativamente.

Ora la lotta per essere leader all’interno del gruppo fra Anderson ed il chitarrista blues Mick Abrahams è grande ed alla fine porta all’allontanamento di quest’ultimo e all’innesto del per sempre fedele Martin Barre. Ottimo strumentista proveniente dalla band GETHSEMANE, il nuovo arrivato riesce a dare quel tocco personale in più al sound della band adeguandosi alla perfezione sia alle composizioni più Hard che a quelle più melodiche. A questo punto la gente pensa che Jethro Tull sia addirittura il vero nome di Anderson, tanto la sua personalità è forte. Ed è la volta di ‘Stand Up’ (Island-1969). E’ il settembre del 1969 e questo lavoro contiene quella famosa canzone che li ha resi popolari in tutto il mondo, il tormentone Bacchiano ‘Bourrée’. E’ il primo album scritto ed arrangiato da Ian Anderson, che da questo momento prende in mano il timone della band e non lo lascierà più. Numero 20 in America e numero 1 in Inghilterra per ben otto settimane! Le liriche sono interessanti ed a volte anche ironiche come in “Fat Man”: “Non voglio essere un grassone, la gente penserebbe che sono solo divertente/ preferisco essere magrolino, sono così contento di esserlo/ Troppo peso da portare in giro, nessuna speranza di trovare una donna/ che ti ami al mattino e anche la notte/ Non voglio essere un grassone/ non ho la forza di ignorare una cosa del genere/ Odio riconoscere che la metà dei miei problemi deriva dal fatto che sono grasso/ Non perderò il mio tempo a dispiacermi per lui/ Ma vedo anche il rovescio della medaglia dell’essere magro/ Proviamo a rotolare tutti e due da una montagna/ Sono sicuro che il grassone vincerebbe!”. I Jethro Tull sembrano aver trovato il proprio equilibrio interno sia artisticamente che come line-up. Una produzione più tecnica accoglie ‘Benefit’ (Chrysalis-1970) ed il ritorno alle tastiere di John Evan che rimane nel gruppo per altri dieci anni. Da ricordare ancora oggi canzoni valide come “Sweet Dream”e “To Cry You A Song”. Riff Heavy escono prepotenti dalla chitarra di Barre ed il suono si fa più duro. Anche in questo caso le vendite sono niente male, numero 3 in UK, numero 11 in USA. Con questo lavoro si registrano pure video tratti dalla tv inglese e da altre varie apparizioni live che in seguito potremo vedere nella raccolta celebrativa video dei 20 anni di carriera “20th Anniversariy of Jethro Tull” (Chrysalis-1988). Fatto curioso da ricordare è il rifiuto di partecipare al famoso concerto di Woodstock da parte dei nostri a causa del pensiero di Anderson, che non vuole unirsi a quello Hippy. Dice Ian che se ciò fosse accaduto il complesso avrebbe avuto un grande successo momentaneo ma che poi sarebbe stato subito etichettato e dimenticato, forse il tempo gli ha dato ragione.

FINE PRIMA PARTE, Il seguito alla prossima settimana

ASCOLTO: My Sunday Feeling-  https://www.youtube.com/watch?v=1q7i5c3YgxY

                                      Bourrèe – https://www.youtube.com/watch?v=N2RNe2jwHE0

                    We Used To Know – https://www.youtube.com/watch?v=VAnh1waFPeY

 

RECENSIONE

REALE ACCADEMIA DI MUSICA – Angeli Mutanti

M.P. & Records/ GT Music  –  Genere: Progressive Rock – Supporto: cd – 2018

Siamo nel 2018 e non vi nascondo che ancora nel mio giradischi gira spesso l’album “Reale Accademia Di Musica” (prodotto da Maurizio Vandelli) del gruppo omonimo datato 1972! Questo vi può far comprendere quanto personalmente sia legato al suono e alla melodia di questo gruppo romano di Progressive Rock italiano. Il perché è molto semplice, la musica proposta è sia legata al mondo progressivo del tempo, che alla melodia italiana, quella di facile memorizzazione che ci contraddistingue. Fu un disco con poche elucubrazioni e tanta sostanza.

