Rubriche

MARCHIO DI FABBRICA – di Laura Trappetti

Un caso: discussione su Facebook sulla legittimità di utilizzo del marchio Fabriano da parte delle Cartiere Fedrigoni, tradotto in dominio internet Fabriano.com. La questione mi fatto pensare alla mia città, Terni. Da noi l’acciaieria da sempre la chiamiamo “la Terni”, il che certo è dipeso anche dal nome originario del 1884, ma soprattutto dal comune sentire della cittadinanza, non per la fabbrica qualunque sia (sempre state tante e di vario tipo) ma proprio per l’acciaieria. La Terni è parte della nostra identità, il che non equivale ad asservimento, tutt’altro: il movimento operaio ha storia antica e vivacissima sin dagli albori della rivoluzione industriale. Esempio lo sciopero di oltre un mese nel 1901 delle operaie dello Jutificio Centurini e più recentemente quello dei lavoratori ThyssenKrupp. Tutti i ternani, dai commercianti ai professionisti, senza distinzione di categoria, si sono stretti intorno agli operai dell’acciaio e idealmente intorno alla Terni, che noi sentiamo patrimonio nostro, prima ancora che impresa privata. Nessuna subalternità al padrone di turno quindi, ma reale affezione, compartecipazione alla sorte dell’acciaieria, le cui sirene hanno scandito il tempo per più di cento anni e soprattutto all’idea che il nome della propria città sia sempre stato associato ad un’eccellenza italiana, ad uno sviluppo industriale che ha visto in Terni, non un luogo qualunque, ma il luogo ideale per dar vita ad un polo di produzione energetica e industriale di importanza mondiale. Intraprendenza, grande ingegneria, innovazione e peculiarità del territorio, valorizzazione reciproca di industria e popolazione, pur nel rispetto dei ruoli e dei conflitti sociali. Da fabrianese d’adozione ho sempre pensato che questo stesso legame dovesse esistere con le cartiere e che la carta Fabriano fosse un vanto per la città, ma è così? Qualche dubbio mi sorge guardandomi intorno e ascoltando i discorsi delle persone: luoghi e loghi si assomigliano? Userò le parole di Romeo: “Cosa c’è in un nome? Quella che chiamiamo rosa non cesserebbe d’avere il suo profumo, se la chiamassimo con un altro nome”. E’ qui che casca l’asino: cosa emana profumo? Il nome della città o quello che l’ha fatto grande? Ai posteri e a tutti noi, l’ardua sentenza.