La band di Pericle Sponzilli (voce, chitarra) ha avuto un vuoto di presenza lungo dalla metà degli anni ’70  sino ad oggi, ma i R.A.M.(dice la bio “anche impropriamente con questo nome”) tornano con lavori in studio come “R.A.M. : Il Linguaggio Delle Cose”, per poi arrivare ai nostri giorni con altri due album, “R.A.M. : Tempo Senza Tempo” (2009) e “La Cometa” (2013) Ma oggi Sponzilli torna alle redini del gruppo incoraggiato anche da questo ritorno di fiamma del genere Progressive Rock, e crea questo nuovo disco dal titolo “Angeli Mutanti”. La formazione si completa con il tastierista Fabio Liberatori (anche Stadio), Erika Savastani (voce), Andy Bartolucci (batteria) e Fabio Fraschini (basso).

Il disco contiene dieci tracce, ad iniziare proprio dal brano “Angeli Mutanti”. La forza dei R.A.M. risiede negli arrangiamenti molto curati, così nelle melodie, ed il tempo sembra essersi fermato. Bella la voce di Erika, dolce e malleabile a seconda della situazione che il pezzo richiede. Apprezzo molto anche il solo di chitarra elettrica in una sorta di Psichedelia Prog che spezza il brano. “Alba” è cantata ancora a doppia voce, maschile e femminile, mentre la tastiere fanno da importante sottofondo rendendo il suono pieno e dal profumo fortemente vintage. “Alba dove eri ieri sera al tramonto….” poi è un tocco raffinato.

“Johnny e Adele” è un momento più delicato, una ballata tipicamente italiana e ancora una volta gli anni ’70 sono presenti, specie nel suono delle tastiere. Altra canzone dal dna italico con tanto di mediterraneità è “Cosa Nascondono Le Nuvole”. Il Prog dei R.A.M. è così, solare e bada al sodo senza troppi inutili tecnicismi, anche se assolo di chitarra di tanto in tanto affiorano con eleganza. Non ci sono suite, bensì canzoni. Ascoltare “The Beat Goes On (Come la Canzone)” mette l’anima al caldo, toccante nelle vocalità su di una chitarra acustica che dialoga dolcemente con le tastiere.

Un suono di pianoforte sostenuto apre “Tempo”, movimento Prog che si fonde con la voce di Erika e l’emozione ancora una volta accresce, per chi vi scrive è uno dei brani più importanti del disco. Soluzioni sonore senza tempo, arrangiate davvero con gusto.

“A Dritta San Salvador” mi ricorda materiale delle Orme  di metà carriera, mentre la voce di Erika sale. “Una Sola Immagine” è più ruffiana, come un gatto che si sfrega fra le gambe quando ha fame e si lascia accarezzare con gentilezza. “Io Sono Qui” è sunto di stile ancora una volta vintage. Chiude il disco alla grande lo strumentale “La Pista ed Il Miraggio”, qui fuoriescono i R.A.M. che abbiamo conosciuto nel tempo.

La musica deve fare questo, ossia rimanere impressa nella mente. Quando un disco termina si deve avere ricordo di esso, sia per un passaggio, sia per un ritornello che per un gradevole assolo. Qui c’è musica italiana di elevata fattura, semplice e mai banale, dategli un attento ascolto, lo merita davvero. Ben tornati R.A.M. (MS)

 

https://www.youtube.com/watch?v=3ViImz1G5YA

 

ROCK & WORDS sono Fabio Bianchi e Massimo “Max” Salari. Insieme raccontano la storia della musica Rock e dintorni, l’evoluzione e come nascono i generi musicali, tutto questo in conferenze supportate da audio e video . Assieme sono nel direttivo dell’associazione Fabriano Pro Musica. FABIO BIANCHI: Musicista, suona batteria e tromba. Ha militato in diverse band fra le quali i Skyline di Fabriano e l’orchestra Concordia. MASSIMO “Max” SALARI: Storico e critico musicale, ha scritto e scrive in riviste musicali di settore e webzine come Rock Hard, Flash Magazine, Andromeda, Rock Impressions, Musica Follia, Flash Forwards ed è gestore del Blog NONSOLO PROGROCK. Per sei anni è stato vicepresidente di PROGAWARDS, premio mondiale per band di settore Rock Progressivo e sperimentale.

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